Leonardo Maugeri, Affari&Finanza 18/5/2015, 18 maggio 2015
IL FUOCO FATUO DEI RIALZI PETROLIFERI
Di fronte al rialzo dei prezzi del petrolio degli ultimi mesi, tra gli esperti si va consolidando la convinzione che il peggio sia passato. Ma è davvero così? Non ho una sfera di cristallo, ma ho dei dubbi di fondo che non riesco a eliminare. Anzitutto, mi insospettisce il fatto che a sostenere la ripresa dei prezzi sia un’enorme speculazione finanziaria, con volumi di future “long” e opzioni call (cioè di contratti che scommettono sul rialzo dei prezzi) che eccedono in modo parossistico le transazioni fisiche di greggio. La speculazione non nasce dal niente: è mossa da aspettative; ma deriva anche dalla tendenza degli investitori a muoversi sulla base dei comportamenti seguiti da tutti gli altri, a loro volta innestati da segnali superficiali. Quei segnali sono stati sintetizzati da Fathi Birol, capo economista dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, per spiegare perché la ripresa del greggio è destinata a durare. Birol ha sostenuto che il massiccio taglio di investimenti annunciato dall’industria petrolifera mondiale e il rimbalzo in atto della domanda mondiale hanno la forza di sostenere i prezzi nei prossimi mesi. In sostanza, la produzione mondiale dovrebbe ridursi mentre il consumo tende a crescere. Questi due elementi sono l’argomento di chi prevede un corso più sostenuto del greggio. Ma la loro fondatezza è discutibile. E’ vero che l’industria petrolifera ha annunciato tagli di investimenti per 100 miliardi di dollari nel 2015. Ma è pure vero che la maggioranza di quei tagli riguarda progetti di sviluppo gas, nuova esplorazione, o piani di sviluppo petrolifero non ancora avviati. Al contrario, i progetti in corso per lo sviluppo o il risviluppo di giacimenti petroliferi non si fermano, se non con la parziale eccezione degli Stati Uniti. Sono progetti avviati anni fa che continuano a dare il loro risultato man mano che si completano e/o si completeranno. Ho chiesto a venti grandi e medie società petrolifere cosa si aspetta per il futuro. Tutte hanno risposto (con due sole eccezioni) di credere in un rialzo dei prezzi del greggio proprio a causa del taglio degli investimenti annunciato. La domanda successiva è stata: anche voi avete annunciato massicci tagli, ma avete tagliato investimenti di sviluppo petrolifero in corso? La risposta è stata un secco “no”. La domanda finale è stata: da chi vi aspettate allora i tagli di produzione futura? Dopo qualche perplessità, la risposta generale è “dagli altri”. Non poteva non seguire una domanda supplementare: ma chi sono gli altri? Nessuno ha saputo spiegarlo. La verità è che c’è tanta nuova capacità produttiva che si prepara a arrivare sul mercato da qui ai prossimi anni che nessuno riuscirà a fermare, perché chi ha già speso miliardi di dollari per sviluppare un giacimento freme per cominciare a recuperare un po’ di quanto investito. Così si spiega che – ancora a aprile – alcuni paesi – chiave per il petrolio come Canada e Russia, siano riusciti a raggiungere i record di produzione, a dispetto di prezzi che li vorrebbero in situazioni disperate. Hanno aumentato la produzione anche paesi attanagliati da ben altre difficoltà come Iran e Iraq, dimostrando che il loro potenziale è enorme. E ha spinto sull’acceleratore l’Arabia Saudita, rinunciando a parte della sua capacità inutilizzata pur di conquistare quote di mercato. Dei primi cinque produttori mondiali, solo gli Stati Uniti hanno subito un modesto declino produttivo di poche migliaia di barili al giorno, frutto della poderosa frenata agli investimenti nello shale oil. Tuttavia, l’ininfluente flessione produttiva è lontana da quello che si aspettava chi vaticinava sfaceli repentini della produzione americana di shale a causa della caduta dei prezzi. La realtà è che quest’ultima regge per motivi tecnologici ed economici e anche se dovesse calare nei prossimi mesi, non lo farebbe in misura tale da rimuovere l’eccesso di greggio che grava sul mercato. L’unica area del mondo che soffre davvero per la caduta dei prezzi è il Mare del Nord. Ma anche in questo caso, parliamo di poca cosa rispetto al volume mondiale dell’offerta. Occorre guardare cosa sta avvenendo giacimento per giacimento a livello mondiale per capire che gli investimenti non si fermano e la capacità produttiva di petrolio continua ad aumentare. L’altra faccia della medaglia è la domanda mondiale: cresce davvero, come ipotizzano in molti? Si, ma almeno dai primi dati disponibili la crescita è troppo moderata per intaccare l’eccesso di offerta. Nonostante i prezzi molto più bassi di oggi, Cina e Paesi asiatici sembrano meno propensi a consumare ai ritmi del passato, complici situazioni economiche ancora da decifrare, ma anche per effetto dei tagli diffusi ai sussidi sui consumi di prodotti petroliferi da legislazioni ambientali che cercano di limitare la corsa ai consumi stessi. Nel mondo industrializzato la ripresa della domanda è solo una modesta nota a piè di pagina. E significa poco che il più robusto aumento percentuale dei consumi si registri in Europa, dove la domanda è in calo strutturale dalla seconda metà degli anni ’90 ed è stata ulteriormente falcidiata dalla crisi economica. Certo, sullo sfondo di ogni evoluzione possibile di mercato resta l’incognita delle tensioni geopolitiche che attraversano aree critiche per la produzione di greggio. Nelle ultime settimane, a tener banco tra gli speculatori è stato il confronto indiretto tra Arabia Saudita e Iran per il futuro dello Yemen, sotto al quale cova il fuoco dell’egemonia nel Golfo Persico: ogni recrudescenza di violenza nel paese è accompagnata da una fiammata di prezzi, ogni momento di apparente quiete spinge i prezzi al ribasso. E poi rimangono le incognite sulla penetrazione dell’Isis in Iraq, sull’evoluzione dei negoziati internazionali con l’Iran, sulla caotica situazione della Libia. Sono questi i fattori che, insieme al rafforzamento del dollaro, hanno consentito ai prezzi del greggio di rialzarsi dai minimi toccati all’inizio del 2015, a dispetto di una realtà di domanda e offerta che non giustifica quei rialzi. Verrebbe da dire “finché c’è guerra c’è speranza”, almeno per chi produce petrolio. Ma se i fondamentali del petrolio continuano a muoversi come ho cercato di descrivere, non basterà nemmeno la dimensione dei conflitti che abbiamo di fronte per impedire alla legge di gravità del mercato di svolgere il suo ruolo.
Leonardo Maugeri, Affari&Finanza 18/5/2015