Paola Jadeluca, Affari&Finanza 18/5/2015, 18 maggio 2015
INCUBO DEFLAZIONE, LA CINA POMPA LIQUIDITÀ
Roma
«Il peggior deficit di bilancio dell’Australia», come l’ha definito il governo stesso. Un dato emerso nei giorni scorsi che, oltre a far insorgere l’opposizione, ha attirato l’attenzione di gestori e analisti abituati a muoversi sullo scacchiere globale della finanza. La preoccupazione è che possa trattarsi del primo segnale di un trend negativo, che la frenata si stia estendendo come un virus anche nei paesi finora rimasti immuni alla crisi. A un’analisi più approfondita emerge che è un n timore in gran parte ingiustificato. Si tratta semplicemente di un ribilanciamento dei flussi da e per la Cina. «Il nuovo modello di sviluppo del Dragone, sempre più incentrato sui consumi interni, sta facendo cambiare direzioni di sviluppo alla stessa Australia, legata a filo doppio alla Cina alla quale vendeva prima materie prime, la cui domanda oggi è in frenata», spiega Massimo Guiati, responsabile Asia di Azimut Sgr, società di gestione del risparmio che ha recentemente acquisito il 93% di Nga, Next Generation Advisory, una newco australiana costituita con lo scopo di consolidare realtà di consulenza finanziaria che offrono servizi di asset allocation a clienti retail, del private banking e istituzionali locali. Un segno evidente dell’interesse crescente che il mercato a testa in giù comincia ad avere tra gli investitori esteri. Gli scambi e gli intrecci di interesse tra Australia e Cina sono talmente forti che Sydney dopo aver beneficiato alla grande del galoppo del Dragone, vede oggi rivoltarsi contro come un boomerang le sorti del partner in affari. Un fenomeno che ha innescato un processo di trasformazioni radicali, che si inscrivono in una cornice più globale di manovre monetarie e politiche destinate a conferire maggiore spinta a questi cambiamenti. La Banca Popolare di Cina, istituto centrale del paese, ha tagliato la scorsa settimana il tasso di interesse, ormai sceso ai minimi storici registrati nel 2008-2010, durante il picco dello tsunami finanziario globale, quando anche Pechino aveva assistito alla chiusura di tante fabbriche, allo stop della produzione, al ritorno in campagna di tanti operai emigrati in massa nelle città industrializzate. Sembrava ormai un brutto ricordo lasciato alle spalle, ma le preoccupazioni stanno rimontando. «L’indice dei prezzi al consumo è sceso a circa 1,5%, mentre l’indice dei prezzi alla produzione è stato in deflazione per mesi», commenta Jina Shi Cortesi, gestore di Jb China Evolution Fund di Swiss & Global Asset Management. Un segnale chiaro: «Anche la Cina è entrata a far parte delle grandi economie preoccupate dai rischi di deflazione», incalza Shi Cortesi. Siddharth Mathur di Citi e Craig Botham di Schroders sono allineati: l’impressione dei due analisti è che la crescita del Pil rallenterà ulteriormente nel secondo trimestre. Uno scenario che, paradossalmente, dal punto di vista degli investimenti non è del tutto negativo. «Il contesto di mercato rimane favorevole per l’azionario asiatico», afferma Andrew Tong, capo asian equity di Ubp, Union bancaire privée. Spiega Tong:«In paticolare l’azionario cinese dovrebbe trarre vantaggio dalla liberalizzzione del mercato e dalle politiche monetarie più forti. La People’s Bank of China, inoltre, continua a impegnarsi per incrementare i flussi di credito agli enti locali fortemente indebitati, incoraggiando le banche a comprare nuove obbligazioni emesse da questi: i policy makervogliono fare in modo che le amministrazioni locali mantengano la spesa in infrastrutture per attutire l’impatto derivante da un rallentamento nel settore immobiliare e manufatturiero». Un ulteriore fattore di traino è costituito dallo Shanghai-Hong Kong Stock Connect, il programma che ha collegato gli investitori cinesi al mercato internazionale e allo stesso tempo consente agli stranieri investimenti diretti in Cina. Partito in sordina, il programma ha registrato un forte slancio nell’ultimo periodo. Le A-Share, le azioni della borsa di Shanghai, hanno fatto registrare un rally. «Prezzi delle azioni più elevate permettono alle società quotate di finanziarsi attraverso la Borsa e di ridurre la dipendenza dal debito – incalza Shi Cortesi – Tuttavia il governo cercherà di raffreddare il mercato azionario se questo dovesse crescere troppo velocemente, per evitare il rischio di una bolla». Fondi istituzionali stranieri e ricchi patrimoni cinesi sono i primi ad essere confluiti nel mercato connesso. Le famiglie cinesi medie, invece, tengono tuttora parte dei loro risparmi in liquidità o prodotti di risparmio bancari. «Ma è molto probabile che continuino a spostare denaro sulle azioni», stima Shi Cortesi. Parte di questa liquidità, a fronte del raffreddamento del real estate cinese, è convogliata verso l’Australia. «Gli immobili stanno volando in Australia, e sono proprio i cinesi a comprareZ, racconta Guiati di Azimut Sgr. Wanda, la grande conglomerata del tycoon Wang Jianlin, che controlla oltre 200 department store e immobili di lusso, ha investito 1 miliardo nel centro di Sydney, per hotel e appartamenti per i ricchi concittadini che scoprono il piacere di acquisire case vacanza. Tra Sydney, Melbourne e Brisbane, segnala Forbes, ci sono 12 società impegnate nella grande corsa al mattone. Non è il solo asset alternativo sul quale l’Australia sta puntando. «Il paese non ha industrie, ma tanta terra per l’agricoltura e il pascolo, fonte di cibo, che viene venduto per lo più alla Cina, dove la domanda di alimenti di qualità è in forte crescita», racconta Guiati. Un tempo c’era l’Ucraina, il granaio d’Europa. Oggi è l’Australia a giocare un ruolo chiave nello sfamare il nuovo mondo. L’Australia è legata a filo doppio alla Cina.
Paola Jadeluca, Affari&Finanza 18/5/2015