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 2015  maggio 18 Lunedì calendario

CARPI, IL DISTRETTO DEI FILATI DÀ UN CALCIO ALLE CRISI

Carpi
Prima la crisi, con la concorrenza dei cinesi che affossa i piccoli produttori tessili, e poi il terremoto, che in due notti, maledette, del maggio 2012 spazza via capannoni, vite umane, posti di lavoro e centri storici. Infine, la ricostruzione e la rinascita, guidata dai grandi marchi, in grado coi loro fatturati di compensare la fuga dei subfornitori e far sognare un intero distretto, quello di Carpi, che una mattina si è risvegliato all’improvviso in Serie A, unendo passione per il calcio e quella per i filati, in un intreccio raro nel panorama italiano. E la produzione nel 2014 ha ripreso a marciare, con un fatturato globale cresciuto del 3,1%, sopra gli 1,4 miliardi di euro, e con l’export vicino al 36%. Lungo la via Emilia, che identifica la propria anima con la manifattura, il “regno di Carpi” ha sempre vissuto d’abbigliamento, con griffe come Blumarine, Gaudì o Manila Grace, capaci di diffondere le loro collezioni e aprire store in tutto il mondo nel pieno della crisi. Ma prima della rinascita, la caduta dei piccoli produttori è stata dolorosa. La favola modenese, infatti, va in crisi ben prima del sisma. E non solo per il crollo dei mercati, che non risparmia l’abbigliamento carpigiano e alimenta le spinte alle delocalizzazione (da Modena in direzione di Ungheria, Slovenia e Turchia). La concorrenza a prezzi stracciati di centinaia di laboratori cinesi, trasferitisi nel distretto, ha anche mandato a gambe all’aria la rete dei subfornitori locali che circondava i confini del cluster (dove oggi un subfornitore su quattro è di origini asiatiche), inaugurando l’emorragia di artigiani e il lento ridimensionamento del distretto. La “strage” dei piccoli è nei numeri: la maglieria carpigiana negli anni Novanta contava 2.258 imprese, oggi si ferma a 879. L’occupazione nel frattempo si è quasi dimezzata: un tempo l’esercito di Carpi contava 14mila addetti, adesso la metà. Il terremoto di tre anni fa ha fatto il resto: il 26% delle aziende carpigiane viene “ferito” e i costi per ripristinare macchinari e capannoni inagibili sono pesanti: la stima è di 18 milioni di euro per la ricostruzione e almeno altri 20 milioni di fatturato in fumo per i fermi produttivi. Il crollo più pesante, non a caso, è nel 2013, quando le vendite del tessile modenese sono le più basse dall’inizio della crisi. In questo scenario, al contrario, le grandi griffe carpigiane hanno retto all’urto. Uscendo, dal punto di vista dei bilanci, indenni da queste vicende. Se chi operava sul mercato interno si è scottato, chi aveva le spalle larghe è volato all’estero a vendere i suoi capi, macinando utili e aumentando così il proprio “peso” dentro al distretto. Oggi le prime cinque maison – Liu Jo (la più grande), Twin Set, Champion, Blufin, Olmar and Mirta – valgono oltre la metà del fatturato dell’area. «Abbiamo chiuso il 2014 superando i 300 milioni di ricavi, con una crescita dell’8%. Stiamo puntando sull’internazionalizzazione e i canali retail diretti», spiega Marco Marchi, vicepresidente di Liu Jo e proprietario, a sua volta, di una squadra di pallavolo (la LJ Volley). Il manager sa bene dove puntare in futuro: «Nonostante la crisi della Russia, sono l’Asia e il Medio Oriente le aree con le più grandi possibilità di crescita». Quanto al distretto carpigiano, che conosce a memoria, «abbiamo in portafoglio una serie di aziende che per fortuna sono state capaci di recuperare le perdite di quelle piccole che producevano per conto terzi». Negli ultimi dieci anni, conclude, c’è stata una feroce selezione, e poi il terremoto, «ma con orgoglio siamo riusciti a risollevarci». Chiuso il biennio “nero” è quindi iniziata la risalita nell’olimpo del tessile, accompagnata dalla galoppata del Carpi Calcio in Serie A. Fuori dal terreno di gioco, a guidare la rimonta, certificata dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio del settore tessile, sono le griffe che più vendono all’estero, dagli Emirati Arabi alla vecchia Europa, inaugurando nuove collezioni a un ritmo frenetico. L’anno scorso i ricavi del cluster hanno superato gli 1,4 miliardi (+3,1%), mentre la quota di export è passata dal 33,8% al 36%. L’espansione degli store monomarca sui mercati stranieri ha fatto guadagnare centinaia di posti di lavoro: l’anno scorso le aziende più grandi hanno aumentato i dipendenti dell’11,3%, un risultato che non si registrava da tempo. L’intreccio tra calcio e tessile è stretto. Il volto principe è l’imprenditore Stefano Bonacini, fondatore del gruppo Gaudì e patron del club. Quasi una star nella piccola comunità carpigiana che deve a lui il sogno della promozione: «Le nostre aziende – racconta Bonacini – hanno realizzato grandi investimenti per non dipendere più dal mercato domestico, che è in difficoltà. Ormai l’internazionalizzazione dei marchi è iniziata cinque anni fa, ma andare all’estero costa fatica e quindi bisogna essere preparati e solo oggi vediamo i primi risultati». La sua Gaudì ha quasi raddoppiato le vendite, arrivando a 90 milioni di ricavi. L’imprenditore spiega con passione sia il futuro del Carpi («abbiamo iniziato quasi per gioco dall’eccellenza, andremo avanti con oculatezza ») che quello del “suo” distretto. La ricetta per lui è non rincorrere le catene internazionali, come H&M o Zara, ma giocare sulla qualità: «Le catene low cost hanno metrature dei negozi impossibili da raggiungere e un’offerta infinita a prezzi bassi. Noi dobbiamo seguire la nostra strada, puntando su prodotti ineccepibili e cercando di non scontrarci sul loro stesso terreno». Ma non è l’unico con il pallino per lo sport. A dare una mano al Carpi c’è la maison Blumarine della stilista Anna Molinari, che sponsorizza il logo sulle divise. Altro appassionato è il manager Maurizio Setti, che guida il gruppo Antress Industry, proprietario di Manila Grace, ed è il patron dell’Hellas Verona (ma in passato socio dello stesso Bonacini nel Carpi Fc).
Enrico Miele, Affari&Finanza 18/5/2015