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 2015  maggio 16 Sabato calendario

TESTA O CUORE


[Federico Mussini]

Vita da atleta: sveglia alle 7, scuola fino alle 13, pranzo veloce dalla nonna («Mi ha fatto trovare tutto pronto») e corsa al PalaBigi per intervista e servizio fotografico con SportWeek.
Che c’entra la scuola?, direte voi. C’entra, se l’atleta in questione ha 18 anni. Tanti ne ha Federico Mussini, playmaker della GrissinBon Reggio Emilia di basket lanciata verso i playoff che iniziano il 18 maggio. Un mese fa a Portland ha partecipato, unico italiano, al NikeHoop Summit, la sfida tra i migliori Under 19 degli Stati Uniti contro i pari età del resto del mondo. E da qui cominciamo per raccontare un talento straordinario che cresce in un corpo ordinario, almeno per chi fa il suo mestiere: 182 centimetri per 68 chili.
Quello di Portland è stato il primo passo verso un futuro nella Nba?
(sorride) «È difficile anche soltanto pensarlo, ma è evidente che ogni ragazzo della mia età che gioca a basket sogna di vedersi lì un giorno. E questo è anche il mio sogno più grande».
Cosa le ha lasciato una settimana di Nike Hoop Summit?
«La meraviglia provata guardandomi attorno: lì è tutto più grande – abitazioni, strade, palazzetti – rispetto a quello cui sono abituato. Poi, il fatto di essere coi migliori della mia età e giocare contro la nazionale giovanile americana. Infine, allenarsi davanti a una platea di scout Nba venuti apposta».
Se l’è fatta sotto?
(ride) «Questo no. Però i primi giorni ero teso, mi sentivo addosso lo sguardo di tutti. E io non mi sentivo normale. Mi accorgevo di tirare in modo diverso, almeno le prime volte: cercavo di essere perfetto agli occhi di chi mi osservava, e finivo per perdere naturalezza. Al contrario, quando mi riusciva una bella giocata ero orgoglioso come mai prima nella mia vita».
Con chi ha fraternizzato maggiormente?
«Col bosniaco Nedim Buza e il serbo Stefan Peno. Buza e io eravamo in camera insieme. Parlavamo inglese: me la cavo abbastanza e in una settimana là sono migliorato ancora. Ci siamo confrontati su tutto: gioco, allenamenti, ragazze, amici in comune...».
Poi è arrivata la partita.
«Cercavo di non pensarci, ma quando coach Ray Rana mi ha detto di entrare mi sono venuti in mente quelli che questa stessa sfida l’hanno già giocata: Durant, Garnett, Anthony Davis, Irving, Nowitzki che segnò 33 punti...».
Cosa ha fatto del primo pallone che ha toccato?
«Ho ricevuto la rimessa, ho portato palla nella metà campo avversaria e ho cercato di far giocare la squadra. Come nel resto del tempo passato in campo».
Non soltanto: le statistiche dicono che ha messo tre triple.
«Diciamo 2, più 3 tiri liberi segnati su un fallo preso al momento del tiro dietro la linea. Sono contento della mia prova: 20 minuti di gioco sono tanti e mi fa piacere essere rimasto dentro nei momenti decisivi. Non sono entrato in quintetto, ma ho giocato quando serviva in una partita punto a punto e vinta da noi 103-101. Non è stata la mia miglior gara anche perché era un’altra roba rispetto alla Serie A. E io ho cercato di non strafare».
Quando dice che era un’altra roba rispetto alla Serie A vuol dire...
«Che lì sono tutti giocatori di liceo, già strutturati fisicamente come tanti che giocano in A, ma che concepiscono il basket come tanti uno contro uno, a volte uno contro cinque».
E fuori dal campo cosa ha fatto?
«Ho soprattutto dormito. Ero stanchissimo come tutti gli altri. All’inizio abbiamo dato la colpa al fuso orario, ma dopo qualche giorno non poteva essere quella la ragione. Detto che gli allenamenti erano uguali ai nostri, alla fine abbiamo capito che ad ammazzarci era la tensione, l’adrenalina pazzesca che avevamo addosso».
E adesso? Dirà sì al quinquennale offertole da Reggio Emilia o alle offerte dei college americani?
«È una scelta molto difficile. Il cuore mi direbbe Reggio: è la mia città, c’è la mia famiglia, la società è perfetta, il pubblico mi adora... La testa dice America: avrei la possibilità di crescere come giocatore e come uomo. Amedeo Della Valle, che ha giocato per un’università americana, dice che lo rifarebbe ogni giorno per come l’esperienza lo ha cambiato in meglio. Deciderò presto, appena avrò raccolto tutte le informazioni necessarie sulle strutture, i metodi di lavoro e i progetti su di me dei due college che mi vogliono più di tutti gli altri: St. John e Gonzaga».
Ha parlato coi loro rappresentanti?
«Più volte. È dura scegliere anche tra loro due. Ho visitato St. John: una specie di città dei ragazzi. Roba mai vista».
Lei e Della Valle siete gli Splash Brothers di Reggio, sulla falsariga di Curry-Thompson, le bocche da fuoco di Golden State. Ma tra voi due chi è Curry, mvp della Nba?
«Io, senza discussioni! Curry è il mio idolo. Giocatore fantastico che riesce a far sembrare facili le cose più difficili. Umilia gli avversari col sorriso. E ha un fisico normale come il mio».
Come entra il basket nella sua vita?
«A 4-5 anni. A iscrivermi fu mia madre, che ha giocato a livello amatoriale. Mio fratello più grande è in Promozione».
A proposito di mamma e papà: i cazziatoni glieli fanno ancora oppure non ci provano più?
«No, li fanno, li fanno... L’ultimo l’ho preso poche settimane fa per il furto del motorino. L’avevo lasciato parcheggiato alle 5 del pomeriggio in pieno centro a Reggio, e avevo messo solo il bloccasterzo. Risultato...».
Che cosa fanno i suoi?
«Papà è avvocato, mamma commercialista».
E lei guadagna già più di loro?
(ride) «Io non prendo stipendio. Se lo facessi non potrei eventualmente andare al college».
Scuola?
«Liceo Scientifico e nonostante gli impegni sportivi mai un debito. Speriamo che l’ultimo anno non faccia eccezione. Con la matematica è dura, ma i prof sono comprensivi e io non ho mai approfittato del basket per saltare o far spostare una verifica».
Giornata tipo?
«Scuola, pranzo, studio, allenamento, ancora studio. Il sabato all’uscita la società manda una macchina per portarmi in ritiro, nelle serate di coppa a Bologna li raggiungevo io in treno».
Ma è vero che, durante la premiazione di un torneo giovanile a Reggio, lei, allora bambino, fu scoperto dai dirigenti della Pallacanestro Reggiana mentre faceva una serie di numeri incredibili con la palla in mano?
«Devo essere sincero: io questa storia l’ho sentita, ma non la ricordo. È vero che andavo a questi tornei in piazza per fare due tiri nell’intervallo delle partite o durante le premiazioni, ma non giurerei che mi abbiano chiamato per questo».