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 2015  maggio 16 Sabato calendario

ORIGINI ALCOLICHE PER LE LEGHE DEL BASEBALL


Ai vecchi tempi, prima che uno slogan degli Anni 60 (“il privato è politico”) venisse dirottato verso un imperativo da guardoni (“il privato è pubblico”); prima che i giornali attaccassero il suffisso “-gate” a qualsiasi storia, anche la più irrilevante, come se questo bastasse a elevarla al caso Watergate; prima che tutto venisse uniformato alla cultura dei tabloid, dove contano solo i pettegolezzi e una ristretta idea di cosa sia una questione di carattere; ai vecchi tempi, dunque, “quello che succede in campo è una notizia; quello che succede fuori non è affar nostro” era la regola principale del giornalismo, sportivo e no. Quando non indossavano l’uniforme, gli atleti potevano vivere la loro vita senza l’ossessione di essere sotto sorveglianza 24/24, 7/7. Fra una partita e l’altra, riempivano il tempo in compagnia di donne e alcol. Negli anni si è accumulata un’aneddotica sconfinata. La storia del pitcher Jim Bouton, che ha giocato fra il 1962 e il 1978, si intreccia con quel cambiamento culturale. Nel 1969 scrisse Ball Four, il primo libro onesto sul baseball pro: lo scandalo fu tale che l’allora commissioner Bowie Kuhn cercò di fargli firmare una lettera in cui diceva che il contenuto era tutto falso, lui rifiutò e a tutt’oggi i New York Yankees (per i quali ha giocato fino al 1968) non lo invitano all’Old-Timers Day. Restando alla Mlb e alle sue origini, vien fuori che la divisione in National e American League nasce da una faccenda di alcolici. William Hulbert, tra i fondatori della NL, oltre che presidente dei Chicago White Stockings (ora Cubs), venne eletto a capo della lega nel 1877. Fu un importante innovatore: tolse alle società il diritto di concordare fra di loro il calendario dopo che i club di New York e Filadelfia non avevano concluso la stagione 1876; introdusse gli arbitri per garantire l’integrità del gioco; squalificò a vita 4 giocatori di Louisville per aver venduto partite. Ma non per questo è passato alla storia. Lui stesso un proibizionista, nel 1881 aveva vietato la vendita di birra all’interno degli stadi. Voleva imporre un rigido codice vittoriano: niente partite la domenica, per onorare lo Shabbath, e regole severe per come si vestivano e comportavano i giocatori, quali parole inappropriate potevano usare (nessuna) e quanto alcol consumare (zero). A Cincinnati, città in gran parte di origine tedesca, che amava la birra e i circensi domenicali, non la presero bene, anche perché contribuivano al fatturato dei Red Stockings (ora Reds). Misero insieme Pittsburgh, Louisville e St. Louis, “città di fiume” come venivano chiamate in senso dispregiativo, aggiunsero Baltimora e Filadelfia, e fondarono l’American Association. Rispetto alla NL, i prezzi dei biglietti erano più bassi, l’atmosfera più operaia e l’alcol libero, anche in virtù del fatto che molte squadre erano finanziate da birrerie e distillerie, tanto da venir soprannominata The Beer and Whiskey League. Durò appena 9 anni, ma perché era gestita male, non perché molti giocatori fossero degli ubriaconi (Pat Deasley, dei St. Louis Browns, ora Cardinals, andava allo stadio tanto stordito che gli capitava di sbagliare spogliatoio, entrare in quello degli inservienti e presentarsi in campo con la tuta da giardiniere). Tuttavia, fu determinante nell’introdurre le World Series. Quelle originali si disputarono fra il 1884 e il 1890, con un formato che cambiava ogni anno, da un minimo di 3 a un massimo di 15 partite. La NL ne vinse 4, pareggiò 2 e perse una.