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 2015  maggio 19 Martedì calendario

IL LAMENTO DEL VENDITORE


Racconta Giovanni, una cinquantina d’anni, la faccia stanca ma non rassegnata: «Quando ho iniziato a lavorare in una concessionaria», spiega intorno a un tavolo assieme a un gruppo di venditori, «il capo mi diceva: “Non stare seduto tutto il giorno alla scrivania, vai al bar, gioca a carte e vedrai che, alla fine, a qualcuno una macchina la vendi di sicuro”». Altri tempi, altra Italia: in fondo, il Belpaese era ancora un paesone, poco più di un villaggio appena uscito da un’economia rurale. «Ma le cose stanno ancora così», incalza Giovanni, «solo che il bar è virtuale: si chiama Facebook, Twitter, chat. Ma loro non lo hanno ancora capito». Chi sono, “loro”? «I concessionari, le Case».
Ecco il punto. La frattura. Da una parte, i venditori: provati, esasperati, demotivati. Dall’altra, i dealer e i costruttori. Con i primi che, giunti al limite, hanno costituito un gruppo su Facebook che ha già raccolto oltre 3 mila adesioni (pur essendo riservato agli addetti ai lavori). Uno spazio in cui si sfogano, discutono dei loro problemi. «Come la questione dei “porte aperte”», incalza Francesco (i nomi sono di fantasia, per tutelare il posto di lavoro degli interessati), un altro venditore che, in rappresentanza del gruppo, ha voluto incontrarci. «Ormai siamo aperti tre domeniche su quattro. Inutilmente, perché la gente ha ben altro da fare, nei giorni festivi. Stiamo per ore alle scrivanie, ad aspettare persone che non varcano le soglie delle concessionarie. Uno spreco di tempo e di risorse».
Nessun guadagno supplementare, perché, essendo ormai quasi tutti inquadrati come liberi professionisti, agenti di commercio o procacciatori di affari, i venditori non hanno diritto a remunerazioni ulteriori, ma al massimo a un giorno di recupero. Nessun vantaggio, ma tanti inconvenienti. Con la famiglia, i figli, i rapporti personali impossibili da mantenere.
Ora, tutto questo sarebbe accettabile se, almeno, portasse ad allargare il giro d’affari: ma non succede. «Ormai è provato», rispondono in coro i nostri interlocutori, «che stare aperti sempre non giova alle vendite: le persone che entrano in concessionaria la domenica sono le stesse che lo avrebbero fatto in un qualsiasi altro giorno della settimana. E che, magari, gradirebbero maggiormente un’ora di apertura serale in più, per venirci a trovare dopo essere uscite dall’ufficio».
È stata una grande trovata, quella del “porte aperte”: li ideò, negli anni 80, Antonio Ghini, all’epoca direttore marketing della Renault (prima di una lunga militanza alla Ferrari), con iniziative abbinate a concorsi che portarono centinaia di migliaia di persone negli autosaloni. «Nessuno ne nega la validità storica», commenta Giovanni, «però hanno fatto il loro tempo: neanche i concessionari li vorrebbero più. Sono le Case che persistono in strategie di marketing ormai vecchie».
La conferma arriva da Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione dei concessionari: «Premesso che, oggi, già avere un lavoro è un privilegio e che ci sono tante altre categorie chiamate a turni massacranti», commenta, «condividiamo la posizione dei venditori. Anche noi abbiamo chiesto alle Case di ridurre le aperture domenicali, perché riteniamo che non portino benefici in termini di fatturato. Non abbiamo, però, trovato disponibilità, perché i costruttori vogliono conservare libertà di manovra nelle loro azioni di marketing e noi non possiamo che adeguarci».
È probabile che nessuno di loro voglia fare il primo passo, per paura di lasciare spazi aperti ai concorrenti in un momento in cui si lotta a coltello per la difesa di decimali di quote di mercato. Il problema, però, è che tutto questo si riflette negativamente sui clienti. «Che si trovano davanti», conclude Giovanni, «interlocutori affaticati, impreparati a cogliere le loro esigenze e dequalificati: più simili agli addetti degli ipermercati che a consulenti in grado di dare consigli efficaci a consumatori disorientati dal profluvio di offerte».

DAL DIVANO DI CASA
A perderci, in questo gioco al massacro, alla fine sono un po’ tutti. Bisogna tornare al dialogo tra le parti, chiedono gli amici del gruppo di Facebook, pronti a costituirsi in associazione di categoria. Per far capire anche che «non è una mera questione di soldi». Certo, i margini di guadagno sono risicati: su ogni auto venduta, le provvigioni vanno dai 15-20 euro per le utilitarie ai 120-130 per vetture con prezzi superiori ai 100 mila euro. «Per forza», sottolinea un altro venditore, «poi sei costretto a cercare di piazzare il finanziamento, che garantisce una provvigione supplementare, o altri servizi, come l’estensione di garanzia o l’assicurazione». Anche i concessionari, del resto, arrotondano cosi utili sempre più sottili. «Ma il problema principale», precisa Giovanni, «è che tutto ciò danneggia il rapporto con la clientela». Che andrebbe sì inseguita, ma con ben altre modalità: per esempio, sfruttando a fondo gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. «Siamo pronti a lavorare 24 ore su 24, perché oggi lo puoi fare con smartphone e tablet anche dal divano di casa».
È il mestiere che è cambiato: ora, invece di redigere conti su un pezzo di carta, è più utile inseguire un “lead”. Ovvero, quella che viene definita dagli addetti ai lavori come qualsiasi richiesta di preventivo, test drive, valutazione dell’usato, permuta, finanziamento, noleggio, attuata da un potenziale cliente attraverso il proprio computer. Un “lead”, sul sito di una Casa, di un dealer, di una rivista specializzata, è una manifestazione d’interesse che non deve mai cadere nel vuoto: va coccolata, fino a trasformarla in un appuntamento “fisico” in una concessionaria. Oggi accade, in Italia, nel 20% dei casi; in America, nel 75%. E il 10-15% degli appuntamenti si traduce poi in una vendita effettiva. C’è chi di tutto ciò ha fatto il proprio business. Perché è in questa direzione che sta andando il mondo. E bisogna fare in fretta ad adeguarsi.