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 2015  maggio 17 Domenica calendario

CACCIA AI RIFIUTI NELLO SPAZIO

Venerdì scorso la Terra è stata sfiorata, con un passaggio a circa 300.000 chilometri di distanza, da un asteroide di 10 metri di diametro. Nelle stesse ore il nostro pianeta è stato invece colpito in pieno dal satellite russo Progress, pesante 7 tonnellate, in caduta libera dopo che l’Ente spaziale russo ne aveva perso il controllo. Per fortuna i frammenti sono precipitati nell’Oceano Pacifico. Non c’è che dire, il cielo sulle nostre teste comincia a farsi sovraffollato e pericoloso. Tanto che due mesi fa la Commissione europea ha dato il via libera al consorzio di sorveglianza degli oggetti spaziali. Ne fa parte anche l’Italia, oltre a Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna. «Questi cinque Paesi, coordinati tra di loro, monitoreranno i detriti spaziali in orbita e forniranno informazioni agli operatori spaziali e alle varie Protezioni civili europee sugli oggetti che rischiano di entrare in collisione fra loro e quelli che rientrano nell’atmosfera». Lo afferma Claudio Portelli, responsabile per l’Agenzia spaziale italiana del rischio detriti spaziali. Segnatevi la data del 19 marzo 2015: in questo giorno è nato il gruppo europeo degli spazzini dello spazio.
“SPAZZATURA SPAZIALE”
Quando, nel 1957, l’Unione sovietica lanciò lo Sputnik lo spazio era vuoto di manufatti umani. Non c’era la preoccupazione di dover collocare o smaltire, dopo l’uso, i razzi e i satelliti. Si lasciavano in orbita, tanto c’era spazio a sufficienza. Da allora a oggi, però, si calcola che siano stati lanciati oltre 4.000 satelliti. E molti di questi oggetti sono restati nello spazio anche dopo la fine della loro vita operativa continuando, inerti, a girare. Qualcuno si è rotto e ha generato frammenti. Non tutti sono famosi come il guanto che un astronauta del Gemini 4 perse durante la prima passeggiata nello spazio o come la macchina fotografica che sfuggì di mano a Michael Collins durante la missione Gemini 10. Per la maggior parte si tratta di pezzi di metallo: la Nasa ha contato circa 20.000 detriti maggiori di cinque centimetri (ma sono milioni i detriti ancora più piccoli) orbitanti fino a 2.000 chilometri d’altezza di cui 1.500 in orbita geostazionaria a 36.000 chilometri d’altezza. Questi frammenti, che viaggiano nello spazio fino a 28.000 chilometri all’ora, costituiscono un pericolo costante. «Un semplice bullone da 5 centimetri possiede energia sufficiente per sfondare un satellite da parte a parte», dice Portelli. Il primo pericolo da scongiurare è naturalmente che i detriti alla deriva possano colpire la Stazione spaziale internazionale, con gli astronauti dentro. Ma non è trascurabile neppure il rischio che la “spazzatura spaziale” impatti con i satelliti operativi. Dallo scontro si genererebbero altri frammenti e si potrebbe innescare la temuta “sindrome di Kessler”, una reazione a catena che riempirebbe lo spazio di rottami rendendo impossibili le missioni spaziali. «Già ora dice Portelli la stazione spaziale è costretta a cambiare rotta quattro volte all’anno per evitare detriti spaziali che si avvicinino a
più di 500 metri». Un altro considerevole margine di rischio riguarda noi abitanti della Terra. La maggior parte dei corpi che entra in contatto con l’atmosfera si disintegra ma qualche frammento potrebbe lo stesso cadere al suolo o sulle nostre teste. Nell’ottobre del 2011 il satellite DLR Rosat precipitò nel Golfo del Bengala ma se il rientro fosse avvenuto solo qualche minuto più tardi sarebbe caduto sopra Pechino.
GLI INCIDENTI
L’ultimo incidente spaziale, prima di quello del Progress russo, è avvenuto lo scorso 3 febbraio. Il satellite della Difesa Usa Dmsp-F13 è esploso spaccandosi in 43 pezzi. «Ma i problemi più grossi dice Portelli sono venuti dalla distruzione volontaria di un satellite cinese Fenjung 1C nel 2007 che ha prodotto una nuvola di tremila frammenti e dalla collisione nel 2009 tra un satellite russo e uno americano, il primo scontro tra satelliti intatti nella storia, che ha prodotto più di duemila detriti. Per noi europei il problema più grosso si chiama Envisat, un satellite di 8 tonnellate che ha finito la sua vita operativa e che è ad oggi l’oggetto spaziale non controllato più pericoloso che ci sia».
I PROGRAMMI
Gli italiani si stanno distinguendo per la progettazione di programmi di pulizia spaziale. Il più avanzato è il D-Orbit. «Si tratta dice Portelli di un dispositivo da montare a bordo di un satellite. Quando il satellite giunge a fine vita o ha un guasto si attiva il dispositivo che ha il compito di guidarlo in modo sicuro nel rientro sulla Terra o, se il satellite è in orbita geostazionaria, di parcheggiarlo in un’orbita-cimitero. Quest’anno dovrebbe essere lanciato il primo satellite con a bordo questo dispositivo. Ma altri progetti continua Portelli propongono reti, arpioni, bracci robotici per ripulire lo spazio. Uno studio dell’Università di Roma ha ipotizzato addirittura una schiuma adesiva per catturare gli oggetti in orbita».