Giancarlo Perna, Libero 16/5/2015, 16 maggio 2015
«MACCHÉ MUSSOLINI IL NOSTRO PREMIER RICORDA FRA’ CIPOLLA»
Se uno è di Livorno, che del comunismo italiano è stata città natale e roccaforte, e invece di intrupparsi si dichiara liberale, è una testa matta. È il caso di Marco Taradash che, come vedremo, è anche una testa dura. Sono suo ospite a Firenze nel Palazzo della Regione Toscana dove tra un’ora ha un incontro con la stampa in vista delle elezioni del 31 maggio. Marco è consigliere regionale Ncd, ma ancora per poco. Ha infatti deciso di non ripresentarsi, anche per le scarse prospettive degli alfaniani locali. «Voglio fare politica in senso più ampio», dice introducendomi nel suo ufficio, vasto come un salone, con quadri e annessa cappella gentilizia che fa molto corte dei Medici. Marco, che vive a Livorno, è settimanalmente a Firenze per due impegni. Uno è quello che sta per concludere in Consiglio regionale. L’altro, che onorerà finché vive, è il commento dei giornali del sabato dalla postazione di Radio radicale di cui è da quarant’anni la voce toscaneggiante, contraltare al gagliardo romanesco di Massimo Bordin. «Che intendi quando dici politica in senso più ampio?», chiedo. «Riprovare per l’ennesima volta a dare un’anima liberale al centrodestra», dice sorridendo, più a se stesso che a me, per questa sua inguaribile mania nonostante sia reduce da molti tentativi andati a vuoto che gli meriterebbero l’onorificenza «testa di coccio». Taradash è fissato col liberalismo da una vita. Da ragazzo, ha militato tra i giovani del Pli. Poi si è imbattuto nei radicali che dei liberali sono la variante spinello e digiuni. Marco Pannella è stato il suo idolo. Si è iscritto al Pr e per una legislatura ne è stato deputato (1992-1994). Tuttora rinnova la tessera. Quando i radicali negli anni ’90 sono andati verso i socialisti con la Rosa in Pugno, Taradash ha scelto di fare il liberale in casa Berlusconi e per due legislature - dal 1994 al 2001- è stato deputato di Fi. Poi, proprio in quello che doveva essere il partito liberale di massa, i liberali sono stati presi a pedate. Il democristianume ha prevalso e il Cav si è lasciato sommergere. «Nel 2001, quando dovevo essere ricandidato - ricorda Taradash -, ci fu un veto di Claudio Scajola, capo dell’organizzazione, che fece fuori tutti i rompiscatole come me. Per le mancate riforme, Berlusconi se l’è sempre presa con l’indocilità degli alleati. È stato invece il suo stesso partito a impedirgliele. A travolgerlo, il sistema di potere instaurato dalle terze file dell’ex Dc che se ne infischiavano di riformare e pensavano solo a vincere. Perciò il Cav, bravissimo a trionfare elettoralmente, non ha realizzato neanche in minima parte il suo programma. Colpa pure del suo carattere, tanto decisionista da imprenditore, quanto indecisionista in politica». «Però, nonostante Scajola & co, hai continuato a bazzicare il centrodestra anche se dal 2001 che non sei più deputato», dico. «Per le elezioni del 2006 - risponde - fondai con Benedetto Della Vedova, e altri liberal-radicali come noi, i Liberali Riformatori, per rianimare il liberalismo di Fi. Berlusconi ci accolse benissimo perché temeva di perdere malamente contro Prodi. Dopo il voto però la zavorra ex dc è riemersa e i liberali sono stati nuovamente liquidati. Ma non mi sono arreso. Nel 2012, ho fondato Sedizione liberale, un nuovo movimento, vivo e vegeto». «Perché hai seguito gli scissionisti di Alfano?», chiedo. «Per due ragioni - risponde Taradash, che ha tirato fuori un toscano che terrà sempre spento, accontentandosi di addentarlo -. La prima è che Berlusconi ha improvvisamente lasciato il governo Letta, dopo averlo giustamente appoggiato, riconquistando visibilità. L’altra è l’incomprensibile decisione di sciogliere il Pdl, che era un’alleanza di centrodestra, per tornare a Fi. Così, ha innescato negli ex alleati la tentazione di andare sempre più a destra. Ora, con un’altra giravolta, vuole nuovamente riunire i moderati in un partito repubblicano all’americana. Ma cos’era il Pdl se non un’anticipazione di questo progetto?». «Diceva di essere stufo del teatrino della politica rappresentato dagli alleati», gli ricordo. «Berlusconi parla sempre di teatrino. La verità è che non distingue più il teatro della politica dal teatrino. Un dramma di Shakespeare o uno spettacolo del Bagaglino per lui in politica sono lo stesso», dice Taradash con l’impazienza di un uomo che a sessantacinque anni, tanti ne ha, non sopporta più le bizze di chicchessia. C’è ancora il centrodestra? «Non c’è più. È da ricostruire». Il Cav è il leader o un ostacolo al rilancio? «Berlusconi c’è. È un fatto. Bisogna però chiedergli di mettersi al servizio del centrodestra del futuro, recuperando i valori liberali. In nessun modo dovrà essere lui il centravanti. Faccia l’allenatore, il capitano che sta in panchina, quello che vuole...». Ma? «Che non stia lì solo perché è sostenuto da reggicoda interessati unicamente salvaguardare il proprio potere nel partito». Se non fosse stato perseguitato avrebbe fatto di più oppure ha limiti politici destinati comunque a venire a galla? «Se nel ’94 non fosse stato azzoppato, la storia sarebbe andata diversamente. Io, comunque, non conto più su di lui da dieci anni». Perché dici che non c’è il centrodestra? «Non ha senso un centrodestra con Matteo Salvini figura predominante». Salvini piace a molti ex berlusconiani. «È un estremista di destra. Il fatto che da giovane sia stato comunista è un’aggravante. Che guidi il centrodestra che fu del Cav, è contro natura. La sua spregiudicatezza può essere indizio di intelligenza, ma anche del contrario». Non stravedi, mi sembra. «Per sfondare, sceglie gli obiettivi più facili: gli zingari, gli immigrati, l’euro. Uno che torna dalla Corea del Nord e dice: quanto è bello, lì i bambini non passano il tempo a pigiare sul cellulare, o lo voti o lo mandi alla neuro». Sei più tenero verso il grillismo? «È la valvola di sfogo dei malumori per una politica che non offre soluzioni. Il grillismo in sé, è però una mostruosità politica. Un’idea totalitaria della democrazia, in cui la volontà generale - espressa da quattro gatti della Rete - prevale sulle istituzioni liberali». Rimpiangi di essere sceso dal grembo di Pannella? «Gli sono vicino tuttora. Quello radicale è il migliore mondo politico che abbia conosciuto e Pannella una figura gigantesca della storia politica italiana». Per quali meriti Matteo Renzi domina la scena? «Se è un dominio, è sul filo del rasoio. Gli possono fare la pelle da un giorno all’altro e sarebbe un peccato». Dunque, ti piace. «Ha avuto il coraggio di usare il linguaggio di Berlusconi da sinistra. Forse ha preso per modello il socialista Schröder che ha fatto in Germania ciò che Margaret Thatcher fece in Inghilterra. Comunque, non si può che ammirarne l’energia decisionista». Il che, secondo molti, getta su di lui l’ombra della Buonanima. (ride) «Mussolini era un socialista rivoluzionario, portato perciò al totalitarismo. Renzi è un tardo democristiano che ricorda Amintore Fanfani, eminente politico della ricostruzione postbellica. Riconosco piuttosto in lui i tratti di Fra’ Cipolla». Fra’ Cipolla? «Il personaggio di Boccaccio che volendo raccogliere il massimo di elemosine spacciava piume di pollo per reliquie provenienti dalle ali dell’Arcangelo Gabriele. Anche Renzi talvolta vende fuffa per farsi bello. Altro che Mussolini». L’Italia di Renzi è più considerata di quella del Berlusca? «Sì. Soprattutto nella destra europea. Ricorderai i sorrisetti Merkel e Sarkozy. Renzi è abile anche nei rapporti umani». Pure lui, però, tergiversa sulla riforma della Giustizia. «Ne parla ma non fa niente. Inoltre, ha fatto del populismo giudiziario quando propose per Guardasigilli il pm Francesco Gratteri. Dobbiamo ringraziare Napolitano che gli impose la nomina di un politico». Ha fifa delle toghe? «Può darsi. Lui infatti può combattere e vincere il sindacato. Ma basta un solo pm - in qualsiasi parte del Paese - per sconfiggere con un avviso il Presidente del Consiglio. Il coraggio però se lo deve dare». Durerà il fiorentino? «Lo vedo molto a rischio e mi dispiacerebbe». Come immagini l’Italia tra dieci anni? «Disastrata. Al massimo, in faticosa ripresa. Niente di più».