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 2015  maggio 16 Sabato calendario

GLI ETERNI RIVALI COSTRETTI A PIÙ FORTI LEGAMI ECONOMICI

Rivali praticamente su tutto ma costretti a collaborare. Se le relazioni politiche tra i protagonisti del promesso secolo asiatico non sono mai state semplici, quelle economiche sono rimaste sempre molto al di sotto del potenziale. L’interscambio tra India e Cina, che si aggira ormai attorno ai 70 miliardi di dollari, anche se lievitato rispetto ai 3 miliardi del 2000, è «basso» per stessa ammissione del premier cinese Li Keqiang. Quanto a presenza produttiva, la Cina investe in India più o meno quanto la Polonia. Di recente, però, i due giganti hanno cominciato a “cercarsi”, New Delhi a caccia di capitali per mettere il turbo alla sua crescita, Pechino alle prese con i limiti del proprio modello di sviluppo.
A settembre era stato il presidente cinese Xi Jinping a far visita al premier Narendra Modi, eletto solo pochi mesi prima. Ora Modi restituisce la cortesia con questo tour, cominciato giovedì proprio nella città natale di Xi, Xian, una significativa deviazione dal protocollo per il capo di Stato cinese, che di solito riceve i leader esteri nella capitale.
L’esuberanza economica della Cina ha sempre rappresentato per l’India una sorta di riferimento costante, l’ingombrante rimando a quello che sarebbe potuta diventare senza mai riuscirci. Un’ossessione, per certi versi un modello da imitare, ma non troppo. New Delhi, a differenza di Pechino, è una democrazia ed è orgogliosa di definirsi tale. La sua economia però è un quinto di quella cinese, che si trova a uno stadio più avanzato sotto tutti i profili: la sua industria è più competitiva, le infrastrutture più moderne, anche nell’istruzione e nella sanità, dove pure Pechino non brilla, l’India insegue da lontano. Anche la condizione femminile sembra migliore in Cina, dove il 44% delle donne in età lavorativa ha un impiego, contro il 25% in India. Pechino, poi, ha conquistato un ruolo di potenza globale riconosciuta, mentre le (legittime) ambizioni del Subcontinente a entrare nel club dei grandi restano appese alla rivendicazione del seggio permanente nel Consiglio di sicurezza Onu.
Almeno un primato, New Delhi è riuscita a strapparlo alla Cina, quello di grande economia a più alto tasso di crescita. Il Pil indiano viaggia tra il 7,5 e l’8,5%, quello cinese stenta a restare al 7%. E se i dubbi sulla revisione del Pil di recente operata da New Delhi offuscano il sorpasso, le statistiche di Pechino non hanno mai brillato per trasparenza.
Per molti versi, l’India è oggi al livello di sviluppo che la Cina aveva già raggiunto all’inizio degli anni 2000. Un gap di una decina di anni, non del tutto casuale. Se l’avvio del miracolo cinese può essere individuato nelle riforme varate da Deng Xiaoping nel 1978, il decollo indiano può esser fatto risalire alle liberalizzazioni del 1991, imposte da una severa crisi economica. Negli anni successivi, l’India è cresciuta a ritmi prossimi al 10%, in linea con quelli cinesi. Ma dal 2011 ha cominciato a rallentare, frenata soprattutto dall’incapacità di risolvere i propri nodi strutturali e di dotarsi di un sistema industriale perlomeno da Paese emergente: il settore manifatturiero genera appena il 17% del Pil, quasi la metà di quello cinese. Tra le conseguenze di questa struttura produttiva sbilanciata sul settore dei servizi c’è il deficit commerciale dell’India, un terzo del quale, 45 miliardi di dollari, è proprio con la Cina. Non a caso Modi ha sollevato il problema a Pechino. Il suo programma Make in India, che punta all’industrializzazione del Paese, passa proprio per la sostituzione delle importazioni con produzione locale.
Il rilancio - o meglio il lancio - della collaborazione economica tra i due giganti dovrà però superare differenze profonde. Senza dimenticare il fatto che l’India offre asilo al Dalai Lama, la disputa sul confine himalayano, che nel 1962 ha portato a uno scontro aperto, ha allungato la sua ombra perfino sul viaggio del presidente Xi in India, a settembre. E l’assertività cinese nella regione preoccupa molto New Delhi, sia quando avanza pretese territoriali sul mar della Cina meridionale, sia quando finanzia progetti di sviluppo in Pakistan, il nemico di sempre. Appena un mese fa, in visita a Islamabad, Xi ha presenziato alla firma di accordi per 46 miliardi di dollari. Tutto l’ambizioso programma di sviluppo regionale One belt, One road, con il quale Pechino sogna di rilanciare la Via della seta a suon di miliardi, visto da New Delhi assume il riflesso inquietante di un potente vicino che diventa sempre più invadente e influente.
Il pragmatico Modi ha fin qui ha risposto intensificando le relazioni con i Paesi della regione (dalla Cina, il premier indiano partirà per Mongolia e Corea del Sud, portando a 20 i Paesi visitati in un anno di mandato) e cercando una sponda negli Stati Uniti, sempre aperti ad alleati nella strategia di contenimento di Pechino. Ma la contromisura più ambiziosa resta appunto quella di fare dell’India un hub mondiale dell’industria, anche se a finanziare le fabbriche che servono dovessero essere proprio i capitali di Pechino.
g.didon@ilsole24ore.com
Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore 16/5/2015