Paolo Mastrolilli, La Stampa 17/5/2015, 17 maggio 2015
CON I RAZZI LOW COST LO SPAZIO È PIÙ LONTANO
Abbiamo perso la strada per le stelle. L’esplosione del razzo russo Proton-M, caduto ieri dai cieli della Siberia otto minuti dopo il lancio, è solo l’ultima conferma della crisi dei programmi spaziali, che sta colpendo insieme Mosca e Washington. I problemi economici hanno frenato le ambizioni dei governi, riducendo le loro operazioni o spingendoli a rivolgersi ai privati, e i risultati sono deludenti.
Il Proton-M è decollato alle 11,47 del mattino dal Cosmodrome di Baikonur, in Kazakhstan, trasportando un satellite messicano per le telecomunicazioni. Circa otto minuti dopo è caduto in Siberia, nella regione di Chita, perché il terzo stadio che doveva portarlo a 110 miglia di altezza non ha funzionato.
La catena di incidenti
È solo l’ultimo fallimento di quella che sta diventando una lunga serie. A fine aprile, l’agenzia spaziale russa Roscosmos aveva annullato la missione del cargo M-27M, che doveva rifornire la stazione spaziale orbitante internazionale, per un problema tecnico avvenuto dopo il lancio che non consentiva l’attracco in sicurezza. Nel 2011 era caduto il cargo Progress in Sibera, e nel 2012 Mosca aveva dovuto annullare la missione Phobos-Grunt, destinata a raggiungere una luna di Marte. Esasperato, nel 2013 il premier Medvedev aveva cambiato il capo di Roscosmos, sostituendo Vladimir Popovkin con Oleg Ostapenko, ma poco dopo lo ha rimpiazzato ancora con Igor Komarov.
Budget all’osso
I problemi però non sembrano finiti, come hanno dimostrato gli ultimi incidenti. A pesare sono soprattutto la crisi economica, il calo del prezzo del petrolio e le sanzioni per l’aggressione in Ucraina, che hanno spinto il governo a ridurre del 32% il bilancio dell’agenzia spaziale. Così ha messo in dubbio i piani russi per terminare il nuovo Vostochny Cosmodrome, mandare in orbita la loro stazione entro il 2023, volare intorno alla Luna entro il 2025 e atterrarci entro il 2029.
Il programma americano non va molto meglio. Nell’ottobre scorso il razzo Antares prodotto dalla compagnia privata Orbital è esploso in Virginia poco dopo il decollo, mentre il piano per il turismo spaziale della Virgin Galactic ha subito un duro colpo, quando alla fine dello stesso mese la sua navicella SpaceShipTwo è precipitata nel deserto del Mojave, uccidendo uno dei piloti.
Anche nel caso della Nasa, il problema sono soprattutto i fondi. Già prima della crisi economica del 2008 i programmi erano stati ridotti, con la cancellazione degli Shuttle. L’idea era che queste operazioni andavano affidate ai privati, risparmiando i soldi rimasti per investirli invece nei grandi progetti.
Space X, ad esempio, ha ricevuto l’incarico di rifornire la stazione orbitante internazionale, in collaborazione con i russi. Questa linea doveva promuovere una salutare competizione tecnologica ed economica fra i gruppi privati interessati ad entrare nel business dello spazio, tipo appunto quello di Elon Musk, Richard Branson, Blue Origin di Jeff Bezos e magari Google, consentendo alla Nasa di indirizzare le risorse rimaste nelle missioni da sogno. La prima parte del progetto, però, non ha dato finora i risultati auspicati, mentre la seconda è rimasta a lungo avvolta nell’incertezza.
Su Marte entro il 2030
All’inizio l’obiettivo era atterrare sopra un asteroide, e magari tornare sulla Luna, ma questo progetti sono stati accantonati perché erano costosi, senza essere abbastanza eccitanti. Ora il target dichiarato della Nasa è arrivare su Marte entro il 2030, e a questo scopo ha anche firmato un contratto da 2,8 miliardi di dollari con la Boeing per sviluppare il nuovo Space Launch System, ossia il razzo che dovrebbe consentire le future esplorazioni umane dello spazio. Il primo test sarebbe in programma già per il 2017. Il condizionale è necessario non solo perché le imprese spaziali sono sempre difficili, ma pure perché l’appetito non è enorme. Negli anni Sessanta la corsa alle stelle era una questione di orgoglio nazionale, ma anche di sviluppo delle tecnologie per vincere la Guerra Fredda. Ora resta quasi solo l’esortazione di Ulisse a non viver come bruti.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 17/5/2015