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 2015  maggio 17 Domenica calendario

DE RITA: “LA GENTE NON SI FIDA SOLO NEI PROSSIMI MESI SI CAPIRÀ SE È UNA SVOLTA VERA”

«È ripartito il mattone e adesso, grazie all’aumento del risparmio, gli italiani possono permettersi qualche cena fuori in più». Il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, scompone gli ultimi dati per certificare che «i consumi delle famiglie sono un po’ cresciuti». Ma «la percezione diffusa della ripresa è ancora scarsa perciò la gente non si fida a spendere: nei prossimi mesi capiremo se è in atto una vera svolta».
Cosa è effettivamente cambiato negli ultimi mesi?
«Sono ripartiti i mutui per le case. Il risparmio si indirizza verso la ricchezza finanziaria e immobiliare. Adesso, però, il piccolo aumento del Pil è dovuto anche al mercato interno in movimento e non più solo alle esportazioni come accadeva in passato. Quando il mercato interno riparte un po’ e il risparmio cresce gli italiani possono cenare fuori casa qualche volta in più e permettersi piccole spese perché stavolta c’è un minore controllo psichico del consumo. Non siamo certo il popolo dell’avaro di Molière».
Per la prima volta negli ultimi anni la ripresa torna a spingere i consumi. Lo prevedeva?
«I consumi salgono lentamente. È un risultato. Tutti dicono che in Italia non c’è più un euro, ma non è vero. Aumentano i depositi bancari, le polizze vita, il risparmio nei fondi d’investimento (30 miliardi a trimestre), i soldi provenienti dall’economia sommersa e nascosti nel materasso. Lo conferma il fatto che in giro sono introvabili le banconote da 200 e 500 euro. Il nostro sistema economico e sociale si regge su un tessuto di piccole e medie imprese, su una rete di banche radicate sul territorio, su un modello di welfare che, tutto sommato, funziona e ha retto bene. Dall’inizio della crisi le famiglie si sono costituite un “tesoretto”. E così hanno fatto anche le imprese. Quello italiano è un modello che il Censis ha teorizzato dagli anni ‘70. Forse è premoderno ma, tutto sommato, ha consentito al Paese di restare in piedi».
Che tipo di risparmio cresce?
«E’ di due tipi. Uno legato a un fattore esistenziale: si preferisce mettere da parte in vista di qualche investimento o nel timore di malattie o esigenze future. Per almeno tre anni quello che entrava veniva messo a risparmio invece che a consumo. Anche gli 80 euro di Renzi sono andati più ad aumentare il consumo e a pagare le bollette che a rimettere denaro in circolazione. Il secondo tipo di risparmio è il capitale inagito, cioè non adoperato né intaccato più di tanto dalle spese ordinarie. Le famiglie e le imprese si autofinanziano in questo modo, facendo fronte ai minimi bisogni di ogni giorno, ma senza tensione a innovare e restando ancora seduti sul proprio risparmio».
Il mercato interno è ripartito ma non ciò non basta a rendere più dinamica l’economia?
«I soldi ci sono, ma in gran parte vengono patrimonializzati, gli italiani non li rimettono in giro. Hanno paura. Finora dall’Istat è arrivato un dato aggregato. Bisognerà analizzarne nei prossimi mesi la composizione per capire se l’Italia ha davvero imboccato la strada della risalita. Oggi si registrano segnali positivi ma il quadro resta preoccupante. Presto si vedrà l’esito».
Colpa dei soldi nel materasso?
«La ripresa percepita è inferiore a quella reale. Ma non va demonizzata l’attitudine al risparmio degli italiani. L’85% delle famiglie ha la casa di proprietà. Impariamo la lezione dei momenti più bui della crisi da cui forse stiamo uscendo. I soldi messi da parte grazie a una innata propensione al risparmio hanno evitato il crollo dei consumi. Non senza punti oscuri».
A cosa si riferisce?
«Il lavoro nero, il sommerso è un fattore che non va giustificato. Però dà elasticità al sistema. Non sono mancate furbizie fiscali e nel tempo tanti cassintegrati si sono arrangiati con qualche impiego non in regola. Non vanno trascurati l’intervento dello Stato che ha messo a disposizione ingenti risorse per finanziare la cassa integrazione e il ruolo della famiglia. Le piccole e medie imprese hanno approfittato della crisi anche per ristrutturarsi e fare magazzino. La ripresa non poteva che partire dal basso, dalle imprese, dal mondo delle professioni, mentre il terziario negli ultimi anni si è gonfiato troppo. Per troppi anni solo il ricorso agli ammortizzatori sociali ha consentito di contenere gli effetti della disoccupazione. Ora la politica deve guardare lontano».
Giacomo Galeazzi, La Stampa 17/5/2015