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 2015  maggio 17 Domenica calendario

C’È LA RIPRESA, MANCA ANCORA LA FIDUCIA

Pressoché tutti i sabati, quando il flusso delle notizie economiche rallenta, la Confesercenti si esercita in una sorta di controcanto alle statistiche ufficiali con serie di dati e interpretazioni originali della congiuntura. Le indagini statistiche sottostanti non hanno, naturalmente, la robustezza di quelle tradizionali, ma costituiscono, in ogni caso, un completamento non banale del quadro statistico e soprattutto del «sentire» del Paese.
Il messaggio offerto agli italiani questo sabato è chiaro: sulla base di un nuovo indice della Solidità Economica delle Famiglie (Sef) la Confesercenti ribadisce una fotografia purtroppo nota: una buona metà delle famiglie ancora non «sente» la ripresa. Il 56 per cento degli intervistati dichiara, infatti, di avere una situazione finanziaria «insoddisfacente» un aggettivo che rivela uno stato d’animo oltre che una situazione oggettiva. Per un quarto di queste famiglie, il 14 per cento del totale, il reddito mensile risulta insufficiente a coprire le spese indispensabili e questo corrisponde, grosso modo, all’area di povertà. L’indice Sef risulta in lieve miglioramento rispetto a dicembre, quando faceva registrare il valore di 52, ma è fermo al livello di 55, raggiunto a febbraio.
La ripresa, ancora modesta, appare abbastanza chiaramente nei cosiddetti «macrodati», relativi all’intero Paese, ma luccica di meno, o non luccica affatto, man mano che dai dati complessivi si scende alle situazioni concrete. Qui troviamo estese zone d’ombra e una prevalenza di condizioni non favorevoli al rimbalzo dei consumi privati, uno dei motori indispensabili perché l’aeroplano dell’economia italiana, ormai decollato, possa raggiungere un’altezza e una velocità che lo porti a una durevole ripresa. Se ne può concludere che la strada è lunga (per la quantità mancante), ma anche accidentata (per la qualità dell’azione ancora necessaria).
In altre parole, la ripresa è ancora largamente «fuori di noi»: nei programmi di investimento delle imprese che si realizzeranno gradatamente nel tempo, nel timido inizio del finanziamento di tali programmi da parte delle banche e dei mercati finanziari, nelle esportazioni che, per fortuna, continuano ad andare bene, ma vengono seguite con nervosismo per le incertezze della situazione internazionale. Nessuno sa con esattezza se, e entro quando, la ripresa arriverà «dentro di noi» ossia si tradurrà nella possibilità e nel gusto di far programmi che implichino attività e spese non limitate alla quotidianità ma rivolte anche, e soprattutto, al futuro.
E’ appropriato chiamare in causa il «gusto», oltre che la possibilità di fare programmi perché l’andamento crescente dei depositi bancari e del valore di mercato dei titoli finanziari in possesso degli italiani è un chiaro segno dell’esitazione: molti milioni di famiglie avrebbero la possibilità non solo di sostituire beni durevoli e semidurevoli ormai alla fine della loro vita utile, ma anche di lanciarsi in nuovi consumi, eppure esitano a farlo. La ripartenza, da livelli bassissimi, delle vendite di auto, nuove e usate, è un segnale importante in senso positivo, ma risulta di per sé insufficiente a modificare il quadro complessivo.
Dalle crisi lunghe si esce normalmente con nuovi tipi di prodotti e con nuovi modelli di consumo. A partire dagli Anni Cinquanta, l’economia italiana si reinventò grazie alla Vespa, alla Seicento, alla Lettera 22, alle nuove abitazioni proposte alle famiglie con mutui abbordabili e via discorrendo. Sarebbe un errore pensare di riproporre senza grandi modifiche gli stessi beni, gli stessi servizi, gli stessi metodi di distribuzione del 2007 quando la crisi aleggiava soltanto sui mercati finanziari e sembrava ben lontana dalla vita reale e le vendite su Internet quasi non esistevano.
Per uscire dalla crisi non basta però l’esistenza di un nuovo modo di consumare diverso da quello prevalente in passato. Deve esistere un «clima» adatto che induca a guardare al futuro con speranza, e qui entra in scena la politica: in un periodo come questo, si richiede che i leader, oltre a saper gestire la cosa pubblica siano in grado di trasmettere speranza e una visione positiva e condivisa del futuro.
L’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi consoliderà la sua capacità di leader se le riforme alle quali ha legato il suo futuro politico saranno percepite come complessivamente valide dagli italiani (le regionali del 31 maggio saranno un importante banco di prova) per l’adeguamento dell’Italia alle nuove situazioni europee e mondiali. Una controprova viene dalla cronaca politica di ieri: un suo predecessore, Silvio Berlusconi, ha visto la sua capacità di essere leader dal centrodestra messa in discussione da Raffaele Fitto, un concorrente alla conduzione del partito, per la presenza di sedie vuote al suo comizio di Lecce. Consenso politico e fiducia economica non possono andare in senso contrario: tra sedie vuote ai comizi dei leader e negozi semivuoti un qualche legame indubbiamente esiste.
mario.deaglio@libero.it
Mario Deaglio, La Stampa 17/5/2015