Antonio Monda, la Repubblica 17/5/2015, 17 maggio 2015
IL PRIMO RICORDO CHE HO DI LEI
[Intervista a Isabella Rossellini] –
NEW YORK
Parla in fretta, allegra e trafelata, deve sbrigare ancora un mucchio di faccende prima di riuscire a prendere l’aereo per Cannes dove in questi giorni il Festival del cinema celebra il centenario di Ingrid Bergman, sua madre. Ma è sufficiente una domanda molto semplice perché sul viso di Isabella Rossellini compaia d’improvviso un sorriso intenerito e lo stesso timbro di voce si faccia più riflessivo, come sovrappensiero: qual è il primo ricordo che ha di sua madre? Isabella si ferma, respira profondamente, quindi risponde senza esitare: «Un abbraccio, lungo, e molto caldo». Poi subito riprende il ritmo consueto: «Tuttavia, sa cosa? Non riesco in alcun modo a ricordare con precisione dove sia avvenuto. Probabilmente a Roma, dove ho vissuto fino a quando avevo cinque anni».
E l’ultimo ricordo che ha di sua madre, qual è?
«La festa del mio trentesimo compleanno. Fu l’ultimo viaggio di mamma in America, ed era già molto malata. Pochi giorni dopo tornò sulla sua isola, in Svezia. Poi andò a Londra, dove è morta. Proprio nel giorno del suo compleanno».
In che lingua parlavate tra di voi?
«Nelle nostre chiacchierate c’era un misto di tante lingue diverse. Mamma ne conosceva cinque e parlava molto bene l’italiano. Di solito amava parlare nella lingua che usava nello spettacolo o nel film che in quel periodo interpretava. Credo lo facesse per tenersi in esercizio e evitare di confondersi, ma riusciva a farlo con molta naturalezza, come se la cosa non le richiedesse alcuno sforzo, cercando di insegnarci sempre qualcosa, un’espressione, o una parola. Era una donna estremamente concreta».
Che ricordi ha dei suoi genitori insieme?
«Il ricordo più vivo è legato ancora a un compleanno, questa volta era il settantesimo di mio padre. Mamma venne a trovarci. Siamo stati a cena insieme la sera prima, come si trattasse di una normale riunione familiare e la sua visita non fosse legata al compleanno. Poi, la mattina successiva, gli facemmo una sorpresa, lui ne rimase deliziato, commosso. Una cosa che non viene raccontata mai sui miei genitori è quanto si divertissero insieme e come fossero rimasti amici anche dopo il divorzio».
Che giudizio dà, oggi, di sua madre come attrice?
«Non ho dubbi, in molti film io credo che non sia stata “soltanto” una star ma anche una magnifica attrice».
Quale la sua migliore interpretazione?
«Quando rivedo i suoi film riconosco come familiare la sua gestualità intima, e allora sono presa dalla commozione e dalla nostalgia. Se comunque dovessi scegliere direi Notorious, Viaggio in Italia e Sinfonia d’autunno, dove lei è migliore del film, che pure è diretto da un grande come Ingmar Bergman».
Cosa non le piace di quel film?
«La tesi di fondo: una donna che lavora ha necessariamente una famiglia disastrata. È un’idea datata: la storia ha dimostrato che non è affatto vero che debba per forza essere così».
Il primo film di sua madre che ha visto?
«Sa che non me lo ricordo? Piuttosto ho una vaga memoria di quando andavo a trovarla sul set. Su quello di Santa Giovanna al rogo mi ci hanno portata che ero poco più che neonata. Quando sono nata, i miei lavoravano insieme e so che mi facevano vedere i premontati dei loro film. Quando avevo dieci anni, invece, la Rai trasmise una retrospettiva organizzata da Gian Luigi Rondi, me la ricordo perché le sere in cui veniva trasmesso il film potevo andare a letto alle dieci e mezza anziché alle otto e mezza. Ero affascinata dalle interviste che precedevano».
A quell’epoca quale film la colpì di più?
«Io ti salverò, per la storia, così morbosa, e anche per quelle scene oniriche disegnate da Salvador Dalì. Notorious, che probabilmente è migliore, mi apparve troppo complicato».
Era una madre severa la sua?
«Forse è questa l’immagine che proiettava, e in chi lo pensa ci deve essere anche un po’ dello stereotipo donna-del-nord. Ma la realtà è opposta. No, non era affatto una donna severa. E nonostante gli impegni non è stata neppure una madre assente, quando stava con noi la sua dedizione era totale».
Dunque, non come in Sinfonia d’autunno: nella vita vera vostra madre è riuscita a conciliare maternità e carriera.
«Si, e mi sembra che lo abbia dimostrato. Oggi anche io so bene quanto sia difficile. Da questo punto di vista sono stati fatti enormi passi da gigante, ma ancora c’è molta strada per la parità tra i sessi. Le faccio solo un piccolo esempio. In America, per molti versi un paese all’avanguardia, da una parte non esiste deduzione fiscale per le baby sitter e dall’altra si fissano gli incontri con i professori alle tre del pomeriggio… Ecco, mia madre di fronte a una cosa del genere non si sarebbe mai abbattuta e avrebbe certamente trovato una soluzione organizzativa. In questo forse l’essere donna- del-nord in effetti l’ha aiutata».
In cos’altro era una donna del nord?
«Beh, gli svedesi tengono molto più degli italiani alle attività fisiche e mia madre sciava, tirava di scherma, giocava a tennis, tutte cose che ha provato a insegnarci sempre con grande naturalezza. Devo a lei se ho imparato ad apprezzare l’equitazione e il ballo. La ricordo ancora in giro per Roma alla ricerca di istruttori: non demordeva mai. E poi in un’altra cosa era una del nord: aveva molta libertà, forse anche modernità, nel modo di vestire, a cominciare dai pantaloni, addirittura corti d’estate. In certe foto sembra un’attrice di oggi».
Era religiosa?
«No».
Eppure i film girati con suo padre hanno una forte dimensione spirituale.
«Questo è innegabile, ma temo di non essere in grado di parlare di una cosa tanto intima e che appartiene solo a loro. Ho imparato che viste da fuori molte tra le cose più importanti della vita non si capiscono mai del tutto. Posso dire però con assoluta certezza che mia madre non era osservante».
Che cosa ha preso da lei?
«Alcuni tratti prettamente svedesi, come appunto la manìa dell’organizzazione, a cominciare dall’ordine e dalla razionalità con cui mettere mano a una casa».
E cosa invece vorrebbe aver preso?
«Il suo charme, inimitabile, e un certo distacco: il saper parlare di sé dall’esterno».
Cosa amava di più dell’Italia?
«La convivialità, così diversa dall’approccio esistenziale degli svedesi. E ovviamente la bellezza folgorante, inarrivabile dell’Italia».
Come considera la famosa lettera che scrisse a suo padre, dalla quale nacquero collaborazione artistica e storia d’amore?
«Sinceramente credo sia stata un po’ mitizzata. Mamma ha scritto tante altre lettere a tanti registi e colleghi, e sono molto più innocenti di quanto si possa pensare. Per esempio ha scritto a Ingmar Bergman, dicendogli che avevano lo stesso cognome ma non avevano ancora mai lavorato insieme».
D’accordo, ma quella lettera a suo padre terminava con un “ti amo”.
«Bah, conoscendola non la vedo come una forma di seduzione, piuttosto un gesto informale e scherzoso, tipico anche di molte altre attrici».
Vede una grande differenza tra lo star system dell’epoca in cui lavorava sua mamma e quello di oggi?
«Non sono in grado di rispondere, ho conosciuto Hollywood molto più tardi, sono arrivata lì che avevo venticinque anni. Ho incontrato registi leggendari amici di mamma, Hitchcock, Renoir, è vero, ma erano già estremamente anziani».
Che cos’ha in programma per Cannes e per il centenario di sua madre?
«In queste celebrazioni io vedo soprattutto la possibilità di proporre il grande cinema a una nuova generazione di spettatori, come si fa con la storia dell’arte: è importante far conoscere alle generazioni che verranno Giotto o Picasso, no? E dunque a Cannes sarà presentato nei prossimi giorni un documentario su mia madre di Stig Björkman, accademico svedese, mentre più in là interpreterò a Londra, Parigi, New York e ovviamente Roma uno spettacolo diretto da Guido Torlonia e Ludovica Damiani, che in passato hanno diretto spettacoli simili, estremamente riusciti, su Fellini e Visconti. Si tratta di un progetto molto diverso da Papà compie cent’anni che realizzai qualche anno fa con Guy Maddin. Proietteremo anche scene di film e materiale d’archivio mai visto. Per esempio c’è un filmino in 16 millimetri girato da mia madre sul set della Giovanna d’Arco di Victor Fleming, una pellicola che produsse svincolandosi da David O’Selznick».
Vero, me ne ero dimenticato, sua mamma ha interpretato ben due volte Giovanna d’Arco: vede che torniamo alla religiosità?
«Se è per questo l’ha interpretata anche a Broadway, e poi comunque i due film sono diversissimi: quello di Fleming molto hollywoodiano, quello di papà nasceva invece da un testo di Claudel. Ma se proprio vuole che risponda alla domanda la verità è un’altra: mia madre amava moltissimo questa santa guerriera perché era una donna forte. E io credo che sia stata proprio quella donna così forte ad averla ispirata tutta la vita».
Antonio Monda, la Repubblica 17/5/2015