Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 17/5/2015, 17 maggio 2015
IS, BLITZ AMERICANO IN SIRIA UCCISO ABU SAYYAF IL “MINISTRO” DEL PETROLIO BANDIERA NERA SU PALMIRA
NEW YORK.
Sono arrivati nella notte dall’Iraq, a bordo di elicotteri Black Hawk e di un convertiplano Osprey V-22, per la prima “azione diretta” delle forze speciali Usa in territorio siriano. Non appena il commando della Delta Force (circa 25 uomini) è atterrato nei pressi dell’obiettivo (un edificio di pochi piani nei pressi di al-Omar, uno dei più importanti giacimenti petroliferi del paese alle porte di Deir Ezzor, capoluogo della provincia orientale) i militanti dello Stato Islamico hanno provato a difendersi con un fuoco di sbarramento e usando come scudi umani donne e bambini. Lo scontro è stato violento ma in pochi minuti tutto è finito. Una dozzina i terroristi musulmani uccisi, tra loro Abu Sayyaf (alias Mohammed Shalabi), il tunisino che guidava le operazioni di contrabbando di gas e petrolio dell’Is e ritenuto responsabile di numerosi omicidi a sangue freddo contro minoranze etniche nelle aree in mano agli uomini del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Nessuna vittima, neanche feriti, tra le forze speciali americane.
Lo volevano prendere vivo (dicono alcune fonti anonime ai media Usa) perché era lui che stava gestendo la prigionia di Austin Tice, ex marine e giornalista free-lance, ultimo americano (conosciuto) ancora in mano (dall’agosto 2012) ai terroristi dello Stato Islamico. Hanno preso prigioniera la moglie irachena Umm, immediatamente portata in una località segreta dell’Iraq, probabilmente una caserma dell’esercito regolare di Bagdad (dopo Abu Ghraib gli Stati Uniti non gestiscono centri di detenzione) per essere interrogata. Il Pentagono non ha confermato. Si tratta di una situazione delicata, in quanto dopo le denunce di Human Right Watch è stato provato che nelle carceri irachene donne prigioniere sono state ripetutamente violentate.
Umm Sayyaf è la prima persona catturata dai militari Usa dopo l’inizio della guerra dichiarata da Obama contro lo Stato Islamico. Con lei c’era anche una giovane ragazza (18 anni) di etnia yazida, tenuta da mesi in totale schiavitù dalla coppia Sayyaf, che è stata liberata e che adesso «potrà riabbracciare quanto prima i suoi familiari». Altre fonti sostengono che Abu Sayyaf (che pur essendo un uomo del Califfato non fa parte dei quattro leader in testa alla lista dei ricercati Usa) era in stretto contatto con al Baghdadi, che si troverebbe, ancora ferito, in una zona non molto distante. Informazioni decisive potrebbero arrivare dai suoi dispositivi di comunicazione, finiti dopo il blitz in mano al commando della Delta Force.
A dare il via libera all’operazione - la prima in assoluto sul terreno siriano se non si considera la missione fallita nel luglio 2014 ad al-Raqqah nel tentativo di liberare il giornalista James Foley (poi decapitato dal tagliagola Jihadi John) - è stato direttamente il presidente Barack Obama, dopo un “consiglio di guerra” cui ha partecipato anche il capo del Pentagono Ashton Carter. In linea con la politica degli Stati Uniti verso il dittatore siriano Assad, il regime di Damasco non è stato avvisato della missione delle forze speciali. «Abbiamo ammonito da tempo Assad a non interferire nelle nostre operazioni contro lo Stato Islamico in Siria», ha confermato Bernadette Meehan, portavoce del National Security Council, «il regime di Assad non è e non può essere un partner nella lotta all’Is».
A fronte di un’operazione di grande successo arrivano le cattive notizie da Palmira. Dopo giorni di combattimento i militanti dello Stato Islamico sono riusciti a conquistare quasi tutto il settore nord della città dove si trovano i siti archeologici più importanti del paese (patrimonio Unesco) e la macabra bandiera nera dell’Is sventola adesso su un edificio nell’area di al-Badiyah. Nel corso dell’avanzata lungo la via delle carovane fino all’antica colonia romana è stata segnata dalla solita scia di sangue ed omicidi di innocenti. ventitré civili, tra cui nove bambini, sono stati brutalmente assassinati.
Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 17/5/2015