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 2015  maggio 16 Sabato calendario

SETTANT’ANNI DI CALCIO E INTER AUGURI... PRES

Settanta candeline sulla torta di Inter-Juve, la sfida della sua vita: l’ingegnosa imprenditoria lombarda e la grande fabbrica torinese, i Moratti e gli Agnelli, la crema di Milano e quella di Torino... Più speciale di così («già, uno scherzo del destino») questa serata non poteva proprio essere per Massimo, quello che dei sei figli di Angelo ha ereditato anche il pallone. Sì, d’accordo, non è più il presidente, nemmeno onorario, avendo scelto da qualche mese di essere «solo» un azionista, sia pure di peso. Però resta nerazzurro dentro, resta il tifoso numero uno di questa squadra che ha segnato la sua vita: l’Inter è il romanzo di una famiglia innamorata. Qui proviamo a ripercorrere le tappe salienti della fantastica avventura, avvertendo il lettore che da Adriana (la primogenita di Angelo ed Erminia) a Gioia, passando per Gian Marco, Mariarosa (Bedy: la pasionaria) e Natalino e coinvolgendo naturalmente tutti i rispettivi coniugi e rampolli, i Moratti si alzano ogni mattina con l’Inter che li attende a colazione. Poi si pensa al lavoro...
I 10 ANNI: REGALONE E allora immaginatevi la gioia di Massimo, bambino piuttosto abile col pallone, quando papà Angelo annuncia di aver acquistato la società. Gian Marco è già un giovanotto, lui è alle elementari. Maggio 1955, la cavalcata ha inizio. E anche se non riserva subito grandi risultati, poter frequentare lo stadio nei suoi meandri vietati alla folla, vedere i calciatori che si preparano, andare agli allenamenti... beh, per un ragazzino è eccitante.
I 20 ANNI: I TRIONFI Nel 1965 l’Inter è nel pieno del suo ciclo magico (tre scudetti, due coppe Campioni, due Intercontinentali). E Massimo, presente dappertutto, può goderselo da coetaneo di Mazzola e Facchetti, Burgnich e Guarneri, Bedin e Jair... Picchi e Suarez, più grandi, lo affascinano col loro carisma, chi lo conquista di più con la classe è Mariolino Corso, il piede sinistro di dio. Ricorda Mazzola: «Moratti trattava bene la palla, mancino, tocco felpato, estroso. Ci sapeva fare, tecnicamente era all’altezza di un professionista». Ma uno studente universitario (Scienze Politiche) destinato a gestire il colosso Saras, la più grande raffineria di petrolio europea, non può allenarsi in modo serio e costante. E perciò il calcio resta confinato nei due campi regolamentari che papà Angelo fa realizzare nelle sue tenute di Imbersago e Forte dei Marmi.
I 30-40 ANNI: SI GIOCA Qui, negli anni Settanta-Ottanta, Massimo raduna spesso i campioni di ieri per accanite partitelle. Qualche volta spunta Rivera, l’anima milanista. Sì perché il derby meneghino viene vissuto con minore asprezza rispetto al confronto con i bianconeri. Intanto, dopo il crudele 1967 (terza coppa Campioni e quarto scudetto persi incredibilmente) papà Angelo aveva deciso di farsi da parte (1968: Inter a Fraizzoli). I suoi figli maschi si dedicano alla Saras, che si sta espandendo: frequenti i viaggi a Londra, dove si fa il prezzo del «barile», così la Premier entra nel sangue di Massimo. La famiglia (assai unita) trascorre le vacanze fra Stintino e la Versilia, dove al Forte non sono rari gli incontri con gli Agnelli: la vita dei vip ha percorsi e incroci obbligati. Fra l’altro un amico carissimo, Giammaria Visconti di Modrone, è diventato cognato di Umberto, a sua volta amico di Gian Marco. E quindi Massimo vede praticamente nascere Andrea, il presidente di oggi. Ernesto Pellegrini, intanto, subisce il dominio di Berlusconi, ma riesce a conquistare due coppe Uefa e uno scudetto-record nel 1989. Da lì un declino che Moratti segue sempre più da vicino. Finché...
I 50 ANNI: PRESIDENTE! Nel febbraio 1995 riporta, a furor di popolo, l’Inter in famiglia (a proposito, sono cinque i figli avuti dalla moglie Milly), quasi fosse il regalo per i cinquant’anni. E qui comincia un cammino verso la gloria irto di ostacoli e peripezie. Moratti si dimostra da subito un presidente generoso negli investimenti e il fascino della Grande Inter, immutato, lo induce a chiamare in società molti dei campioni di ieri. Mazzola fa il mercato, Corso il settore giovanile, Suarez il talent scout, Facchetti il team manager, Prisco e Visconti i vice presidenti... Ma il calcio del dopo Bosman è una brutta bestia: mentre il presidente cerca di individuare il nuovo Helenio Herrera, si avverte di più la mancanza del nuovo Italo Allodi. Quindi gli investimenti, massicci, e l’arrivo di tanti campioni producono cocenti delusioni (gli scudetti persi nel 1998 e nel 2002) e un unico successo: la coppa Uefa di Parigi (3-0 sulla Lazio).
I 60 ANNI: TRIPLETE Fra bilanci da ripianare e periodici travasi di bile per un ambiente inquinato, percepito come ostile ma difficile da bonificare, la svolta che fa della sua Inter una macchina da guerra arriva poco dopo i 60 anni, con l’ingaggio di Roberto Mancini in panchina e con l’inchiesta sulle attività extra calcio di Luciano Moggi che nel 2006 determinano le sentenze di Calciopoli. A Moratti viene assegnato lo scudetto tolto alla Juve (scivolata in B), non ha imbarazzi ad accettarlo anzi lo considera una sorta di certificato di onestà. Roberto Mancini rompe il ghiaccio con la coppa Italia, poi due scudetti di fila (grazie Ibra) danno il là alla prepotente ascesa verso il Triplete realizzato dal nuovo Herrera, finalmente scovato in Portogallo: José Mourinho firma due annate esaltanti, irripetibili.
70 ANNI: CIN CIN Oggi che gli anni sono diventati settanta, Massimo sta incoraggiando il suo erede Thohir, alle prese con un compito arduo, e il suo pupillo Mancini sacrificato, ai tempi, solo perché Mourinho garantiva maggiore esperienza internazionale. In giornata il presidente di ieri riceverà auguri dal mondo nerazzurro e magari ripenserà ai tanti gioielli regalati al suo popolo. Ronaldo, Vieri, Ibra, Milito, Crespo, Zamorano, Baggio, Palacio, Cruz, Djoarkaeff, Sneijder, Adriano, Figo, Cassano, Balotelli (più l’amatissimo Zanetti). Dai suoi diciotto anni di gestione emerge uno squadrone di fuoriclasse fra centinaia di acquisti dispendiosi (ma c’è pure qualche affarone tipo Ibra al Barça per 50 milioni più Eto’o), una vertiginosa caccia ad attaccanti e fantasisti perché il pallone deve divertire. E in panchina? Beh, Alvaro Recoba, naturalmente, il preferito, il più geniale, agli occhi del patron: lo avrebbe schierato sempre fino al 90’ laddove tanti (troppi per lui...) allenatori lo hanno utilizzato part-time. Sì, chiaro, ci sono state scelte sbagliate (Roberto Carlos e Pirlo andavano tenuti) e soldi spesi male (Rambert, Caio, Keane, Sukur, Quaresma...) che hanno pesato sui conti societari. Del resto se vuoi vincere spesso non riesci ad avere il bilancio in attivo, questo almeno dice il calcio moderno degli sceicchi. E infatti questo è stato il modo di concepire il calcio di Moratti, proteso a onorare la memoria di suo padre rinnovandone i fasti, tifoso fra i tifosi, senza secondi fini: compito pienamente assolto in tanti anni intensi di una vita non banale. Ma siccome anche i pozzi di petrolio hanno un fondo, a un certo punto ha dovuto dire «passo».
A questo penserà stasera l’ex presidente andando, forse, a San Siro per l’ennesima sfida alla Juve. La partita a cui tiene di più. «Per noi l’Europa sarebbe preziosa e quindi bisogna vincere. Magari li troveremo anche un po’ stanchi, possiamo farcela. E così passerei un compleanno sereno fino a mezzanotte». Una torta che si rispetti andrebbe sempre completata con la ciliegina... In ogni caso, cin-cin.