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 2015  maggio 18 Lunedì calendario

BUGNO NON MOLLA LA BICI

Al Giro d’Italia quest’anno non c’è. In bicicletta sarebbe impossibile, ha smesso da un pezzo. E per la prima volta, e questa sì che è una novità, nemmeno ai comandi di un elicottero. Gianni Bugno è uno degli ultimi campionissimi del pedale di casa nostra. Un Giro d’Italia dominato indossando la maglia rosa alla prima tappa e portandola fino alla conclusione, era il 1990 l’anno d’oro in cui vinse anche la Milano-Sanremo. Due campionati del mondo consecutivi (1991-1992), un Giro delle Fiandre, una Clasica di San Sebastián, due volte campione italiano e, ancora ineguagliato, unico italiano a vincere per due volte sull’Alpe d’Huez, mitico traguardo del Tour de France, in cui fu una volta secondo e un’altra terzo a Parigi sugli Champs Elisées. Sono i numeri principali, ci sono altre decine di vittorie e centinaia di piazzamenti, in una carriera da ciclista totale. Grandi Giri e classiche monumento, come solo i grandissimi possono fare.
Tolti gli scarpini e appesa la bici in garage Gianni Bugno sale sull’elicottero. È il 2000 e la sua grande passione per il volo diventa una professione. «Gli elicotteri mi hanno sempre affascinato. E già durante la carriera da ciclista, negli ultimi anni, mi sono messo a studiare per prendere il brevetto da pilota. Poi ho fatto un lungo tirocinio e alla fine ce l’ho fatta». Poche parole, ché l’uomo è fatto così, si concede pochissimo, timido e schivo ai limiti dell’antipatia. Algido, a guardarlo dal di fuori. Ma, come quando correva, basta la sensazione giusta per alzarsi sui pedali e partire deciso. Diventa un pilota dell’elisoccorso. Ma la nuova professione, dal 2008 fino all’anno scorso, lo riporta in corsa. O meglio al Giro d’Italia. Pilota l’elicottero di ripresa, per sei anni è l’uomo alla cloche del mezzo che restituisce a tutto il mondo le immagini della corsa rosa. Controlla e scruta tutti dall’alto. «Quest’anno al Giro non ci sarò. Il mio nuovo lavoro mi ha portato sulla costa Adriatica. Facciamo la spola con gli elicotteri tra la terra e le piattaforme dell’Eni». L’assenza dal Giro, dal suo Giro, pesa, ma Bugno, che il giorno di San Valentino ha compiuto 51 anni, la prende con la solita filosofia pratica: «Ho cambiato posto e il lavoro è lavoro».
Ma nel ciclismo è rimasto, anche se confessa di preferire una corsetta a un’uscita in bicicletta nel tempo libero. Ammirato e ascoltato da tutti i ciclisti non solo italiani è diventato il presidente della Cpa, l’associazione internazionale dei corridori professionisti, il sindacato mondiale dei faticatori del pedale. Un’organizzazione che, negli ultimi mesi, è diventata sempre più centrale. Ha un delegato presente in ognuna delle corse del calendario internazionale che serve da interlocutore per gli organizzatori e per le squadre, ma soprattutto da punto di riferimento per i ciclisti. Li segue e li tutela e, se è il caso, prende iniziative ufficiali rappresentando tutto il gruppo. Anche perché, con un calendario sempre più spalmato e un meteo sempre più pazzo, negli ultimi anni i ciclisti, in qualche occasione, si sentono «mandati al macello». «L’obiettivo non è rompere le scatole - spiega Bugno -, ma cercare di fermare le corse se diventa pericoloso per la salute dei ciclisti». Un esempio molto recente. Apertura della stagione con il Giro dell’Oman, è il 21 febbraio, la quinta tappa. Alla partenza si scatena una tempesta di sabbia, che poi lascia temperature intorno ai 50 gradi. Roba disumana, i corridori si consultano e fanno neutralizzare la frazione. Per restare in casa nostra due gli episodi recenti. Tirreno-Adriatico 2015, arrivo in salita al Terminillo, quinta tappa, è il 15 marzo. Mentre il gruppo si arrampica si scatena una nevicata. La corsa prosegue, senza problemi. Mentre nella Sanremo 2014, a causa del gelo eccessivo i corridori vengono caricati in pullman prima del Turchino e scaricati in Riviera per gli ultimi chilometri. «Le condizioni estreme capitano per caso, purtroppo - continua Bugno -. E pure a sorpresa. Poi bisogna valutare attentamente caso per caso. Sul Terminillo problemi non ce n’erano, infatti la corsa è proseguita. In Oman e alla Sanremo i rischi erano alti e quindi ci si è fermati. Ma non è sempre facile bloccare una corsa». Per gli organizzatori, che programmano e raccolgono fondi per mesi, per i ciclisti stessi (ditelo a chi è in testa che non si corre più), per il pubblico e le televisioni. Il metro è il buonsenso e Bugno, come da corridore, ne ha tantissimo. No allo stop a tutti i costi e nemmeno tutti in sella per forza. «Volevano fermare la Gand-Wevelgem di quest’anno per le raffiche di vento. Ma, dico io, il Belgio è il Paese del vento e si corre a marzo, mi pare normale. Come la neve sul Terminillo in inverno. Le corse sono queste, il calendario della stagione è lungo. Si potrebbe pensare di stravolgere la pianificazione per correre sempre al caldo, come fa la Formula 1, ma è una soluzione poco praticabile».
Un altro argomento scottante è il doping. Un fenomeno che negli ultimi 20 anni ha macchiato l’immagine del ciclismo, ma forse ha cambiato questo sport di fatica più di altri. Bugno nel ’94 fu anche squalificato per tre mesi per caffeina. Non inventò scuse banali e imbarazzanti, ma scontò la sospensione e tornò a correre. «Oggi i controlli sono esagerati. Il ciclismo ha pagato lo scotto più duro - spiega -. Nel nostro mondo hanno trovato molti atleti positivi, ma solo perché li hanno cercati. In altri sport non è stato così. Dobbiamo ringraziare i corridori, oggi, perché si devono assoggettare a qualunque nuova regola venga creata. Dal passaporto biologico ai test nel cuore della notte».
L’unico italiano a correre tutto il Giro in maglia rosa spiega il «trucco» per un’impresa simile: «Basta stare concentrato ogni giorno». Sembra banale, ma tra cadute, fughe e attacchi ogni centimetro di asfalto in una corsa di tre settimane può essere decisivo. Sui rivali di un tempo non si riesce a strappargli nemmeno una cattiveria: «Nessun nemico in uno sport che richiede così tanta fatica, al massimo avversari». Su Indurain, che gli «rubò» Giri e Tour: «Era il più forte. A cronometro andava come un treno e nei percorsi mettevano sempre prove contro il tempo lunghissime, così lui partecipava e aumentava lo spettacolo». Su Chiappucci, grande rivale in Italia e sulle strade del Tour de France: «Oggi siamo amici, abita vicino a casa mia. In strada, però, ognuno per conto suo. Lui attaccava sempre, era un generoso, ma in salita non mi staccava mai». Su Laurent Fignon, grandissimo francese scomparso troppo presto: «Era forte e intelligente, un campione vero».
Il ciclismo italiano non lo scalda particolarmente. Nelle classiche i nostri faticano da anni, ci salva solo la vittoria di Paolini alla Gand-Wevelgem quest’anno. Nelle corse a tappe, invece, contiamo qualcosa di più, soprattutto grazie al successo di Vincenzo Nibali al Tour de France 2014, che ha completato la tripletta con Giro e Vuelta. «Con Diego Ulissi che è appena rientrato dalla squalifica, è Nibali il nostro presente e il nostro futuro».
Riportarlo in bicicletta è impossibile, anche se oggi, il ciclismo italiano avrebbe bisogno di un Bugno. Uomo da classiche e da corse a tappe. Cronoman e scalatore. Vincente su ogni terreno e in ogni condizione. «Vincevo tanto perché ero un corridore completo, per questo sono riuscito sempre ad emergere» racconta. Oggi il ciclismo è diverso: «C’è ormai una super specializzazione. Tutti mantengono e migliorano le proprie caratteristiche». Che, letta al contrario, suona come: nessuno tenta qualcosa di diverso, tutti centellinano per paura di perdere posizioni. Una filosofia che non gli è mai appartenuta. Bugno in bici amava le sfide e non stava mai a guardare. Classe innata e tanto allenamento, ecco i segreti di un campione.