Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 16/5/2015, 16 maggio 2015
ANTITRUST, STANGATA FINALE PER TELECOM ITALIA
La multa è di 103,7 milioni più le spese legali, per l’esattezza, ma non è la cifra in sé che spaventa, visto che Telecom Italia l’ha già pagata due anni fa e abbondantemente digerita nei suoi bilanci miliardari. La vera mazzata per l’ex monopolista telefonico è che ieri il Consiglio di Stato ha reso definitiva la sanzione decisa a maggio 2013 dall’Antitrust e già confermata in secondo grado dal Tar del Lazio. Respingendo due volte i ricorsi di Telecom Italia, la giustizia amministrativa sancisce che per anni il gruppo oggi guidato dal presidente Giuseppe Recchi e dall’amministratore delegato Marco Patuano ha giocato sporco nel concedere l’accesso alla sua rete ai concorrenti. La decisione del Consiglio di Stato deflagra nel bel mezzo del velenoso dibattito sulla rete Internet del futuro, caratterizzato dagli attacchi a Telecom Italia del governo Renzi: l’accusa è di sacrificare gli interessi del Paese alla difesa del suo monopolio sull’accesso ad abitazioni e uffici con i cavi telefonici.
L’inchiesta è partita da due esposti, di Wind e di Fastweb, presentati all’Antitrust all’inizio del 2010. Nel procedimento sono poi entrati anche Vodafone e l’Associazione italiana internet provider.
L’accusa va spiegata, per collegarla alle polemiche di questi giorni. In quasi tutte le case e gli uffici italiani il cavo del telefono è il cosiddetto “doppino” di rame di proprietà di Telecom Italia. Dopo la liberalizzazione avviata alla fine degli anni 90, le società che vendono servizi telefonici e Internet in concorrenza con Telecom Italia hanno il diritto di chiedere al gestore della rete l’accesso al cliente: quando un utente decide di cambiare gestore, la società prescelta chiede alla rete Telecom Italia la cosiddetta attivazione. Secondo le accuse di Wind, in tre anni, dal 2009 al 2011, a fronte di 2,7 milioni di richieste di attivazione ben 500 mila (il 19 per cento), non hanno avuto esito: Telecom le ha respinte adducendo le più diverse motivazioni tecniche, tra cui si segnala per la sua ingegnosità il fatto che il cliente non si è fatto trovare in casa quando i tecnici sono andati per l’attivazione. Quando invece le richieste di attivazione arrivavano alla rete dalla struttura commerciale della stessa Telecom Italia, secondo l’Antitrust, tutto funzionava a meraviglia o quasi: la rete, si leggeva nella sentenza di 165 pagine scritta dall’Antitrust, “ha trattato gli ordinativi provenienti dagli altri operatori in modo discriminatorio rispetto a quelli provenienti dalle proprie divisioni interne”. La sentenza mostrava, tra gli altri dati a supporto delle accuse, che Telecom Italia è stata, tra gli ex monopolisti europei, quella che negli anni della liberalizzazione ha perso meno quote di mercato.
A suo tempo, Telecom Italia respinse tutte le accuse, rivendicò di aver sempre garantito la parità di accesso alla rete, e annunciò fiduciosamente i ricorsi che però, alla prova dei fatti, sono stati respinti. Significativo il commento del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, che anche ieri, in una lettera al Corriere della Sera, ha recriminato sulla scelta del governo Prodi di privatizzare Telecom Italia nel 1997: “Nessuno, nel governo, vuole sostituirsi ai privati, scrivere piani industriali o allungare slide sulle scrivanie degli altri. Ma se tutte le analisi ci collocano in fondo alla classifica europea sulla banda ultralarga, è difficile negare che esista un rapporto tra questo dato e la storia dell’ex monopolista delle telecomunicazioni”.
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Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 16/5/2015