Cesare Martinetti, La Stampa 16/5/2015, 16 maggio 2015
TRANSIBERIANA, UN VECCHIO MITO LE AMBIZIONI DELLA NUOVA RUSSIA CANCELLANO IL MITO DELLA TRANSIBERIANA
Nel 1994, quando rientrò in patria esattamente vent’anni dopo la sua cacciata, il principe dei dissidenti Aleksandr Solzhenicyn non sbarcò subito a Mosca, ma volle riguadagnare la capitale partendo dall’estremo oriente, da Vladivostok. E ci volle tornare in treno, con la mitica Transiberiana la linea ferroviaria più lunga del mondo. La scelta dell’autore di arcipelago Gulag, scrisse allora su La Stampa Enzo Bettiza, era «la Russia che ritorna alla Russia», dopo settant’anni di comunismo e nel mezzo della tumultuosa era postsovietica guidata da Eltsin.
Ma parlando di Transiberiana non ci si deve fermare a polverosi ricordi letterari. Tanto per dire uno dei più popolari cartoni animati del momento – Masha e l’Orso - un prodotto di pura produzione russa e non poche rimembranze ambientali sovietiche, si svolge in un posto imprecisato della sterminata steppa. L’unico riferimento concreto, che appare di tanto in tanto, è un treno che passa. E dove va quel treno? Come si intuisce dal vagone parcheggiato accanto alla izba di Masha, è sulla linea Moskvà-Pekin, Mosca-Pechino, una delle linee della leggendaria Transiberiana. È la ferrovia che contiene l’anima e il cuore della Russia.
Resterà qualcosa della leggenda? Si può immaginare che sui convogli ad alta velocità destinati ad affettare i sette fusi orari dell’ex impero a 350 km orari sopravviverà il rito del tè caldo preparato sul samovar dalle diezhurnaja (hostes) del vagone? Nasceranno amicizie e nuovi amori? Case e terreni cambieranno di proprietà nei giochi d’azzardo durante le infinite ore di viaggio davanti a paesaggi sempre uguali? Difficile. Se ora ci vogliono sette giorni di viaggio per raggiungere il Pacifico da Mosca, con la linea ad alta velocità ci vorranno più o meno 24 ore, contro le 8 dell’aereo.
Ma non è solo un fatto di orari. Il progetto di questa rete di collegamenti veloci che hanno l’ambizione di legare come in un’ideale “metropolitana” lo spazio geografico euroasiatico è un cambio di dimensione, di epoca, un salto nella macchina del tempo, una proiezione certamente visionaria, ma logica e persin realistica o per meglio dire inevitabile.
E allora se vogliamo prendere l’esemplare umano che più rappresenta tutto ciò bisogna guardare da vicino il personaggio Ernest Sultanov, che ieri si muoveva tra Fassino e Virano al Salone del libro con il microfono in mano e la disinvoltura di un conduttore di talk show. Ernest è il coordinatore della Mir (in russo vuol dire pace ma anche mondo) Initiative, ha 35 anni, e se gli chiedete dove lavora risponderà Mosca-Pechino-Italia. Parla perfettamente italiano, mescola con sicurezza e senza frenesia business e – diciamo così – una geopolitica dal sapore antico. Se gli chiedete di questa guerra di nervi tra Putin e l’Occidente dirà che i trasporti e i collegamenti possono fare molto, se le sanzioni chiudono, i progetti di Mir (che il Cremlino segue molto da vicino) aprono. E alla fine della conversazione Sultanov non nega all’interlocutore un piccolo omaggio: un bicchiere di vetro con falce e martello e stella rossa. Ma non cadete nella trappola della nostalgia, è la sintesi più limpida della politica putiniana: avanti con gli affari senza rinnegare il passato.
Cesare Martinetti, La Stampa 16/5/2015