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 2015  maggio 16 Sabato calendario

PERISCOPIO

I media americani che sostengono la candidatura di Hillary, insistono molto sul fatto che è una donna. Lo fanno per farci scordare che è la Clinton. Edelman. Il Fatto.

Nelle precedente elezioni regionali liguri c’era un manifesto del presidente Burlando con dei medici. Quelli in fotografia sono diventati tutti primari. Claudio Scajola. Il Fatto.

In quelle ore, il governo Forlani aveva tolto il sigillo di segretezza alla lista degli appartenenti alla Loggia P2. Era in corso, al Corriere della Sera il collegamento con Milano per la riunione. E subito si udì, inconfondibile, la voce di Franco Di Bella: «Allora, Antonio, dicci, chi c’è in questo elenco?». Deglutii e, invece di girarci attorno, sputai il rospo: «Veramente, direttore, c’è anche il tuo nome». Silenzio. Poi, Di Bella borbottò qualcosa come: «Mi raccomando, scrivete tutto...». Nel pomeriggio diede le dimissioni. Antonio Padellaro. il Fatto.

Renzi non è un clone di Berlusconi. È peggio. Ha il dna berlusconiano ed è cresciuto con lui, ma ha una vocazione autoritaria che Berlusconi si sognava. Paolo Guzzanti (Malcom Pagani). il Fatto.

In questi venti anni Berlusconi ha trascurato le aziende in favore della politica e adesso sta facendo l’opposto, e infatti non credo abbia il polso di quello che succede qui nei palazzi. Del resto la crisi ha inciso anche nelle sue aziende perché la flessione del mercato pubblicitario va al cuore del suo sistema. Sta cercando di rimediare. Antonio Martino, ex ministro degli esteri Fi. (Mattia Feltri). la Stampa.

Underwood nella terza serie tv dice: «Non conosco un politico che resista alla tentazione di fare una promessa che non può mantenere». In effetti la politica non è un mestiere per personcine carine. È roba tosta. E quindi sì, devi saper mentire. Non sempre, ovviamente. Ma non si possono prendere decisioni difficili e raggiungere il successo facendo finta di essere bravi ragazzi. Michael Dobbs, autore di House of cards e già consulente di Margaret Thatcher (Vittorio Zincone). Sette.

Il mio ricordo più netto del Vaticano, dove vivevo, visto che mio padre ci lavorava come impiegato, è il silenzio. Fuori c’era il caos di Roma. Il traffico. I clacson. Entravi e c’era il silenzio. Strade vuote. Giardini. Una macchina ogni tanto. Jovanotti (Gian Antonio Stella). Sette.

C’era, in mio padre, una semplicità di modi naturale: per cui si fermava con entusiasmo, sulle strade statali, a mangiare nelle trattorie con i parcheggi pieni di Tir, e le tovaglie a quadretti, e evitava come la morte i locali eleganti e alla moda. Viaggiare con lui era scoprire il mondo più da dentro, più dal vero. Conservo una sua foto da ragazzo, con tanti capelli, in uniforme da Alpino, seduto sul gradino di un vagone in partenza per il fronte russo. Sorrideva, e sorridevano i suoi compagni, ignari. Lui accarezzava un bastardino bianco incrociato in stazione, e sembrava allegro, curioso di quella grande avventura. Che lungo viaggio, papà, e quante case e orti e vecchi avrai visto, in Russia, dove hai sfiorato, vicina, accanto a te, la morte. Eppure sono certa che anche laggiù hai lasciato un pezzo di cuore. Che ti sei portato a casa, per sempre, gli occhi di una contadina in un’isba, e quel bambino morto, di cui mi hai una volta pudicamente accennato, portato da due donne in una cassetta da frutta, in un villaggio abbandonato. Marina Corradi. Tempi.

Gli Isotta erano di una ricchezza molto cospicua. Si poteva ancora, nel Piemonte feudale di allora, mandare un colono in propria vece a combattere: così fece il mio antenato nella guerra di Crimea. Il contadino tornò decorato e, da uomo onesto, ritenne che la cifra ricevuta fosse comprensiva anche della decorazione che perciò consegnò all’Isotta. Un detto sommo è che una bugia a lungo sostenuta diviene un ricordo: onde il mio antenato, da vecchio, partecipava alle riunioni dei reduci in uniforme e decorazioni e rievocava con gli altri le cariche dei Bersaglieri a Sebastopoli. Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio, 2014.

Mia nonna, in pratica abitava all’aeroporto, era la signora dei gabinetti di Orly, dove passavo le vacanze quando ero piccolo. Quanto mi piaceva stare lì dentro. «Il volo in partenza per Rio de Janeiro...». Cavolo, se ne va in Brasile quella gente! E correvo a vedere. «Il volo in arrivo da...». Mi passavano davanti tutte le città del mondo: Saigon, Addis Abeba, Buenos Aires... E io me ne stavo nei gabinetti. Che nonna puliva: lavorava per una ditta che si chiamava L’Alsacienne. Nonna si faceva la barba, e ne ero affascinato. Aveva un Gilette bilama con cui si rasava. «Nonna, pungi ancora!», le dicevo quando la baciavo. «Me la rifarò domani, tranquillo». Era la madre di mio padre. Ne ho fatti di viaggi da quando, nei gabinetti di Orly, sentivo destinazioni che mi facevano sognare. Allora pensavo: «Ci andrò anch’io, laggiù! Un giorno ci andrò anch’io e poi ritornerò, un giorno...!». Gérard Depardieu. la Repubblica.

Anche a Urvàn toccavano spesso quelle notti di guardia, a lui da una parte piacevano, perché gli erano graditi la solitudine, i rumori degli animali della notte, gli odori del bosco e degli ultimi fieni. Ma allora aveva più forte la sensazione di trovarsi in un paese straniero, e ripensava ai disagi passati e agli eventi che avevano distrutto la sua famiglia. Aveva perduto la moglie e il figlio più piccolo in Polonia, a causa degli stenti e delle epidemie. I tanti disagi della guerra avevano finito per consumare la loro fortissima fibra di cosacchi, e li avevano stroncati. Il figlio, più grande, invece, che adesso avrebbe avuto quasi l’età di Ghirei, l’aveva ucciso una pallottola vagante. Urvàn, dentro di sé, malediceva la Polonia. Sentiva che i posti erano benedetti o maledetti a seconda delle cose che vi succedevano, e a lui in Polonia erano accadute soltanto sventure. Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti. Mondadori. 1985.

Vuol sapere che cosa stia mormorando Chiodini al momento di mettere in moto? Dice: B’ism’Illah ul rohmàn ul rahìm, nel nome di Allah onnipotente e misericordioso, primo versetto del Corano. Abbiamo preso questa abitudine dai beduini, che mai iniziano un viaggio, un lavoro, una rapina, una notte nuziale senza pronunziare le sacre parole. Paolo Caccia Dominioni, Alamein. Longanesi. 1966.

Quando guardo Chi l’ha visto? mi assale la paura che mi trovino. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 16/5/2015