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 2015  maggio 16 Sabato calendario

APPUNTI SU PALMIRA PER IL FOGLIO DEI FOGLI


PAOLO MATTHIAE, LA REPUBBLICA 16/5/2015 -
«Palmira è una città splendida per la posizione, la ricchezza del suolo, la gradevolezza delle acque. Da tutti i lati le sabbie assediano l’oasi e la natura l’ha sottratta al resto del mondo. Gode di una sorte privilegiata tra i due grandi imperi, quello dei Romani e quello dei Parti e sia l’uno che l’altro la corteggiano non appena riemergono i conflitti tra loro».
Così Plinio il Vecchio rievoca la straordinaria bellezza della perla del deserto, celebre per il colorito rosa delle pietre dei suoi monumenti, che risplendono di un indicibile incanto sotto il sole cocente che avvampa i palmizi che le hanno dato il nome dall’età di Hammurabi di Babilonia nel XVIII secolo avanti Cristo. Ma la città è ancora più antica e sondaggi archeologici recenti hanno provato che esisteva già nell’età di Ebla, almeno dal XXIV secolo avanti Cristo.
Le fonti antiche ricordano che Marco Antonio solo venti anni dopo la costituzione della provincia di Siria, poco dopo la battaglia di Filippi, aveva inviato la sua cavalleria per saccheggiare la ricca città e che i suoi abitanti, messi al corrente, abbandonarono la città, salvandola dalla distruzione. I suoi famosissimi arcieri furono un nerbo dell’esercito di Tito alla conquista di Gerusalemme e Adriano la proclamò città libera, mentre Caracalla all’inizio del III secolo le conferì l’ambito titolo di colonia romana. Fu soprattutto sotto gli Antonini e i Severi che Palmira cominciò, per la sua eccezionale prosperità derivante dalla funzione di protettrice delle carovane che attraversavano il Deserto Siro-Arabico, a erigere monumenti spettacolari. La sua potenza militare e politica emerse quando, dopo la disastrosa sconfitta di Edessa nel 260, l’imperatore Valeriano cadde prigioniero dei Parti e il signore di Palmira Odeinato assunse risolutamente l’iniziativa, attaccò i secolari nemici di Roma e, dopo averli respinti oltre l’Eufrate, li inseguì fino a Ctesifonte e assunse il titolo regale. Poco più tardi, nel 271, la sua vedova, Zenobia, che aveva concepito il disegno di conquistare la provincia imperiale dell’Egitto arrivò ad assumere il titolo di Augusta. La sfida contro Roma fu raccolta da Aureliano che, portando le legioni imperiali a trionfare delle agili ma inferiori schiere palmirene a Emesa, l’odierna Homs, domò le ambizioni della temeraria regina, che sembra aver finito i suoi giorni in un dorato esilio a Tivoli. Secondo lo storico Flavio Vopisco Aureliano fu implacabile con la città ribelle e così si sarebbe espresso in una sua lettera «Non abbiamo avuto pietà delle sue madri; abbiamo ucciso i loro figli, i loro vecchi, massacrato gli abitanti delle campagne».
Oggi Palmira, con i suoi monumenti leggendari, dal Tempio di Baal che, miracolosamente conservato nel suo temenos quasi intatto, è una testimonianza unica dell’architettura imperiale d’Oriente, al piccolo santuario di Baalshamin ancora oggi quasi integro, dagli spettacolari colonnati che spiccano dall’arco trionfale a tre portali e a quel gioiello raccolto di estrema suggestione che è il piccolo teatro romano fino alla valle delle tombe costellata delle diroccate torri funerarie ricchissime di sculture di uno stile provinciale tra i più significativi dell’intero impero, corre di nuovo un pericolo mortale, quello stesso della macabra sorte in cui è incorso un altro gioiello dell’architettura d’Oriente tra Romani e Parti, Hatra.
Nel 1751 il viaggiatore inglese R. Wood, riscoprendo i resti di quella città spettacolare, scrisse soltanto «scoprimmo allora in un solo momento la più grande concentrazione di rovine, tutte di marmo bianco, che ci fosse mai capitato prima di vedere». E poco più tardi, un filosofo francese, Costantin François conte di Volney, avventuratosi fino a Palmira «per interrogare i monumenti antichi sulla saggezza dei tempi perduti», arrivò ad affermare, lui stesso incredulo, che «l’Antichità nulla ci ha lasciato né in Italia né in Grecia che sia comparabile alla magnificenza delle rovine di Palmira».
Un sensazionale patrimonio culturale è oggi di fronte ad un inaccettabile destino di morte. Il Segretario Generale dell’Unesco ha già inequivocabilmente definito crimini di guerra le efferate e ripetute distruzioni di siti storici imperdibili in Iraq e in Siria. Per l’Italia il Ministro Franceschini ha chiesto giustamente la costituzione di Caschi blu dell’Onu a difesa di monumenti che sono tesoro ineguagliabile del patrimonio mondiale, come solennemente affermato dall’Unesco. Il grido di dolore del Direttore Generale delle Antichità di Damasco, Maamoun Abdulkerim, non può cadere nel vuoto.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu sta per affrontare questo tema. I grandi del pianeta devono essere concordi per affermare che Palmira non può essere abbandonata ad un destino di morte, perché sarebbe un’onta incancellabile su tutti i massimi responsabili politici dei nostri tempi per tutti i secoli a venire.

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FRANCA GIANSOLDATI, IL MESSAGGERO 15/5/2015 -
Palmyra: la Sposa del deserto, la Venezia tra le dune, bella da mozzare il fiato, rischia di essere distrutta dalla follia dei miliziani dell’Isis che sono arrivati a lambire i confini di uno dei siti archeologici più importanti al mondo. Un’area imponente, con templi quasi intatti, la magnifica agorà, la colonnata, le vestigia romane. Il luogo è carico di fascino, di storia e di mistero.
Protetta dall’Unesco, Palmyra è in evidente pericolo per l’avanzata dello Stato Islamico che nella sua follia potrebbe ritenerla un simbolo occidentale da abbattere, da sfregiare, da demolire, con ruspe e dinamite, esattamente come è stato fatto anche per i siti archeologici iracheni, oltre che per il memoriale del genocidio armeno, completamente raso al suolo l’anno scorso, nei pressi di Deir es Zor, a poche decine di chilometri da lì. Templi e colonnati, statue e vestigia maestose marmoree che mutano il colore a seconda del vento e degli spostamenti solari.
LEGGENDA
Dalla sua scoperta, avvenuta alla fine del XVII secolo, da parte di mercanti britannici venuti da Aleppo, e, soprattutto, a seguito della decifrazione della lingua palmirene da parte dell’abate Barthélemy, Palmyra si è imposta come una città favolosa, leggendaria, le cui rovine si elevano improvvisamente in mezzo al deserto, visibili sin da lontano, come un miraggio o anche un mistero tanto da essere stata a lungo oggetto di studi. L’enigma della storia di Palmyra (e della sua conservazione) è stato svelato da un gruppo di studiosi francesi, tedeschi, polacchi e, siriani che, negli ultimi decenni, hanno condotto importanti scavi, studi architettonici, ricerche epigrafiche. I jihadisti dell’Isis, secondo le informazioni rimbalzate su Twitter grazie ad alcune ong, sono stati localizzati a 240 chilometri a nord-est di Damasco. Palmyra potrebbe essere il loro prossimo obiettivo.
Del resto che gli uomini del Califfo Nero siano arrivati a breve distanza dal sito è stato drammaticamente confermato dalla notizia dell’esecuzione di 26 civili, proprio nelle immediate vicinanze. Dieci uomini sono stati sgozzati secondo il macabro rituale islamico. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha lanciato un grido di allarme. «Palmyra è seriamente minacciata». Poco più tardi il direttore dell’ong, Rami Abdel Rahman, confermava ad Al Jazeera che «la battaglia è in corso a soli due chilometri di distanza», e che l’Isis ha già preso il controllo di tutti i posti di blocco dell’esercito tra al Sukhna e Palmyra.
Anzi proprio a Sukhna sono state eseguite le «condanne a morte» delle vittime che gli estremisti hanno bollato come «agenti del regime» siriano. Nel frattempo i siti che fanno capo alla galassia jihadista hanno mandato in rete diversi messaggi di vittoria per la presa di Palmyra, festeggiando di fatto l’obiettivo raggiunto, corredando di fotografie l’avanzata.
APPELLO
Anche il direttore dei Beni archeologici siriani ha lanciato un appello alla Comunità internazionale implorandola a non restare inerte, a mobilitarsi per impedire lo scempio. «Bisogna agire prima e non dopo la distruzione, come è già avvenuto – ha affermato Maamoun Abdulkarim – poichè se l’Isis entra a Palmyra sarà la devastazione, una catastrofe internazionale, mondiale. Purtroppo si possono mettere in salvo le statue, ma come si può proteggere l’antica architettura?». La paura è che non venga risparmiata dalle milizie jihadiste.

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GIAMPAOLO CADALANU, LA REPUBBLICA 16/5/2015 -
Non ci sono immagini blasfeme sulle colonne rimaste in piedi a ricordare lo splendore dell’antica Palmira, oasi e tappa obbligata delle carovane che collegavano Oriente e Occidente. Non ci sono rappresentazioni irriverenti del profeta, né disegni che possano offendere la sensibilità religiosa di nessuno. Ma la furia dei jihadisti potrebbe sfogarsi sulle bellezze dell’antica Tadmor, la “Venezia delle sabbie” citata anche nella Bibbia. L’esercito siriano sta mandando rinforzi ai difensori della zona, ma i miliziani di Daesh, il sedicente Stato Islamico, sono arrivati a un chilometro dal sito archeologico, nella provincia siriana di Homs, a metà strada fra il Mediterraneo e l’Eufrate. E in serata è arrivata notizia di un’esecuzione di massa proprio a Palmira: 23 civili uccisi, nove dei quali bambini.
L’Unesco, che l’ha inclusa nella lista dei siti “patrimonio dell’umanità”, teme che i tesori artistici di Palmira vengano danneggiati, seguendo la strada inaugurata dai Taliban con la distruzione dei Buddha giganti di Bamiyan e poi proseguita dai fanatici dell’Is sui tesori di Nimrud e dell’antica Ninive, conservati nel museo dell’odierna Mosul, oltre alla tomba del profeta Giona, ai siti e cimiteri cristiani e Sufi nell’intera Siria.
L’allarme lanciato dall’Unesco, per bocca della responsabile Irina Bokova, è stato rilanciato da diverse città italiane, che hanno usato drappi neri sulle loro ricchezze artistiche: a Firenze è stata incappucciata la statua della Primavera, a Siena la bandiera nera è stata esposta a Palazzo Pubblico, a Urbino al Palazzo Ducale, così come a Pienza e a San Gimignano.
Ma sembra illusorio credere che la mobilitazione ideale possa rallentare l’avanzata dei miliziani di Al Baghdadi. La bandiera nera, quella “vera” con il sigillo di Maometto, sventola adesso anche sul compound governativo a Ramadi, nella provincia irachena di Al Anbar: l’Is ha conquistato ieri il quartier generale delle truppe di Bagdad grazie a un assalto con nove autobombe guidate da terroristi suicidi. E non ha perso tempo, giustiziando decine di agenti e almeno una sessantina di civili, donne e bambini compresi.
Ieri le truppe dello Stato islamico avevano ingaggiato scontri sanguinosi con i governativi nella zona industriale di Fallujah, a sessanta chilometri dalla capitale, facendo ricorso ai suicidi: secondo Al Quds al Arabi , sarebbero addirittura una trentina i kamikaze adoperati contro i militari fedeli al governo centrale.
A rinvigorire l’offensiva dei jihadisti potrebbe essere stata la ricomparsa di Abubakr al Baghdadi: il leader fondamentalista è riapparso giovedì con un messaggio radio dopo essere stato dato per morto, perché da tempo non faceva pubbliche apparizioni. Al Baghdadi ha lanciato un appello agli islamici di tutti i Paesi perché vadano a vivere nel Califfato: «Non ci sono scuse per un vero musulmano, per non venire a stabilirsi nello Stato Islamico e per non affiancare le sue battaglie».

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MAURIZIO MOLINARI, LA STAMPA 16/5/2015 -
Con un assalto guidato da sei kamikaze i miliziani dello Stato Islamico (Isis) si impossessano del palazzo del governatore a Ramadi, umiliando i governativi iracheni e posizionandosi a 113 km da Baghdad. Ramadi è il capoluogo dell’Anbar, la regione irachena teatro della rivolta sunnita che alimenta il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi.
Verso la capitale
In marzo il premier Haider al Abadi, dopo essere riuscito a riconquistare Tikrit, aveva promesso di «liberare tutto l’Anbar» in primavera, per poi lanciare l’assalto a Mosul, roccaforte del Califfo. Ma quanto avvenuto fra giovedì notte e ieri mattina disegna uno scenario differente: sostenuti dai mortai e aprendosi la strada con kamikaze in divisa e barbe tagliate gli uomini del Califfo hanno travolto le difese in centro città, fatto strage degli alleati di Al Abadi e, penetrati nel palazzo del governatore, ucciso almeno 50 fra agenti e militari, infine hanno issato il drappo nero di Isis in segno di sfida proprio al premier di Baghdad, perché l’offensiva del Califfo punta su Baghdad.
Colpisce la coincidenza con l’audio di Abu Bark al Baghdadi, postato online giovedì, nel quale si chiede ai musulmani di «venire a combattere perché l’Islam è una fede di guerra». L’impressione è che Al Baghdadi, sopravvissuto all’ultimo attacco alleato, stia tentando di tenere aperti più fronti di iniziativa militare per testimoniare la vitalità del Califfato: a Ramadi contro il governo iracheno, all’aeroporto di Damasco e ad Aleppo contro le milizie di Assad, a Qalamoun contro gli Hezbollah e nel Sinai con Bayt al Maqqdis contro l’Egitto.
Tutto ciò coincide con una fase di debolezza della leadership di Isis - con Al Baghdadi ferito e impossibilitato a muoversi e il vice designato Al Afri forse eliminato - testimoniata dall’annuncio del Consiglio della Shura sulla nomina «entro il fine settimana» del «super-vice Califfo». Ciò dimostra che la forza di Isis non è dovuta ai leader ma alla catena di comando interna, disseminata di veterani di Saddam, a cominciare dal comandante Abu Ali al Anbari.
Basta con i riscatti
Ma non è tutto perché la caduta del centro di Ramadi evidenzia il fondamento delle critiche Usa a Baghdad sull’organizzazione delle truppe per l’Anbar: il Pentagono aveva sconsigliato di ricorrere in maniera massiccia alle milizie sciite-irachene, per non spingere i sunniti verso Isis, ma Al Abadi si è limitato a reclutate alcune tribù sunnite che non sono riuscite a fare la differenza. Proprio ieri il comitato Finanziario della coalizione anti-Isis, composto da 25 Paesi, si è riunito a Gedda per decidere che «non verranno più pagati riscatti di alcun tipo a Isis in cambio di ostaggi per non facilitare l’avversario». I riscatti «sono un’importante fonte di sostentamento per il Califfato» afferma il comitato finanziario, co-presieduto da Italia, Usa ed Arabia Saudita.

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GUIDO OLIMPIO, CORRIERE DELLA SERA 16/5/2015 -
L’assalto al centro di Ramadi è iniziato con la tattica consueta dell’Isis. Una falange di sei kamikaze a bordo di veicoli blindati e riempiti d’esplosivo. Tra loro un inglese, Abu Musab al Britani. A far da ariete un bulldozer-bomba. Un colpo di maglio che ha distrutto le linee di difesa irachene e permesso ai mujaheddin di occupare il palazzo del governatore dove hanno innalzato il vessillo nero. Sempre ieri i jihadisti dell’Isis avrebbero ucciso 23 civili, tra cui 9 bambini, vicino alla città di Palmira, il noto sito archeologico siriano. Tra le vittime anche familiari di impiegati del governo siriano, riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria che ha dato notizia dell’ennesima strage.
Il nuovo rovescio per Bagdad era in parte atteso. Le unità, assediate da mesi, hanno ricevuto rinforzi sufficienti a tenere ma non a rovesciare il quadro strategico. E questo malgrado le promesse di «riconquista» lanciate dal governo. Solo poche settimane fa gli iracheni dicevano di voler liberare la provincia dell’Anbar dallo Stato Islamico, invece hanno incassato la sconfitta. Cocente. Ramadi è sulle strade che portano verso Giordania e Siria, ospita un importante bacino idrico, è un simbolo per i sunniti, divisi tra quanti sostengono il Califfo e coloro che sono rimasti fedeli al potere centrale. L’esercito si è rivelato ancora una volta incapace di fronteggiare l’emergenza, non abbastanza organizzato. La coalizione, guidata dagli Usa, ha dato un apporto relativo. A partire da ottobre - secondo nostri calcoli - ha condotto nella zona oltre 155 raid aerei. Utili, a patto che sul terreno ci siano forze in grado di interagire. Così non è stato.
Un esperto americano è arrivato a ipotizzare che al governo iracheno — e al suo protettore iraniano — interessi poco intervenire nella regione a maggioranza sunnita. Ciò non toglie rilevanza allo smacco militare e propagandistico. Sviluppo che segue la nuova sortita del Califfo. In un messaggio audio, registrato (forse) a marzo, ha chiamato a raccolta i suoi e preso di mira i sauditi.
Guido Olimpio

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PAOLO CONTI, CORRIERE DELLA SERA 15/5/2015 -
«Vedrete, distruggeranno tutto quello che troveranno lì». Maamoun Abdulkarim, direttore generale siriano per musei e antichità, è disperatamente chiaro. L’Isis, secondo notizie di ieri sera, avanza verso l’antica città siriana inclusa nella lista dei patrimoni Unesco considerati in pericolo nel 2013. Si combatteva ad appena un chilometro dalla splendida area archeologica. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umana «i jihadisti hanno giustiziato 26 civili, di cui 10 per decapitazione, per la loro collaborazione con il regime».
La città di Palmira ha origini antichissime, è citata in documenti assiri del XIX secolo avanti Cristo, così come è citata nella Bibbia (Secondo Libro delle Cronache) e fiorì come sosta per le carovane che attraversavano il deserto siriano. Ma le meraviglie archeologiche oggi in pericolo sono legate dall’integrazione nell’Impero romano, dopo la caduta dell’autonoma Palmira, prima sotto Tiberio (verso il 19 d. C.) e poi Nerone. La solida unione con Roma proseguì con Settimio Severo, Caracalla, quindi Diocleziano e infine Giustiniano. Poi, dopo, la rovina.
Fu un disegnatore, archeologo e viaggiatore italiano, Giovanni Battista Borra, a svelare ai suoi contemporanei nel 1751, con due colleghi inglesi — Robert Wood e James Dawkins — le meraviglie di Palmira. Ovvero le rovine del Santuario di Baal (poi assimilato a Zeus), con i propilei che hanno resistito eretti nei secoli alle distruzioni e ai terremoti. Poi la via colonnata (con ampie porzioni della condotta idraulica ben visibili), il magnifico arco di Settimio Severo, le Terme di Diocleziano, l’orgoglioso teatro del II secolo in ottime condizioni, l’Agorà e il Senato. Insomma, un autentico gioiello.
Il legame con l’Italia contemporanea è molto forte. Tra i più recenti va citato l’impegno dell’università degli studi di Milano nell’ambito del «progetto Palmais», ovvero Palmira-Missione archeologica italo-siriana, in collaborazione con la direzione generale Antichità e musei di Damasco per l’esplorazione del quartiere sud-est della città. E da sempre i nostri studiosi hanno avuto fecondi e continui scambi con le autorità accademiche siriane. Francesco Rutelli, come presidente del Partito democratico europeo e dell’associazione Priorità Cultura lancia un appello: «È doveroso richiedere alle parti in conflitto di non trasformare Palmira in un campo di battaglia e di catastrofe. La comunità internazionale ascolti la proposta del Governo italiano , ovvero i Caschi per il Patrimonio Culturale, che viene discussa dall’Unesco e dovrà approdare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu».
Paolo Conti

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IL POST 15/5/2015 -
Lo Stato Islamico (o ISIS) ha preso il controllo della principale sede del governo locale a Ramadi, la capitale della provincia occidentale irachena di Anbar, e ha issato la sua bandiera nera sull’edificio prima di dare fuoco al complesso. Si tratta di un successo militare notevole, anche se diversi analisti sostengono che sia troppo presto per parlare di una vittoria completa dell’ISIS a Ramadi. Il New York Times ha scritto che «rappresenta un significativo cambiamento negli equilibri della battaglia per il controllo di Ramadi, che va avanti da circa un anno e mezzo». Ramadi è considerata di grande importanza strategica sia dall’ISIS che dal governo iracheno: sia perché lì si trovano tutti gli edifici di governo più importanti della provincia di Anbar, che è l’area dell’Iraq che l’ISIS controlla di più; sia per la sua posizione geografica, visto che si trova sulle sponde del fiume Eufrate e sulla strada da Baghdad alla Siria orientale, altro territorio controllato in gran parte dall’ISIS.
Da giovedì, inoltre, i miliziani dell’ISIS si trovano a meno di due chilometri dalla città di Palmira, nella Siria centrale, sulla strada che porta dalla città orientale di Deir ez-Zur verso due grandi centri urbani del paese, Damasco e Homs. Palmira è molto nota per essere uno dei siti archeologici più belli al mondo e nel 1980 è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Da giorni c’era grande preoccupazione sulle sorti di Palmira, espressa anche dal direttore generale dell’UNESCO Irina Bokova: già in passato l’ISIS ha distrutto e saccheggiato alcuni importanti siti archeologici iracheni, diffondendo poi dei video per mostrare i risultati delle violenze. Era successo per esempio a Nimrud, la città che fu capitale dell’Impero assiro, e ad Hatra, città fondata dalla dinastia seleucide nel Terzo secolo a.C.. Nel febbraio di quest’anno l’ISIS ha anche diffuso un video che mostra la distruzione di alcuni reperti archeologici a Mosul, la più importante città irachena sotto il controllo dello Stato Islamico.
L’antica città di Palmira risale al Primo secolo a.C. e si è sviluppata come risultato dell’incontro tra le culture greca, romana, persiana e islamica. Oggi è un complesso di colonne, tombe e templi: dal 1980 è stata dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, che la descrive sul suo sito come “uno dei più importanti centri culturali del mondo antico”. L’economia della città che è stata costruita nei pressi del sito archeologico si basa molto sul turismo, anche se dal 2011 le cose sono cambiate. Con l’inizio della guerra in Siria il flusso dei visitatori al sito di Palmira si è praticamente bloccato, creando diverse difficoltà all’economia locale.
In passato, scrive il New York Times, l’ISIS ha mostrato di avere un approccio a metà tra l’ideologico e il pragmatico riguardo i reperti e i siti archeologici dei territori che controlla: ha distrutto per esempio moschee e tombe che considerava forme di idolatria, ma allo stesso tempo ha venduto molti reperti storici per assicurarsi delle entrate rilevanti nelle casse del Califfato islamico. La questione del finanziamento dello Stato Islamico è un tema di cui si sono occupati in passato diversi analisti: l’ISIS è considerato il gruppo terroristico più ricco di sempre, anche se – a differenza per esempio di al Qaida – non sembra abbia mai ricevuto finanziamenti o appoggi esterni dagli stati della regione mediorientale, o altri. Tra le sue forme di finanziamento sono state citate la vendita di petrolio, il pagamento dei riscatti, alcune forme a metà tra tassazione ed estorsione e la vendita di reperti archeologici.
Di recente l’ISIS ha subìto alcune sconfitte militari rilevanti – tra le più citate ci sono Kobane, la città curda in Siria al confine con la Turchia, e Tikrit, città a nord di Baghdad riconquistata dall’esercito iracheno grazie soprattutto al coinvolgimento di milizie sciite sostenute dall’Iran. Diversi analisti hanno anche parlato di difficoltà sempre maggiori ad amministrare l’ampio territorio del Califfato, e di qualche scontro in atto nelle ultime settimane per stabilire il successore di Abu Bakr al Baghdadi, leader dell’ISIS che diverse fonti dicono che sia rimasto gravemente ferito alla spina dorsale in un bombardamento statunitense (alla fine di marzo il settimanale britannico Economist aveva dedicato una sua copertina all’ISIS sostenendo – forse un po’ avventatamente – che il gruppo stava perdendo). Nel complesso, tuttavia, l’ISIS non sembra avere subìto delle sconfitte così decisive da far parlare di crisi vera e propria e allo stesso tempo sembra ancora in grado di ottenere delle importanti vittorie, come quella di Ramadi.

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INTERNAZIONALE.IT 14/5/2015 -
I combattenti del gruppo Stato islamico si stanno avvicinando alla città di Tadmur, nel centro della Siria, dove si trova Palmyra, uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. A lanciare l’allarme è l’Osservatorio siriano per i diritti umani, secondo il quale i jihadisti sarebbero ad appena due chilometri dalle rovine di Palmyra.
In un messaggio su Twitter, i combattenti hanno annunciato di aver preso il controllo di alcune zone settentrionali e orientali di Tadmur, dopo una veloce avanzata nel deserto. Si sono impossessati anche di tutte le postazioni dell’esercito tra Tadmur e Al Sukhanah, una città più a nord. Il governatore della provincia di Homs ha confermato che Al Sukhanah è caduta nelle mani dello Stato islamico e che 1.800 famiglie sono fuggite dalla città e si sono rifugiate a Tadmur.
La zona dove si trova il sito archeologico di Palmyra è controllata dal governo, ma è considerata d’importanza strategica data la sua posizione vicina ad alcuni giacimenti di gas e sulla strada tra Damasco e la città orientale Deir al Zaour, di cui esercito e ribelli si contendono il controllo. Il timore è che possa ripetersi la devastazione del patrimonio culturale avvenuta in Iraq, dove i jihadisti hanno distrutto la città assira di Nimrud e l’antica città di Hatra.
Il nome greco della città, Palmyra, è la traduzione dall’originale aramaico, Tadmor, che significa palma. La città visse il suo massimo splendore tra il I ed il III secolo dC., quando Traiano e Aureliano allungarono la via colonnata e costruirono l’agorà e vari templi. Le condizioni atmosferiche del deserto hanno permesso che il sito archeologico si mantenesse nei secoli in ottime condizioni, ma i quattro anni di guerra civile hanno provocato diversi danni.

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LA STAMPA.IT 15/5/2015 -
Allarme all’Unesco per l’avvicinarsi al sito archeologico di Palmira, nella Siria centrale, della battaglia tra le forze governative e i miliziani dello Stato islamico, che in un attacco hanno ucciso 23 civili tra cui 9 bambini nei pressi delle rovine della città romana. Mentre il governo di Damasco evoca una «catastrofe internazionale», gli esperti ricordano che le stesse forze lealiste hanno da oltre due anni trasformato l’area archeologica romana in un’enorme caserma a cielo aperto.
Secondo attivisti sul terreno, l’Isis è ora ad appena un chilometro dalla città moderna di Palmira ma le forze governative hanno inviato rinforzi. Talal Barazi, governatore di Homs, capoluogo della regione centrale dove si trova il sito, assicura che «la situazione è sotto controllo» e che l’aviazione di Damasco ha bombardato le postazioni jihadiste. Palmira è tristemente nota in Siria perché ospita una delle carceri e luoghi di tortura più duri per i dissidenti politici.
L’Isis è avanzato da giorni da est e da nord, attestandosi da ieri ad Amriye, sobborgo settentrionale di Palmira. Ieri i jihadisti hanno ucciso 26 persone, secondo alcune fonti, militari, secondo altre civili. Fonti locali affermano che centinaia di famiglie, molte delle quali già sfollate da altre zone in guerra, sono fuggite dalla città.
Palmira - anche nota come Tadmor - era fiorita nell’antichità come punto di sosta per le carovane che attraversavano il deserto siriano. Già citata nella Bibbia e negli annali dei re assiri, l’area era stata in seguito incorporata nell’impero romano.
L’avvicinarsi dell’Isis ha evocato in molti il terrore che i miliziani possano riservare a Palmira lo stesso destino toccato ai siti iracheni di Ninive, Nimrud e Hatra a sud di Mosul. «L’allarme esiste ma il contesto è diverso», afferma Alberto Savioli, archeologo dell’Università di Udine con decennale esperienza in Siria e in Iraq. Parlando con l’ANSA, Savioli ricorda che «finora l’Isis non ha danneggiato siti siriani altrettanto importanti, come Dura Europos, Mari, Rasafa nel nord e nell’est del Paese. Nonostante «vi siano notizie di saccheggi questi patrimoni non sono stati finora toccati».
«Nimrud e gli altri siti iracheni - prosegue Savioli - sono stati in parte distrutti per la loro valenza religiosa e politica. Per la presenza di statue e bassorilievi raffiguranti idoli e divinità, bandite dalla visione jihadista».
Dal canto suo Maamun Abdelkarim, nominato dal governo direttore delle antichità in Siria, ha invocato un non meglio precisato soccorso della comunità internazionale per scongiurare «una catastrofe nazionale». Quando per mesi nel 2013 Palmira fu conquistata da miliziani delle opposizioni, l’area archeologica non fu danneggiata. Più che la minaccia distruttrice dell’Isis, quello che preoccupa per le rovine romane e dell’epoca della regina Zenobia è l’approssimarsi degli scontri. Colpi di mortaio sono già caduti nei giorni scorsi sulla parte moderna. E nei combattimenti del 2013 tra governativi e ribelli il tempio di Baal fu gravemente danneggiato.
«Il regime ha da scavato trincee all’interno del sito, ha parcheggiato i carri armati lungo i colonnati, ha aperto il fuoco contro antiche mura», ricorda Savioli. E la responsabile dell’Unesco, Irina Bukova, dicendosi «allarmata», ha ribadito di aver «chiesto alle parti coinvolte di lasciar fuori il sito dalla loro attività militare».

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OMERO CIAI, LA REPUBBLICA 15/5/2015
Se l’incantevole “Sposa del Deserto” cadrà nelle mani dei miliziani dello Stato Islamico (Is) sarà una catastrofe internazionale: è l’appello lanciato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione umanitaria basata a Londra, ora che le forze del Califfato avanzano verso Palmira, l’antica città 200 km a sud est della capitale siriana, uno dei siti archeologici più importanti del Paese, patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Gli attivisti temono che la furia devastatrice degli jihadisti possa scatenarsi su templi, antiche rovine, statue e bassorilievi preziosissimi com’è già accaduto nel nord dell’Iraq. Il loro punto di vista è condiviso dal direttore generale dell’Unesco Irina Bokova: «Palmira è un tesoro insostituibile per il popolo siriano, e deve essere salvato», ha affermato, chiedendo alle truppe governative e ai miliziani estremisti di «risparmiare le rovine».
E mentre si combatte per Palmira, lo Stato Islamico ha messo sul web un nuovo messaggio audio che attribuisce a Abu Bakr Al Baghdadi, il leader probabilmente ferito in un raid aereo nel marzo scorso, dove il Califfo afferma che l’Islam «è una religione di guerra». In queste ore l’aviazione siriana sta bombardando postazioni dello Stato islamico nei pressi della città ma fonti dell’Is affermano che Palmira «è ormai prossima a essere conquistata » e che gli jihadisti sono già entrati «in alcuni quartieri» della periferia orientale e «hanno abbattuto un Mig dell’aviazione siriana».
Secondo Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio, «la battaglia è in corso a soli due chilometri dai siti archeologici della città» e l’Is ha già preso il controllo dei posti di blocco dell’esercito siriano fra Sukhna e Palmira. Mentre ventisei civili sono stati “giustiziati” dagli “uomini in nero” dell’Is, dieci dei quali decapitati.
Famosa in tutto il mondo per la sua bellezza come “la Sposa del Deserto”, Palmira — Tadmor, ossia “palma” nel suo nome originale in aramaico — è una antichissima oasi vicino all’Eufrate, descritta già da Plinio il Vecchio, per secoli snodo, tra Oriente e Occidente, delle carovane, e tappa fondamentale per i viaggiatori e i mercanti che collegava l’impero romano con la Mesopotamia e la Persia verso l’India e la Cina. Centro culturale dell’antichità, Palmira visse il suo massimo splendore tra il primo e il terzo secolo dopo Cristo, nelle epoche degli imperatori Traiano e Aureliano. Oggi ha circa 45mila abitanti. I suoi siti archeologici più noti sono il Santuario di Baal (Zeus), quello di Nabu, la via colonnata, l’Agorà costruita dai romani, le Terme, la cinta muraria e la necropoli. Nel museo archeologico sono conservate statue, bassorilievi, sarcofagi, mosaici e ceramiche. Per salvare Palmira dalla ferocia del-l’Is è intervenuto anche il direttore dell’Istituto dei Beni culturali siriano, Maamoun Abdulkarim: «Dobbiamo agire subito per evitare l’ennesima devastazione di un patrimonio culturale di eccezionale valore».

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LUCA NANNIPIERI, IL GIORNALE 28/2/2015 -
DISTRUTTI 14MILA ANNI DI STORIA IN 14 ANNI DI SCEMPIO ISLAMICO –
In almeno 17 paesi nel mondo, tra Africa sahariana e mediterranea, Medio Oriente ed Asia Meridionale, sta avvenendo la più organizzata e sistematica distruzione del patrimonio storico-artistico della Storia. Da sempre gli uomini hanno abbattuto i simboli del nemico, ma mai era successo che queste devastazioni avvenissero su un territorio così ampio su tutto il pianeta: è quello che maledettamente sta accadendo con il fondamentalismo islamico. Irak, Siria, Libia, Mali, Egitto, Libano, Nigeria, Niger, Cisgiordania, Striscia di Gaza, Indonesia, Afghanistan, Pakistan, India, Algeria, Tunisia, Kurdistan sono le nazioni, a vario grado, più colpite dalle demolizioni. Ma potenzialmente gli attentati, le dinamiti, le mazze e i martelli possono arrivare ovunque.
Il saccheggio e gli abbattimenti messi in atto dagli integralisti islamici, sotto diverse sigle di appartenenza, non conoscono recinto: dal 2001, anno in cui i talebani fecero saltare in aria i grandi Buddha di Bamiyan in Afghanistan, ad oggi si sta verificando la più strutturale guerra alle testimonianze della storia. Tutto ciò che è pre-islamico, avvolto nella jahiliyya, ovvero nell’ignoranza della verità svelata da Maometto, oppure tutto ciò che è idolatrico e allontana dalla shari’a, dalla strada da seguire, deve essere buttato giù: si insegna questo in molte madrassa, cioè nelle scuole, e poi lo si mette in pratica.
Colpito il neolitico di 14mila anni fa nel sito di Tadrart Acacus in Libia; colpita la civiltà assira del II-I millennio a.C. in Irak e Siria; colpita la civiltà egizia al Cairo; colpita la civiltà romana tra Libia ed Egitto, colpito l’induismo a Ayodhya in India, colpito il buddhismo a Borobudur in Indonesia, colpito il cristianesimo tra Nigeria e Niger; colpito l’ebraismo tra Israele e Striscia di Gaza; colpita la stessa tradizione musulmana in Libano o Irak. Non viene risparmiato nulla: templi, moschee, chiese, bassorilievi, mummie, immagini sacre, siti archeologici, manoscritti, sepolcreti.
Negli ultimi 15 anni gli integralisti islamici hanno razziato un patrimonio immenso. L’elencazione dei misfatti è solo grossolana: l’Unesco è impotente, si limita a comunicati d’indignazione; le organizzazioni internazionali come il Cultural Heritage Center dell’Università della Pennsylvania o il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (Icomos) si dichiarano inadeguate. Manca del tutto una mappatura verificabile della strage in corso.
L’Irak è il paese più colpito dallo Stato islamico del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Ripetute distruzioni nelle città assire di Ninive, Khorsabad e Assur, nelle centinaia di siti mesopotamici. Mosul è una città fantasma, tra le distruzioni la moschea del profeta Giona, i santuari sunniti di Sheikh Fathi e di Sultan Abdullah Bin Asim, il santuario iconico di Yahya Ibin al-Qasim.
In Siria distrutti quasi 300 siti archeologici tra Aleppo e Palmira. Raso al suolo il minareto della Moschea degli Omayyadi ad Aleppo (XI secolo). Sbriciolato un mosaico bizantino (VI secolo) nella città di Al Raqqa. Incendiata la chiesa armena a Deir el Zor, che raccoglieva un memoriale dell’eccidio armeno.
In Libia, mentre l’Isis minaccia Leptis Magna e Sabratha, importanti quanto Pompei, i Fratelli musulmani d’Alba libica, a Tripoli, hanno vandalizzato un vasto patrimonio, tra cui i sepolcreti di Gurgi e della Karamanli, la moschea Mizran, le tombe ottomane.
In Egitto, al Cairo, una bomba ha colpito la biblioteca nazionale, il museo di arte islamica e l’Istituto storico Dar al-Bab al Kutub Khalq. Inoltre razzia al museo nazionale di Malawi a Minya.
A Gaza e in Cisgiordania i bulldozer di Hamas hanno rasato l’antico porto di Anthedon, che possedeva strutture e mosaici romani e bizantini.
Tra Nigeria e Niger l’organizzazione estremista di Boko Haram ha assaltato le chiese cristiane delle città di Niamey, Zinder, Maradi, Gourè, e la chiesa battista di Suleja.
Nel Mali i fondamentalisti di Ansar Dine legati ad Al Qaida hanno colpito le moschee di Timbuctù, la porta della moschea di Sidi Yahya (XV secolo) e 7 dei 16 mausolei dei santi musulmani.
In Libano, incendiati 60mila testi antichi musulmani della biblioteca «al Saeh» a Tripoli. Alle sporadiche distruzioni in India si affiancano quelle più insistenti in Indonesia dagli affiliati all’Isis e dal Fronte di difesa islamico. In Pakistan e Afghanistan, i talebani hanno assaltato statue buddiste e reliquie del Buddha del VII secolo, i siti archeologici della cittadina di Ghazni, che era la capitale dell’Impero ghaznavide intorno al XI sec.
Mai nella storia si è verificato uno scempio dell’arte così vasto. Ora sta accadendo.

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MARIO LENZI, MACCHINA DEL TEMPO, MAGGIO 2004 -
Palmira non vi sono folle di turisti con telecamere e macchin’ fotografiche. una località tranquilla che sorge in mezzo al nulla: il fiume Oronte dista 150 km verso ovest, l’Eufrate 200 km verso est. Le rovine risalgono al II secolo d.C., ma la città era già fiorente sotto gli Assiri. Per un certo periodo fu un importante avamposto greco e nel 217 d.C. fu annessa all’Impero Romano, diventando così un centro ricchissimo.

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PALMIRA SU WIKIPEDIA -
Palmira fu in tempi antichi un’importante città della Siria, posta in una oasi 240 km a nord-est di Damasco e 200 km a sud-ovest della città di Deir ez-Zor, che si trova sul fiume Eufrate. È stato per lungo tempo un vitale centro carovaniero, tanto da essere soprannominata la Sposa del deserto, per i viaggiatori ed i mercanti che attraversavano il deserto siriaco per collegare l’Occidente (Roma e le principali città dell’impero) con l’Oriente (la Mesopotamia, la Persia, fino all’India e alla Cina), che ebbe un notevole sviluppo tra il I ed III secolo d.C.

Il nome greco della città, Palmyra (Παλμυρα), è la fedele traduzione dall’originale aramaico, Tadmor, che significa ’palma’.
Tadmor (anche Tadmur; in arabo تدمر) è l’attuale nome della cittadina sorta in prossimità delle rovine, che dipende molto dal turismo.
Comunque, anche se la fonte sulfurea che alimentava l’oasi di Palmira sembra esaurita, oggi Tadmor, con un sistema di irrigazione del terreno, riesce a mantenere viva una fiorente oasi che permette ai 45.000 abitanti di vivere non solo di turismo ma anche di agricoltura.
Panorama di Palmira all’alba

Storia
Origini
La città, nota col nome di Tadmor nel II millennio a.C., è menzionata per la prima volta in documenti provenienti dagli archivi assiri di Kanech, in Cappadocia, nel XIX secolo a.C., e poi è citata più volte negli archivi di Mari, nel XVIII secolo a.C.
Poi viene citata ancora negli archivi assiri, nell’XI secolo a.C., come Tadmor del deserto. A quel tempo era solo una città commerciale nella estesa rete commerciale che univa la Mesopotamia e la Siria settentrionale.
Tadmor è citata anche nella Bibbia (Secondo libro delle Cronache 8.4) come una città del deserto fortificata da Salomone. La città di Tamar[2] è menzionata nel Primo libro dei Re (9.18), anch’essa fondata e fortificata da Salomone.
Dopo queste citazioni su Palmira cala il silenzio per circa un millennio, e solo nel I secolo a.C. la città viene citata col nuovo nome, che le è stato dato durante il regno dei Seleucidi (IV - I secolo a.C.)

Periodo greco-romano
Seleucidi
Quando i Seleucidi presero il controllo della Siria nel 323 a.C. la città fu abbandonata a sé stessa e divenne indipendente. Palmira fiorì come città carovaniera durante il I secolo a.C., come ci testimonia lo storico giudeo Flavio Giuseppe, nel secolo successivo, sviluppando un proprio dialetto semitico e un proprio alfabeto.
Anche se la Siria era divenuta provincia romana nel 64 a.C., pare che Palmira abbia mantenuto una certa autonomia e la città era tanto ricca che, nel 41 a.C., Marco Antonio cercò di occuparla per saccheggiarla, ma fallì nel tentativo.

Romani
In seguito Palmira fu annessa ufficialmente alla provincia romana di Siria, verso il 19 d.C., durante il regno di Tiberio (14-37), e con Nerone (54-68) fu integrata nella provincia. In quegli anni lo scrittore Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, descrive Palmira, mettendone in rilievo la ricchezza del suolo e la sua importanza per il ruolo che ricopriva come principale via di commercio tra Persia, India, Cina e l’impero romano. Sotto Tiberio era già così ricca che costruì il santuario di Baal, col tempio dedicato a Baal, a Yarhibol (il Sole) e Aglibol (la Luna) e con la cooperazione degli sceicchi nomadi l’autorità di Palmira fu riconosciuta dalle oasi del deserto, tanto di renderla un vero e proprio stato (nel 24, avevano fondato una colonia sull’Eufrate e avevano un fondaco a Vologasia, città del regno dei Parti, da dove raggiungevano le coste del golfo persico, dove arrivavano la navi provenienti dall’India.
Sotto il regno di Traiano la città fu annessa all’impero, ma nel 129 Adriano visitò Palmira e la proclamò città libera, dandole il nome di Palmira Hadriana.
Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, Settimio Severo oppure il suo successore, il figlio Caracalla, concessero a Palmira lo statuto di città libera.
Benché fosse di fronte all’impero partico, Palmira non era mai stata coinvolta nelle guerre che lo avevano opposto a Roma. Ma dopo che il fondatore della dinastia sasanide, Ardashir I, nel 224, era asceso al potere, a partire dal 230 il commercio palmireno diminuì a causa dell’occupazione sasanide della Cappadocia (Nisibis cadde nel 237) e della Mesopotamia, il territorio tra il Tigri e l’Eufrate, Carre cadde nel 238.
Negli anni seguenti, le incursioni dei Sasanidi continuarono con continuità anche sotto il regno del successore di Ardashir, Shapur I, che arrivò a minacciare Antiochia. In questo contesto si inserì la figura di Odenato.
Odenato, discendente della famiglia gentilizia dei Settimi che ricevette la cittadinanza romana, quando, nel 193, aveva parteggiato per Settimio Severo contro Pescennio Nigro, era stato nominato governatore della provincia di Siria da Valeriano.
Nel 260, dopo che Valeriano, sconfitto a Edessa, era stato catturato, Odenato intervenne e inseguì sino a Ctesifonte l’esercito sasanide che, sconfitto dal generale Callisto, si stava ritirando. Durante tale azione, Odenato riuscì a procurare notevoli perdite al nemico e l’impresa fu apprezzata dall’imperatore Gallieno, che, dopo che Odenato, durante la ribellione dei Macriani, aveva sconfitto ed ucciso, nel 261, il generale Callisto, gli conferì il titolo di dux romanorum. In seguito, Odenato si proclamò re dei re. Fu anche per merito di Odenato che i Persiani, negli anni successivi, non effettuarono altre incursioni.

Nel 268, a seguito di un complotto politico[3], Odenato ed il figlio maggiore, Hairan, furono assassinati da Maconio[4], cugino o nipote (a seconda delle fonti) di Odenato.
Poco dopo la morte del governatore (re dei re), sua moglie Zenobia prese il potere, in nome del figlio minorenne, Vaballato, col sogno e l’ambizione di creare un impero d’Oriente da affiancare all’impero di Roma.
Il disinteresse apparente degli imperatori romani e la morte, nel 269, dell’imperatore Claudio II e del fratello Quintiliano, incoraggiarono la regina a ribellarsi all’autorità romana. Nel 270, infatti Zenobia attaccò l’Arabia, la Palestina e l’Egitto, conquistandole. L’Egitto aveva una notevole importanza per il fatto che, dopo la chiusura delle vie carovaniere del nord, il commercio con l’India passava proprio da quella regione. Allora Zenobia si spinse a nord, conquistò la Cappadocia e la Bitinia arrivando sino alla città di Ancira. Ma Zenobia non aveva l’approvazione del Senato di Roma; inoltre, non tutte le legioni di stanza in Oriente la seguirono. In quello stesso anno (270), Aureliano viene acclamato imperatore dalle legioni del limes danubiano.

All’inizio del 272, Aureliano riconquistò l’Egitto, poi la Bitinia e la Cappadocia, poi dopo aver avuto ragione della cavalleria palmirense ad Antiochia, sconfisse l’esercito palmirense, comandato dal generale Zabdas ad Emesa. La regina si rifugiò a Palmira, ma prima della fine dell’anno Aureliano raggiunse l’oasi e iniziò delle trattative per la resa della città. Durante le trattative, Zenobia ed il figlio, Vaballato, fuggirono, ma furono catturati[5].

Palmira, che non ebbe a soffrire danni in occasione della resa, l’anno dopo (273), a seguito di una ribellione, fu saccheggiata[6], i suoi tesori furono portati via e le mura furono abbattute; la città, abbandonata, tornò a essere un piccolo villaggio e divenne una base militare per le legioni romane.
Tardo impero romano, Bisanzio e conquista araba

Diocleziano, tra il 293 e 303 fortificò la città, per cercare di difendere Palmira dalle mire dei Sasanidi e fece costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento (il campo di Diocleziano), con un pretorio ed un santuario per le insegne per la Legio I Illirica.
A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano.

Durante il periodo della dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza.
L’imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l’importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione.
Nonostante ciò la città venne conquistata dagli Arabi di Khalid ibn al-Walid nel 634.
Sotto il dominio degli Arabi la città andò in rovina.

Benché la storia di Palmira fosse nota, il sito e l’oasi vennero visitate, solo nel 1751, da una comitiva di disegnatori (tra cui l’italiano, Giovanni Battista Borra), capeggiati da due inglesi, Robert Wood e James Dawkins, che nel 1753, pubblicarono in inglese e francese Les Ruines de Palmyra, autrement dite Tadmor au dèsert, che crearono enorme interesse per il sito e l’oasi. Solo però verso la fine del XIX secolo vengono iniziate ricerche di carattere scientifico, copiando e decifrando le iscrizioni; ed infine, dopo l’instaurazione del mandato francese sulla Siria, vengono iniziati gli scavi per potare alla luce i vari reperti. Scavi che continuano ancora oggi.