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 2015  maggio 15 Venerdì calendario

COSÌ LA SCIENZA UN SECOLO FA SCESE IN TRINCEA


Un secolo fa, nove mesi dopo lo scoppio della Grande Guerra, nei pressi della cittadina belga di Ypres le truppe tedesche e francesi si fronteggiavano al riparo delle loro trincee. Finché alle 17.30 del 22 aprile 1915, l’ufficiale della Wehrmacht Fritz Haber, uno scienziato amico di Einstein, diede il via a un esperimento. Haber, che tre anni dopo avrebbe avuto il Nobel per la chimica per la sintesi industriale dell’ammoniaca, ordinò ai soldati dell’esercito tedesco di aprire le valvole di seimila bombole di gas cloro e di ritirarsi. Una nube giallo-verdastra si diresse verso le postazioni francesi. I primi a essere investiti furono i soldati dei battaglioni franco-algerini: uscirono dalle trincee in preda a soffocamento, invocando acqua e sputando sangue. In dieci minuti ne morirono un migliaio.
In tutta la guerra i gas avrebbero ucciso circa 90 mila soldati e ne avrebbero feriti oltre un milione 200 mila. Li usarono tutti gli eserciti e quindi, alla fine, si rivelarono un’arma letale ma non risolutiva, come invece sperava Haber. Anche per il rapido sviluppo di efficaci maschere antigas. Quella italiana fu ideata dai chimici Giacomo Ciamician e Leone Pesci: era fatta da dieci strati di garza imbevuti di soluzioni alcaline che neutralizzavano il cloro, ma non il fosgene. La rimpiazzammo così con le maschere francesi a 32 strati, ma anch’esse falliranno contro i nuovi gas usati dai tedeschi a Caporetto.
Il gas non fu la prima causa di morte della Grande guerra, ma fu forse l’arma che causò più panico tra i soldati e sgomento tra i civili: per la prima volta a uccidere su così vasta scala era la scienza, quella che nelle grandi Expo di fine Ottocento era stata celebrata come speranza dell’umanità.
«Il fatto è che la Prima guerra mondiale si era trasformata presto in una logorante guerra di trincea, con i tempi che si dilatavano e gli eserciti che potevano perdere molte migliaia di soldati per guadagnare poche decine di metri. Questo stallo continuo portò a sviluppare tecnologie per superare l’accoppiata mitragliatrice e filo spinato» dice Angelo Guerraggio, docente di Matematica generale all’Università Bocconi e autore del saggio La scienza in trincea. Gli scienziati italiani nella prima guerra mondiale (Raffaello Cortina). «Ecco quindi i primi carri armati: i goffi ma efficaci Mark 1 inglesi, che esordirono nella battaglia di Somme del settembre 1916».
E se il carro armato è soprattutto un frutto dell’ingegneria, in guerra diventano preziose anche scienze astratte come la matematica. Lo dimostra la storia del siciliano Mauro Picone. «In un carteggio del 1910 uno dei maggiori matematici italiani, Eugenio Elia Levi, lo rimprovera per la forma ampollosa dei suoi scritti e il voler tenere la sua ricerca sul piano più generale possibile: “A me pare qualche volta che tu ti compiaccia di veder crescere il numero delle facciate” scrive. Ma nell’aprile del 1916 cambia tutto: Picone è chiamato alle armi. Giunto sulle Alpi, alle falde del Pasubio, un colonnello gli affida la riscrittura delle tavole di tiro, ossia le tabelle che gli artiglieri possono consultare per prevedere con precisione dove finirà un tiro conoscendo angolo e direzione di sparo, peso del proiettile, pressione atmosferica e temperatura» racconta Guerraggio. Il problema è che, prima della Grande guerra, l’artiglieria di montagna aveva usato cannoni piccoli e leggeri, trasportabili dai muli. Ma ormai si costruivano strade anche sui monti più impervi: grazie a nuove, potenti autotrattrici, gli eserciti riuscivano a portare in montagna cannoni di grosso calibro. E il loro tiro non era stato ancora studiato. Ci pensa Picone: dal settembre 1916 tutte le artiglierie del suo reparto colpiscono con precisione, e i suoi calcoli aiuteranno anche, nel 1918, a bloccare sul nascere l’offensiva austriaca sul Piave.
Nel frattempo l’aviazione diventa sempre più importante. «Il compito di individuare le postazioni nemiche passa dalla cavalleria agli aviatori. Però la comunicazione è macchinosa: gli osservatori aerei devono lanciare a terra i loro appunti dentro sacchetti appesantiti, evidenziati da una scia illuminante che permetta di seguirne la caduta». La soluzione viene dagli Stati Uniti: nel 1917 per la prima volta si ha una trasmissione radio da un aereo in volo a un operatore a terra. E sempre gli Usa, entrati in guerra nel 1917, nel ’18 fanno volare il primo drone. Lo inventano Elmer Sperry e Peter Hewitt. Il Kettering Bug misura 5,6 metri e ha un motore a vapore. Giroscopi e un barometro lo aiutano a mantenere la direzione fissata prima del decollo. Può colpire fino a 120 chilometri di distanza, ma è impreciso, falliscono i tentativi di dotarlo di controllo radio, e lo si accantona.
In compenso gli scienziati italiani, ancora prima delle trasmissioni radio aria-terra, nell’autunno 1915, hanno trovato un altro modo per colpire il nemico senza esporsi: la fonotelemetria. «L’idea è dei fisici Antonio Garbasso, docente all’Università di Firenze arruolatosi nel 1915, e Pietro Cardani, docente all’Università di Parma. Capiscono che analizzando i suoni, ad esempio i colpi di cannone o i rumori di scavo delle trincee, si può individuare la posizione della sorgente sonora, ossia il nemico. È un sistema ormai necessario, perché i cannoni hanno gittate di oltre dieci chilometri, e quindi non sono più visibili dalle trincee. La soluzione di Garbasso e Cardani richiede tre stazioni di ascolto dotate di cronografo e in collegamento telegrafico tra loro. Quando il cannone nemico spara, le tre stazioni si comunicano il tempo esatto nel quale ciascuna ha registrato lo sparo. Applicando una formula matematica alle differenze tra i tempi e tracciando delle iperboli su un grafico si può ricavare la posizione del cannone» spiega Guerraggio. Il sistema incontra qualche resistenza iniziale. «I militari mal sopportano la presenza, poco marziale, di matematici e fisici che comandano ai soldati di spostarsi con cronografi e disegnare curve. Il sistema però sembra funzionare e viene adottato sempre di più: alla fine della guerra si constaterà che gran parte delle batterie nemiche colpite era stata segnalata dal fonotelemetro di Garbasso-Cardani».
A rimarcare l’utilità dei nostri scienziati contribuisce il matematico Luigi Sacco, che convince i superiori a fondare l’Ufficio crittografico italiano. Nel 1916 l’Ufficio violerà con successo i codici segreti tedeschi usati nei Balcani. La scienza ora è molto più rispettata – e temuta – da militari e governi. E, come disse Picone già nel 1923, «le future guerre saranno guerre tra scienziati».
Giuliano Aluffi