Notizie tratte da: Mario Sconcerti # Storia del gol # Mondadori Milano 2015 # pp. 350, 19 euro., 15 maggio 2015
Notizie tratte da: Mario Sconcerti, Storia del gol, Mondadori Milano 2015, pp. 350, 19 euro.Vedi Libro in gocce in scheda: 2317100Vedi Biblioteca in scheda: 2312254Per tre millenni il calcio si è giocato senza le porte
Notizie tratte da: Mario Sconcerti, Storia del gol, Mondadori Milano 2015, pp. 350, 19 euro.
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Per tre millenni il calcio si è giocato senza le porte.
In Cina, intorno al 1000 avanti Cristo, era in voga il Tsu-Chu, che vuol dire «palla di cuoio sospinta dal piede». Consisteva nel mettere con i piedi il pallone in una specie di cerchio tenuto in alto da canne di bambù.
All’inizio in Cina il pallone era un qualcosa di cuoio, dalla forma abbastanza sferica, riempito di piume e capelli femminili.
I marinai che arrivavano nei porti tiravano fuori dalle stive i palloni. Poi s’inventavano partite nel primo spazio libero. La gente del posto guardava, poi cercava di imparare, infine sfidava i marinai venuti da lontano. Così, un antico manoscritto del 50 avanti Cristo, conservato a Monaco di Baviera, parla di partite molto accese tra cinesi e giapponesi.
I giapponesi giocavano al Tsu-Chu imparato dai cinesi, ma avevano anche un loro gioco nazionale molto popolare, il Kemari. Si giocava quasi soltanto tra nobili, c’era una divisa da acquistare, un vestito di corte. Le scarpe erano di una pelle speciale, allacciate ai polpacci da corde. Infilato nella cintura ognuno doveva avere un ventaglio. Si giocava in un quadrato di sette metri per lato. Agli angoli dovevano esserci altrettanti alberi: un ciliegio, un salice, un pino e un acero. Il gioco consisteva nel ricevere la palla e nel tenerla sollevata da terra. Un vero e proprio palleggio. Non c’era scontro fisico, si aspettava solo l’errore dell’avversario.
La leggenda dice che a un incontro di Kemari abbia assistito Marco Polo e si sia innamorato del gioco al punto da portare con sé in Italia una decina di palloni. Sarebbe quello l’inizio del calcio in Occidente. Ma è una leggenda a cui è difficile dar credito.
Nel Kemari giapponese la palla era di pelle di cervo e all’interno aveva una camera d’aria fatta con la vescica di maiale gonfiata. Pesava dai 100 ai 120 grammi e aveva un diametro di 20 centimetri, più o meno come i palloni da calcio di oggi.
Anche in Europa, intorno al 1000 avanti Cristo si giocava con la palla.
Racconta Omero che quando Ulisse incontra Nausicaa lei sta giocando a una specie di pallavolo con le amiche. E alla festa che Alcinoo, padre di Nausicaa, dà in onore di Ulisse, c’è ancora un torneo con la palla, un gioco simile al rugby, chiamato Episciro (Episkyros).
I romani giocavano all’Harpastum. Bisognava togliersi in qualunque modo il pallone dalle mani e portarlo oltre la linea di fondo avversaria. Si poteva giocare con le mani e con i piedi, come il nostro rugby. Il campo era un rettangolo delimitato da linee bianche. Era uno sport molto violento: Ovidio lo sconsigliava alle signore, Marziale lo definiva «polveroso», Orazio si rifiutava di giocarci.
Scrive Marziale che l’Harpastum si giocava con un pallone, detto pila paganica, non grande, coperto di cuoio, ripieno di piume, che aveva dentro una camera d’aria fatta con la vescica dei maiali.
La palla e il gioco diventarono popolari anche nei territori dell’impero romano. Quelli che impararono più in fretta furono i britanni. Nel 276 dopo Cristo arrivò la prima sconfitta per i romani in una partita di Harpastum: una squadra chiamata Britannia batté la squadra dei legionari.
I palloni dei romani erano in cuoio. L’uso della gomma era conosciuto solo alle popolazioni tropicali.
Come ricordano Nicola Ludwig e Gianbruno Guerriero nel loro La scienza nel pallone, la gomma «era ottenuta dal lattice dell’albero omonimo mescolato in diverse concentrazioni con la linfa di un’altra pianta molto diffusa in Messico, la Ipomea purpurea». Così, quando gli spagnoli arrivarono nella terra degli aztechi, rimasero sorpresissimi nel vederli giocare con una palla che rimbalzava quasi perfettamente. Era fatta di gomma solida.
Gli aztechi, inventori delle prime protezioni contro i colpi degli avversari. Giocavano con dei parastinchi elastici che coprivano fin sopra il ginocchio, e con dei paragomiti. I migliori si dipingevano la faccia per impressionare gli avversari.
Intorno al 1860 in Gran Bretagna fu messa una regola per cui era vietato tirare calci sulle tibie. Fino ad allora si poteva.
In Francia nel Medioevo si giocava la Soule. Il campo non aveva misure, se non quelle dello spazio tra un villaggio e l’altro, senza una durata prestabilita. Si poteva andare avanti per giorni. Vinceva chi portava la palla più lontano nel territorio avversario. La palla era di legno, caso unico.
Ancora nel 1794, a Sheffield, una partita di calcio medievale durò più di due giorni. Le cronache ricordano che ci furono molti feriti ma nessun morto. Vincere significava entrare profondamente nello spazio avversario, superare un confine, invadere con la palla. Non esistevano le porte, non c’erano misure.
Fu Charles Goodyear, inventore americano di New Haven, nel 1850, a creare il pallone moderno, con camera d’aria elastica. Mescolò un po’ di zolfo alla cottura del lattice: la gomma da dura divenne elastica. È quello che ancora oggi si chiama vulcanizzazione.
Il primo passo fu organizzare un torneo vero. Lo fecero alcuni membri dello Sheffield Cricket Club nel 1855. Due soci crearono una squadra che due anni dopo, il 24 ottobre 1857, diventò lo Sheffield Football Club, riconosciuta oggi dalla Fifa come la prima squadra di calcio fondata al mondo.
Non essendoci avversari, si giocava tra i soci dello stesso club, lo Sheffield Cricket Club. Il più delle volte si mettevano insieme i giocatori il cui cognome cominciava con lettere che andavano dalla A alla L, poi quelli dalla M alla Z. Si arrivò così a una conclusione molto curiosa: avevano più talento quelli con i cognomi dalla A alla L.
A fondare lo Sheffield Football Club furono Nathaniel Creswick e William Prest, gli stessi che nel 1858 stabilirono le Sheffield Rules, le regole che di fatto fondarono il calcio.
Le Sheffield Rules del 1858 in breve.
• Fu inventato il calcio di punizione, fu cioè punito il gioco scorretto, le entrate violente. Era però vietato segnare direttamente su calcio di punizione.
• Fu introdotta la rimessa laterale.
• Fu inizialmente eliminato il fuorigioco, reintrodotto cinque
anni dopo, nel 1863.
• Si dettero misure del campo, delle porte, e fu decisa la durata delle partite. Inizialmente non si prevedevano tempi precisi, ma il 31 marzo 1866 debuttarono i novanta minuti classici.
• Tra un palo e l’altro della porta fu introdotto, nel 1862, un terzo legno, la traversa. Prima si univano i pali con una corda.
• Con la traversa si rese obbligatorio l’uso del portiere. Prima si poteva scegliere di avere un giocatore in più in altri ruoli.
• Dopo la finale della Cromwell Cup, competizione cittadina del 1867, finita 0-0, furono introdotti per la prima volta i tempi supplementari. Le squadre si scambiavano il campo a ogni gol segnato dopo i tempi regolamentari.
• Fu vietato giocare con le mani. Per ottenere l’introduzione di questa norma lo Sheffield fc mandò quattro rappresentanti alla famosa riunione alla Taverna dei Fratelli Massoni, in Great Queen Street, a Londra. C’erano le undici più grandi università inglesi, dovevano decidere se giocare con i piedi e le mani o solo con i piedi. In sostanza, se doveva rimanere soltanto il rugby, molto più avanti nella pratica e nell’organizzazione, o poteva nascere ufficialmente anche un altro sport. Era il 26 ottobre 1863.
Nel 1872 la Football Association inglese stabilì fin nei dettagli le misure del pallone da calcio (rimaste quasi identiche fino ad oggi): circonferenza della sfera compresa tra i 68 e i 70 centimetri, peso tra i 410 e i 450 grammi, pressione tra 0,6 e 1,1 atmosfere.
Per circa cent’anni, fino agli anni Sessanta, il pallone era formato da diciotto fasce di cuoio e aveva un’apertura per far entrare la camera d’aria, tenuta insieme da un laccio, sempre di cuoio. Non era una sfera precisa: le cuciture che tenevano insieme le diciotto fasce alteravano la continuità di cui la sfera ha bisogno per correre in modo corretto. Nessuno allora se ne accorgeva davvero.
La perfezione, cioè il 99 per cento del volume della sfera, lo si raggiunge in Sudafrica nel 2010, con il pallone chiamato Jabulani, che in lingua zulu significa festeggiare. È formato da solo otto pannelli termosaldati.
Nel 1863 alla Taverna dei Massoni, in Inghilterra, i rappresentanti di undici università definirono la differenza tra mani e piedi dando vita a due sport diversi, il rugby e il calcio. Decisero però che il «gol», il segno della vittoria, si sarebbe chiamato allo stesso modo.
Goal, in inglese, vuol dire meta, scopo, obiettivo, traguardo.
Anche la porta fu introdotta dalle università inglesi. La prima partita con una rete attaccata alla porta fu giocata, in Italia, a Milano, nel 1906.
Comunemente si pensa che la prima squadra italiana sia stata il Genoa Cricket and Football Club. È un errore. Il Genoa fu la squadra che vinse il primo campionato, disputato in una sola giornata, nel 1898. La prima squadra italiana nacque a Torino nel 1891, si chiamava Internazionale Torino. Poi venne il Genoa nel 1893, poi ancora una squadra di Torino, il Fc Torinese, nel 1894.
«Quel giorno si disputava un match amichevole fra la squadra inglese e quella italiana del Fc Torinese. Mi invitarono ad occupare un posto nella prima linea della squadra inglese. Mi rimboccai i calzoni (ricordo che erano nuovissimi, messi quella domenica per la prima volta, lontano le mille miglia dal pensare che essi avrebbero dovuto servirmi nel primo match che avrei giocato in Italia), deposi la giacca ed eccomi in gara. Mi avvidi presto di due cose assai curiose: prima di tutto, che non c’era ombra dell’arbitro; in secondo luogo, che a mano a mano che la partita si inoltrava, la squadra avversaria, l’italiana, andava sempre più ingrossandosi. Ogni tanto uno del pubblico, entusiasmatosi, entrava in giuoco, sicché ci trovammo presto a lottare contro una squadra formata da almeno venti giocatori. Ciò non ci impedì di vincere con un 5-0» (Herbert Kilpin nel 1891, testimonianza poi pubblicata da Sport Illustrato nel 1915).
Herbert Kiplin, giocatore, manager, fu tra i fondatori del Milan. Lasciò la moglie davanti all’altare subito dopo la funzione per andare a giocare una partita a Genova tra una selezione italiana e il Grasshopper di Zurigo, allora una delle squadre più famose. La partita la vinse il Grasshopper, Kiplin si ruppe il naso. La prima notte di nozze la passò in ospedale, con la moglie in lacrime.
Kilpin diede al Milan la maglia a strisce rossonere per impressionare l’avversario. Pensava fossero colori audacissimi. La sede fu posta nella Fiaschetteria Toscana di via Berchet. I soldi li mise Piero Pirelli, il campo era il Trotter, dove adesso c’è la Stazione centrale.
Il primo pareggio in una partita Italia arrivò solo nel 1904 (al settimo Campionato della storia, 31 partite in tutto), 1-1 tra Juventus e Milan. L’anno dopo, il 1905, arrivò il primo zero a zero.
Aldo Cevenini, su Sport Illustrato, scrisse che a inizio Novecento un centravanti correva 10 chilometri a partita, più o meno come un calciatore moderno.
Altezza media di un italiano a inizio Novecento: un metro e sessantacinque. Di un inglese: un metro e sessantacinque. Questo spiegherebbe perché si giocasse poco di testa. In realtà, spesso, a determinare il gioco erano le condizioni del pallone. Sul fango o sotto la pioggia, diventava talmente pesante da fare quasi male.
Il primo gol di cui si ha conoscenza in competizioni ufficiali in Italia è quello che decise la semifinale del primo scudetto tra Internazionale Torino e Fc Torinese. Finì 1-0, a segnare fu Bosio. Era l’8 maggio 1898.
Nel 1898 le traverse erano formate da una corda. Di fianco alle porte c’era un grande cesto in cui i giocatori mettevano i loro abiti borghesi, quelli con cui erano arrivati al campo. Alle mani era obbligatorio portare guanti bianchi come usavano gli studenti delle università inglesi. Lo scopo ufficiale era che aiutavano l’arbitro a vedere se c’era stato un fallo di mano. Ma c’era, nell’indossarli, anche molto snobismo.
All’inizio, intorno al 1850, gli inglesi giocavano con uno schema apparentemente assurdo: un difensore davanti al portiere, un centrocampista davanti a quel difensore e otto attaccanti in linea a occupare il campo nella sua larghezza. Passare il pallone a un compagno era considerato segno di debolezza.
Essendo stata la Coppa d’Inghilterra il primo torneo ufficiale della storia, ne consegue che l’uomo che con il suo gol decise la finale è stato il primo cannoniere nella storia del calcio. Si chiamava Morton Peto Betts, era nato a Bloomsbury, Londra, nel 1847. Quando passò alla storia aveva 25 anni.
L’idea del rigore moderno, battuto dagli 11 metri, è di un irlandese, William McCrum, di professione manager di un’industria tessile, a tempo perso portiere del Milford Everton e membro della federazione irlandese. McCrum era contro il continuo aumento dei falli di mano in area, trovava snaturassero il gioco e fossero una soluzione di difesa troppo facile e scorretta. L’idea non ebbe al momento successo. Ci fu qualche esperimento in Irlanda e Scozia, ma la Football Association trovava troppo drastica la soluzione di McCrum. Poi avvenne un episodio quasi comico. Nel febbraio 1891, nei quarti di finale di Coppa d’Inghilterra, si affrontano Stoke City e Notts County. Sta vincendo il Notts 1-0, lo Stoke attacca con forza ma non riesce a pareggiare. A un certo punto il gol sembra fatto, un tiro in mischia si dirige dritto in un angolo vuoto della porta del Notts. Ma all’ultimo istante un difensore si getta come un portiere e con la mano devia il pallone. Un rigore netto se solo a quel tempo ci fossero stati i rigori. Allora si aveva solo il diritto a una punizione da calciare da dove era avvenuto il fallo, cioè, in quel caso, sulla linea di porta. Tutta la squadra del Notts si schiera sulla linea, a pochi centimetri da dove lo Stoke City deve battere. Impossibile segnare. Ma l’ingiustizia è chiara a tutti. Così, pochi mesi dopo, il 2 giugno, in un grande albergo di Glasgow, l’International Board decise di introdurre nel calcio il penalty, il tiro piazzato calciato senza avversari davanti.
Nel 1902 fu inventato il dischetto del rigore.
Fino al 1929 il portiere, in attesa del rigore, poteva muoversi e perfino uscire incontro all’avversario.
Oggi in Serie A si battono in media 150-160 rigori l’anno. Otto su dieci sono gol.
La prima partita della Nazionale italiana si giocò il 15 maggio 1910 all’Arena di Milano, oggi intitolata a Gianni Brera. L’avversario era la Francia. Il primo gol dell’Italia fu segnato dalla mezzala sinistra del Milan, Lana, il secondo dal centromediano dell’Inter Fossati. Finì 6-2 per l’Italia.
Le prima tre partite della nazionale italiana furono giocate con le maglie bianche, perché costavano meno ed erano sempre sostituibili con camicie o canottiere. Per pantaloncini, scarpe e calzettoni ognuno si arrangiava con quel che trovava.
Alla maglia azzurra si arrivò il 6 gennaio 1911, terza partita della Nazionale, con l’Ungheria. La commissione tecnica italiana, diretta da Umberto Meazza, pensò fosse ormai tempo di rendere omaggio alla casa regnante e scelse l’azzurro dei Savoia. Sul petto, all’altezza del cuore, lo scudo sabaudo. Scarpe e calzettoni erano a carico dei giocatori. E a fine partita le maglie andavano restituite.
In Italia con il campionato a 18 squadre tra la media gol di chi vinceva gli scudetti e la media di tutto il campionato ci sono sempre state differenze comprese tra lo 0,5 e lo 0,9 per cento scarso. I campionati a venti squadre, aggiunti alla regola dei tre punti a vittoria, hanno alzato questa media fino a portarla quasi costantemente intorno allo 0,7. In poche parole, si è cominciato a segnare di più perché l’alto numero di squadre ha abbassato il livello tecnico medio.
Nella primavera del 2000, il campionato vinto dalla Lazio di Sven-Goran Eriksson si chiuse con 764 reti. Era una stagione ancora a diciotto squadre. La media gol a partita della Lazio fu alta, 1,88. Nei precedenti quarant’anni, solo nove volte chi ha vinto ha avuto una media più alta.
Dal 1999 al 2009 la classifica dei capocannonieri è stata vinta da sei italiani su undici in totale. ell’ordine Shevchenko (Milan, 24), Crespo (Lazio, 26), Trezeguet e Hubner (Juve e Piacenza, 24), Vieri (Inter, 24), ancora Shevchenko (Milan 24), Lucarelli (Livorno 24), Toni (Fiorentina, 31), Totti (Roma, 26), Del Piero (Juve, 21), Ibrahimovic (Inter, 25).
Il falso nueve, inventato da Guardiola al Barcellona. È uno schema che sostituisce un ruolo classico, il centravanti, con il vuoto, lo spazio. E lo fa per attaccare meglio. Nel vuoto creato devono infatti entrare tutti gli altri della squadra, attaccanti e centrocampisti. «I due difensori centrali avversari si trovano in mezzo a un assalto diretto e trasversale, una specie di accerchiamento ripetuto, diversificato. Naturalmente, la velocità di gioco ed esecuzione di Messi è il collante di tutto. Se prende corsa, Messi almeno un uomo lo salta sempre. E nel calcio spagnolo, nel calcio europeo, dopo il difensore centrale non c’è più niente.
Il caso di Antonio Di Natale. «Alto 1,70, peso forma intorno ai 68 chili. Sembra un uomo dell’immediato dopoguerra, uno dei tanti meridionali che partirono con la valigia legata con lo spago per costruirsi una vita». Fino ai trent’anni segna poco, gioca da ala, fa quasi soltanto la riserva in Serie A e una sola volta va oltre le dieci reti. Arriva a 13 con l’Empoli nel 2003. Inizia a andare in gol con regolarità dal terzo anno all’Udinese, dal 2006: 11-17-12-29-28-23-23-17 gol a stagione in campionato. Più di lui nei principali campionati europei segnano solo Messi e Cristiano Ronaldo.