Tamara Ferrari, VanityFair 13/5/2015, 13 maggio 2015
FINO ALL’ULTIMO CORNO
Tutt’a un tratto il vento gira.
«Meglio», dice Stuart, «così non spargerà davanti a noi, nel bosco, il nostro odore». La polvere fa serrare gli occhi, copro la bocca con la mano. E la sento: una zaffata, acre, pestilente. Poi una seconda, più forte.
Stuart mi fa cenno di proseguire, ma man mano che avanziamo l’odore diventa insopportabile. Ora, ogni soffio di vento è una zaffata di morte.
«È una gazzella uccisa dai leoni», penso. «È un rinoceronte», mi dicono i ranger indicando un gigante sdraiato ai piedi di un albero.
Quando siamo più vicini, guardo la testa: il corno non c’è. «Saranno stati i bracconieri», dico.
«No, il corno l’abbiamo tolto noi questa mattina all’alba, quando abbiamo trovato il cadavere», spiega Stuart. «Volevamo proprio evitare che i bracconieri lo prendessero. Forse a ucciderlo è stato un altro maschio, durante una lotta. O forse l’antrace». Che cosa c’entra l’antrace?
Stuart Crawford è il general manager della riserva Ongava Game, 300 chilometri di foresta nel Nord della Namibia, a ridosso del Parco nazionale dell’Etosha. «Da qualche anno nell’Africa meridionale c’è allarme per l’antrace», mi dice, piegandosi sulla carcassa vecchia di due giorni. «Qui l’antrace è nella terra, e le spore possono sopravvivere per decine di anni. Le zebre e gli altri animali si infettano mangiando, quando muoiono i loro corpi sprigionano altre spore man mano che si decompongono».
Ci copriamo naso e bocca per evitare di respirarle. Poi, con un dito, Stuart mi indica uno squarcio nel basso ventre del gigante: «Niente antrace questa volta. A ucciderlo è stato un rinoceronte in una battaglia tra maschi per l’accoppiamento».
Mentre parla, i ranger ci guardano con aria triste. Proprio ieri avevano salvato un esemplare ferito. Li avevo visti festeggiare: i rinoceronti sono ormai così pochi nel mondo, e ogni perdita è un passo verso l’estinzione. «Che bell’animale», mormorano, «aveva sette anni». Oggi non è un buon giorno nella riserva.
Niente è come sembra, in Africa. E per tutto c’è una leggenda. Si narra che milioni di anni fa il rinoceronte non avesse il corno. Un giorno si guardò intorno. Vide che gli elefanti avevano le zanne, i bufali le corna, il leone la criniera.
Triste e disperato il rinoceronte errò per la savana senza una meta. «Il creatore degli animali non mi ama, poiché per me non ha pensato a niente», andava dicendo. Stremato si sdraiò ai piedi di un albero, finché non si addormentò.
Non è un buon giorno a Ongava, ed è una pessima settimana in tutta la Namibia. Tre mattine fa, all’interno del parco Etosha, che con i suoi ventitremila chilometri quadrati è considerato una tra le più grandi riserve faunistiche del mondo, i ranger hanno trovato una carcassa abbandonata dai bracconieri. Cinque giorni prima ne avevano recuperate tre.
Aprile è stato un mese nero. «In undici giorni, tra l’8 e il 17, sono stati trovati nel parco Etosha trentuno rinoceronti morti», denunciano dal ministero dello Sviluppo e del turismo, «il che porta a 42 il numero degli animali uccisi nel 2015». Troppi, se si pensa che fino a tre anni fa la Namibia era considerata il paradiso dei rinoceronti, perché qui il bracconaggio non esisteva. Poi, all’improvviso, nel 2013 ne sono stati uccisi 10; l’anno successivo. 24.
«Certo, non siamo ancora ai livelli del Sudafrica, dove vengono ammazzati circa mille rinoceronti ogni anno, ma la situazione è allarmante», dice l’italiano Davide Bomben, che nella riserva Ongava addestra i ranger. «I cacciatori di corni arrivano dal Sudafrica, dove i parchi sono meglio protetti. Sanno che la Namibia è il paradiso africano dei rinoceronti bianchi e neri, e non si fermeranno finché non li avranno uccisi tutti».
Il governo namibiano è sensibile al problema, spiega Crawford: «Sono stati istituiti un numero verde e una taglia di 30 mila dollari namibiani (2.300 euro, ndr) per chi aiuta la polizia a catturare i bracconieri. Si è arrivati a mettere all’asta la licenza per uccidere un rinoceronte nero, che è una specie super-protetta, pur di racimolare i soldi necessari per proteggere tutti gli altri (l’asta si è tenuta tra le proteste degli animalisti in Texas l’11 gennaio 2014, e ha fruttato oltre 300 mila euro. Hanno partecipato 45 mila persone. ndr). Sono stati rinforzati i controlli, ma non basta».
«I ranger vanno addestrati ed equipaggiati come i bracconieri, che hanno fucili AK47, visori notturni, silenziatori e machete per sradicare il corno», aggiunge Bomben. «Gli animali vanno monitorati giorno e notte, anche con gli elicotteri. Ma soprattutto bisogna far capire alla gente che i rinoceronti sono una risorsa per il Paese perché attirano turisti. Noi andiamo nelle scuole a insegnarlo ai bambini».
Il pianto del rinoceronte commosse gli altri animali della foresta, che presero fango, terra e del succo di amarula e con quel composto, mentre dormiva, gli compattarono i peli sulla testa a mo’ di corno. Quando il rinoceronte si svegliò, scoprì la novità. «Il creatore degli animali mi ha fatto crescere un osso sulla fronte», esultò. «Da oggi tutti gli animali mi rispetteranno».
Il giorno dopo ci addentriamo di nuovo nella foresta. Camminiamo lenti tra alberi di mopane e acacia e arbusti di spine, uno dietro l’altro, in silenzio, facendo attenzione ai serpenti; in testa e in coda, due ranger armati di fucili.
Beatus è uno di loro. «I cacciatori si muovono come noi. ma di notte», sussurra. Si ferma, indica delle tracce: «Orme di iene, e più avanti quelle di un leone».
Beatus dà un colpo di tallone a terra, una folata di polvere rossa ci investe. «Da questa parte, dobbiamo procedere controvento». Poi indica un punto più avanti: «Cacca di rinoceronte. Sono più di uno. Se siamo fortunati, stanno dormendo».
Un ragno ha tessuto un’enorme tela tra due alberi. Un millepiedi grande quanto una mano giace schiacciato sotto l’impronta di un rinoceronte bianco. «I cacciatori li addormentano con un sonnifero e tagliano il corno mentre sono ancora vivi. Li lasciano a morire dissanguati. Se ne fregano della sofferenza», dice Daniel Sanchez, biologo spagnolo, responsabile del Bioparco Zoom di Torino, che in Namibia ha attivato un progetto per salvare i rinoceronti.
«I corni vengono poi trasportati in Asia», continua Sanchez. «La medicina tradizionale cinese utilizza la polvere per curare febbre, epilessia, malaria. Nel 2007 la moglie di un ministro thailandese ha dichiarato di essere guarita dal cancro, e il prezzo dei corni al mercato nero è salito alle stelle. Un chilo di polvere costa 85 mila euro, più della cocaina. Il bracconaggio produce un fatturato di 100-200 miliardi di dollari, e finanzia gruppi terroristici legati a Isis e Al Qaeda».
Ogni 18 ore nel mondo un rinoceronte viene ucciso. «Il corno non ha poteri curativi», aggiunge Sanchez, «e non è fatto di avorio come le zanne degli elefanti, ma di cheratina, come le nostre unghie e i capelli. A chi verrebbe in mente di strapparmi le unghie per curare un cancro? Per una stupida credenza, animali che esistono da 40 milioni di anni tra venti potrebbero non esserci più».
Daniel mi spiega che al mondo sono rimaste cinque specie di rinoceronte (ce n’erano una trentina) e solo 30 mila esemplari: «2.400 della specie indiana, tra 28 e 100 di quella di Sumatra, 20 a Giava. In Africa dal 1973 sono diminuiti del 96 per cento. Ne sono rimasti 20 mila bianchi e circa cinquemila neri, la maggior parte in Namibia».
Beatus ci fa cenno di tacere, e sparisce tra la selva. Quando torna ci invita a seguirlo. Ed eccoli, nascosti tra le siepi. Due maestosi rinoceronti bianchi, mamma e figlio. «Non ci vedono bene, ma hanno un ottimo olfatto. Se ci sentissero partirebbero alla carica, e non avremmo scampo», spiega Daniel. Ci nascondiamo dietro un albero, ma qualcuno calpesta un ramoscello. Il cucciolo si agita, scappano.
Li seguiamo per un po’, e ci imbattiamo in una famiglia di leoni. «Troppo pericoloso passargli in mezzo, torniamo indietro», dice Beatus. Ha l’aria soddisfatta, ha rintracciato due rinoceronti in meno di un’ora: «Fossimo bracconieri avremmo ucciso solo la madre, il cucciolo aveva il corno piccolo».
Ma poi sarebbe morto di fame, osservo.
«Ai cacciatori interessano solo i soldi», mi risponde. E lui lo sa bene: per vent’anni è stato un bracconiere. Ha iniziato a dodici anni. «Nella mia famiglia andavamo a caccia di animali per sfamarci. Io ero bravo a trovare i rinoceronti, mi offrirono dei soldi per ucciderne uno. Partivamo in gruppi di tre persone, ranger corrotti ci indicavano dove cercarli. Gli uomini che commissionavano il lavoro davano 40 mila euro a chi lo uccideva, 20 mila agli altri due».
Sapevi che era una specie protetta?
«Ero povero. Tanti bracconieri iniziano per sfamarsi, e mantenere la famiglia. Poi ho saputo che qui cercavano ranger, e ho smesso».
Perché ti eri pentito?
«No: non volevo più vivere nell’illegalità».
Secoli più tardi, il rinoceronte incontrò l’uomo. E lo vide uccidere sua madre, strappargli il corno. Poi vide che l’elefante finiva massacrato per le zanne, gli ippopotami per i denti, le tigri per le pellicce.
Triste e disperato il rinoceronte erra per la savana, pregando il creatore degli animali di riprendersi il corno, o di far sparire l’uomo. Stremato si adagia sotto un albero, finché non si addormenta.