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 2015  maggio 14 Giovedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA QUESTIONE DEI MIGRANTI


REPUBBLICA.IT
ROMA - "Noi, se l’Onu ci dà l’ok, siamo pronti ad azioni mirate contro i trafficanti di essere umani e a fare tutto quello che serve". Certo, "non è in televisione che si può dire il dettaglio", ma "siamo pronti ad un piano militare energico assumendone anche la leadership". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, al programma Agorà, su Raitre.

"Siamo pronti ad un’azione di polizia internazionale contro gli scafisti sul modello di come si è fatta l’operazione antipirateria in Somalia", ha detto il ministro, aggiungendo che "le nostre forze armate hanno la capacità e la competenza per guidare l’azione contro questi criminali assassini che sono gli schiavisti del nostro secolo. Per la prima volta l’Europa dice che l’immigrazione è un problema di tutti. E per la prima volta la questione libica, che era quella che ci rimbalzava addosso, diventa una questione di tutti. Fino a due mesi fa se ne parlava soltanto ma non c’era un interesse internazionale".
Nel corso della trasmissione, Alfano ha anche replicato alle critiche della Lega: "La Lega Nord ha avuto per alcuni anni il ministro dell’Interno e i migranti sono triplicati, che lezioni può dare ora?". "Noi - ha poi aggiunto - siamo i primi a portare risultati dall’Europa, come il piano presentato ieri". "Dire che nell’agenda europea non è prevista la questione dei rimpatri, non è vero, non si può sostenere questo".
Secondo Alfano, con la redistribuzione dei migranti prevista dall’Europa "è iniziata la caduta del muro di Dublino che impediva il transito dei migranti dal paese di ingresso verso altri paesi. Per l’Italia questo è un vero successo". "Noi abbiamo il problema di dove mettere" i migranti entrati finora, ha chiarito il ministro, un problema che si risolve "diminuendo la quota delle presenze in Italia. Questo è l’obiettivo. E con il sistema delle quote europee abbiamo fatto un passo avanti straordinario".
Sul diniego dell’Inghilterra ad ospitare i migranti, Alfano ha affermato: "A guardarlo da Londra sembra un problema
lontano". Sui rimpatri di quelli che non hanno diritto "abbiamo già lavorato su identificazione ed espulso chi non ha diritto. Chi ha diritto all’asilo puo venire in Italia, chi no deve rimanere dov’è".

CORRIERE DI STAMATTINA
FIORENZA SARZANINI
DALLA NOSTRA INVIATA BRUXELLES Adesso che l’accordo è stato raggiunto e si realizza la possibilità di una reale collaborazione con il resto d’Europa, l’Italia mette a punto il suo piano. Perché la conferma che soltanto l’11,84% dei richiedenti asilo dovrà essere ospitato nel nostro Paese consente di rivedere il progetto dell’accoglienza e anche quello dell’identificazione dei migranti. E dunque si individuano i luoghi dove creare almeno sette centri per lo smistamento degli stranieri, ognuno dei quali non dovrà accoglierne più di 400. Soprattutto si studiano i dettagli per rimodulare Triton e pianificare la distruzione dei barconi in attesa di un’operazione in Libia che, come confermato dalla rappresentante degli Affari Esteri dell’Unione Federica Mogherini «non sarà un intervento di terra ma soltanto navale e dovrà comunque ottenere il via libera dell’Onu».
La ricollocazione
Il punto fondamentale dell’intesa raggiunta grazie all’impegno del presidente Jean-Claude Juncker riguarda la distribuzione obbligatoria dei profughi. I 25 Stati della Ue — al momento sono fuori Regno Unito, Irlanda e Danimarca — dovranno dividersi le persone attualmente presenti in Europa in base a un sistema percentuale che tiene conto di 4 parametri: il numero della popolazione al primo gennaio 2014; il Pil del 2013; il numero di richieste di asilo ricevute e quelle concesse; il tasso di disoccupazione alla fine del 2014. Seguendo questo criterio la Germania dovrà garantire assistenza al 18,42% degli stranieri, la Francia al 14,17, l’Italia all’11,84, la Spagna al 9,10 e via via fino a Cipro che si occuperà dello 0,39. Il numero effettivo si conoscerà alla fine del mese, quando sarà effettuato il censimento delle presenze. L’ultimo dato disponibile riguarda infatti i richiedenti asilo del 2014 che sono stati 626.715. L’impegno è che ci sia una distribuzione rispetto alla situazione esistente e poi si vada a regime quando ci saranno nuovi sbarchi nei Paesi del Mediterraneo oppure arrivi via terra negli altri.
La distribuzione
Per cercare di «togliere lavoro agli scafisti e trasferirle in maniera legale e sicura» si è poi deciso di accogliere — sempre seguendo un sistema percentuale — 20 mila persone che attualmente si trovano nei loro Paesi di origine e hanno già chiesto asilo attraverso l’Alto commissariato per i rifugiati. L’Italia ne assisterà 1.989. Linea dura viene invece annunciata contro gli irregolari che nel 2014 sono stati ben 283.532. L’accordo prevede il rimpatrio, ma si tratta di una procedura difficile da realizzare viste anche le resistenze degli Stati da cui partono e dunque il rischio è che la maggior parte rimanga in Europa e venga reimpiegato nelle attività criminali.
I nuovi centri
Condizione per la realizzazione dell’Agenda è l’identificazione certa dei migranti e la registrazione attraverso le impronte digitali. Dopo aver ottenuto la garanzia che i funzionari di Frontex, Easo ed Europol avranno una funzione di cooperazione, si pianifica l’apertura delle strutture che dovranno essere operative entro la fine di giugno, quando il Consiglio dei capi di Stato e di governo dovrà trasformare l’Agenda in legge. L’elenco sottoposto al ministro Angelino Alfano dal Dipartimento Immigrazione guidato dal prefetto Mario Morcone comprende Taranto, Augusta, Pozzallo, Porto Empedocle, Lampedusa e San Giuliano oltre a due caserme che si trovano a Civitavecchia e Messina. Sarà il titolare del Viminale a decidere quali siano i luoghi più adeguati tenendo conto che l’ipotesi è di non avere una capienza superiore a 400 persone per ogni struttura proprio per poter garantire la rapidità delle procedure.
I finanziamenti
Al momento sono stati stanziati 60 milioni di euro per le ricollocazioni e 50 milioni di euro per l’assistenza dei 20 mila profughi. La prima cifra appare però inadeguata per gestire migliaia di persone sulla base delle nuove regole e anche di questo si discuterà nei prossimi giorni. L’accordo raggiunto è comunque un risultato importante e inaspettato tanto che lo stesso Alfano parla di «assunzione di responsabilità dell’Europa e segnale di solidarietà concreta nei confronti dell’Italia». La strada per il varo definitivo va adesso percorsa senza intoppi, non a caso il vicepresidente del Parlamento europeo David Sassoli avverte: «Si tratta di una grande occasione per l’Europa e ogni passo indietro da parte del Consiglio aprirebbe un grave contenzioso con il Parlamento». Un appello che Gianni Pittella, capogruppo dei socialisti e democratici, fa proprio quando definisce quello di ieri «un passaggio storico per l’Europa, un successo del governo italiano, della nostra Federica Mogherini, del vice presidente della Commissione Frans Timmermans» e poi aggiunge: «Ora tocca ai governi stare al passo e mettere da parte i loro egoismi particolari».
Fiorenza Sarzanini

fsarzanini@corriere.it

CAIZZI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
IVO CAIZZI
Giovedì 14 Maggio, 2015
CORRIERE DELLA SERA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quella maggioranza costruita dietro le quinte da Merkel
Ora l’Agenda deve essere approvata dagli Stati. Ma i Paesi dell’Europa dell’Est promettono battaglia F. Mogherini F. Timmermans
DAL NOSTRO INVIATO BRUXELLES La Commissione europea propone ai governi dei 28 Paesi Ue di iniziare una politica di condivisione dell’emergenza dei richiedenti asilo e di attacco ai trafficanti di esseri umani. Ha così approvato un’Agenda Immigrazione per il periodo 2015-2020, che introdurrebbe quote obbligatorie di ripartizione dei rifugiati tra gli Stati e azioni per frenare l’avanzata dei barconi carichi di immigrati diretti in Europa. «E’ una giornata veramente storica per l’Italia — ha affermato il vicepresidente della Commissione e Alto rappresentante per la politica estera dei 28 governi Federica Mogherini —. Finalmente un peso e una responsabilità, che finora sono stati quasi esclusivamente italiani, diventano europei».
Si tratta di un primo passo, che arriva solo dopo i clamori delle ultime centinaia di morti nel Mediterraneo. Nasce principalmente dalla Germania, che teme di accogliere 400 mila rifugiati quest’anno (dai 100 mila del 2013) e intende tacitare l’elettorato soprattutto di centrodestra con le quote di ripartizione. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha costruito una potenziale maggioranza con altri Paesi sotto pressione dei richiedenti asilo (Svezia, Olanda, Francia, Austria) e con gli Stati in prima linea per gli sbarchi dall’Africa (Italia, Malta, Grecia, Spagna). Il Regno Unito si è già chiamato fuori in base a clausole dei Trattati utilizzabili anche da Irlanda e Danimarca. Ora Ungheria, Polonia e altri Paesi dell’Est appaiono isolati all’opposizione. Ma potrebbero recuperare alleati quando si discuterà degli immigrati clandestini (al momento destinati al rimpatrio).
«Le misure che proponiamo aiuteranno a gestire meglio l’immigrazione rispondendo alle giustificate aspettative dei cittadini», ha detto il vicepresidente della Commissione europea, l’olandese Frans Timmermans. «L’Agenda risponde all’immediata necessità di salvare vite e di assistere i Paesi in prima linea, includendo il rafforzamento della presenza in mare delle navi Frontex, 60 milioni per aiuti d’emergenza e un’azione per combattere i trafficanti che abusano della vulnerabilità dei migranti», ha aggiunto il commissario Ue per l’Immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos.
La proposta prevede un «meccanismo di distribuzione temporaneo» per richiedenti asilo già nell’Ue (entro maggio), che diventerebbe stabile entro l’anno. La quota italiana è dell’11,84%. 20 mila richiedenti asilo verrebbero accolti dall’estero (9,94% all’Italia), aggiungendo 50 milioni di euro (entro maggio).
L’attacco ai trafficanti di esseri umani non prevede azioni di terra in Libia e negli altri Paesi di partenza fino a quando non ci sarà una risoluzione dell’Onu. Mogherini ha annunciato che lunedì il Consiglio dei ministri degli Esteri Ue discuterà «l’operazione navale, speriamo in una collaborazione con le autorità libiche, per smantellare il modello di business dei trafficanti». L’Agenda passerà al Consiglio dei ministri degli Interni del 15-16 giugno e poi alla decisione del summit dei 28 capi di governo del 25 giugno.
Ivo Caizzi

FABIO CAVALERA SUL CDS DI STAMATTINA
LONDRA «Per troppo tempo siamo stati una società passivamente tollerante». La pazienza è finita e il governo Cameron annuncia la mano pesante contro migranti irregolari e contro «predicatori di odio». Il che significa due cose essenzialmente: che nell’immediato Londra non accoglierà uno solo dei profughi soccorsi nell’area mediterranea facendosi beffe delle richieste sia dell’Europa sia dell’Italia e che occorrerà stare molto attenti a ciò che si dice e si scrive in spregio ai principi di fondo della storia e della democrazia britannica perché entrerà in vigore una legge antiterrorismo con ampi poteri di polizia e probabilmente «intrusiva» nei social network.
A Downing Street per la prima volta si riunisce il nuovo esecutivo e l’occasione è unica per dare fiato, senza perdere tempo, ai pensieri e ai progetti che stavano da tempo nella testa dei conservatori. La linea viene indicata con enfasi dal premier e la sintesi è che le istituzioni del Regno Unito «sono state spesso neutrali» garantendo a chiunque la libertà di esprimere qualsiasi parola e qualsiasi pensiero, restando addirittura neutrali di fronte a messaggi ambigui e violenti. Questo garantismo ha «incoraggiato la narrativa dell’estremismo e del rancore». Ma la musica cambia.
Il governo di Sua maestà parte con il piede sull’acceleratore, facendo leva sui temi dell’immigrazione, dell’Europa, del terrorismo e trovando il filo che li unisce: la tolleranza zero. Cameron ricopre la parte del leader che indica le strategie generali e lascia alla ministra dell’Interno il compito di articolare i provvedimenti.
Theresa May è una signora cresciuta col mito di Margaret Thatcher, dura e poco disposta alle mediazioni. Scrive sul Times e ripete in televisione che Londra è completamente in disaccordo con quanto dichiarato da Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, e che a Londra non ci sarà spazio per quote di profughi provenienti dal Mediterraneo. Un conto è portare soccorso, e le navi con bandiera britannica continueranno a farlo, un conto è dare ospitalità. «Per noi vale solo una posizione: rimandarli in Africa». Con buona pace di chi invoca la solidarietà. Il governo di David Cameron è per un «no» netto e si sfila da possibili compromessi, preannunciando anche l’inasprimento delle norme sugli ingressi e sui permessi. In sostanza: abolizione dei benefici e del welfare, oggi destinati agli immigrati, allo scopo di limitarne gli accessi.
Tolleranza zero coi profughi e con gli irregolari. Tolleranza zero col radicalismo e l’estremismo. I tory approveranno ai Comuni una legislazione che punta a togliere ogni possibilità di manovra a chi nelle strade, nelle scuole, nei luoghi di culto lancia proclami di guerra santa o di vendetta. I servizi segreti e la polizia, con il via libera della magistratura ma senza ritardi, avranno la possibilità di fermare e arrestare «individui e gruppi che mettono in pericolo la democrazia».
Per non lasciare spazio a equivoci il governo Cameron specifica che entrano nel mirino le forme «di opposizione verbale e fisica alla libertà di espressione, di opposizione ai valori della tolleranza delle fedi e del mutuo rispetto, di opposizione al sistema che disciplina l’attività del potere pubblico (la «rule of law»), di opposizione che si concretizza in minacce alle forze armate».
Resta in sospeso una questione: vale anche per il proselitismo e la propaganda che si diffondono via Internet? E, nel caso, quali saranno i controlli? L’intenzione di Cameron e May è dare alle agenzie di sorveglianza ampia facoltà di spionaggio elettronico. «L’obiettivo è marginalizzare i violenti e chi predica odio». Sia con le parole sia con le armi. Nessuna attenuante. Nessuna scappatoia.
@fcavalera


REPUBBLICA DI STAMATTINA
LA QUESTIONE IMMIGRATI
Profughi, l’Ue dà il via libera alle quote E prepara l’opzione militare in Libia
La Commissione approva le misure sull’immigrazione: i rifugiati saranno ridistribuiti. Ma c’è già chi si sfila
ANDREA BONANNI
BRUXELLES .
Con una decisione storica l’Europa ha finalmente accettato di farsi carico collettivamente della questione dei flussi migratori. La Commissione ha approvato ieri “l’Agenda europea sulla migrazione”: una serie di proposte che finiranno ora all’esame dei governi. Il documento prevede una lunga lista di misure, alcune volte a far fronte all’emergenza, altre destinate ad affrontare gli aspetti strutturali del fenomeno migratorio.
Nell’immediato, Bruxelles propone di ridistribuire tra tutti gli stati membri un contingente di rifugiati ora ospitati in Italia, Grecia e Malta sulla base di una chiave di ripartizione vincolante che terrà conto della popolazione, del prodotto interno lordo, del numero di rifugiati già ospitati e del tasso di disoccupazione. L’entità di questo contingente (si parla di una cifra tra dieci e ventimila persone) non è stata ancora decisa, ma sarà resa nota entro fine mese. Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, in base ai trattati, potranno non partecipare alla condivisione. Quanto all’Italia, che dovrebbe accogliere una quota del 12 per cento del contingente, sarà esentata dal farlo avendo già ampiamente superato quella soglia.
Un altro contingente di ventimila profughi, prevalentemente siriani, attualmente ospitati nei campi in Turchia e Giordania, verrà accolto nella Ue, sulla base di una raccomandazione della Commissione che applica la medesima chiave di ripartizione. A fine anno, la Commis- sione si riserva di proporre l’estensione di questo sistema di redistribuzione dei rifugiati, che verrebbe dunque applicato in modo permanente. Ma su questo punto molti governi hanno già fatto sapere la loro contrarietà.
Sempre sul fronte dell’emergenza, già lunedì i ministri degli Esteri e della Difesa saranno chiamati ad approvare il piano messo a punto dall’Alto rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, per la distruzione delle barche usate dai trafficanti di esseri umani. Ieri il quotidiano britannico Guardian , anticipando il documento, ha scritto che la missione potrebbe contemplare anche operazioni a terra sul suolo libico. Ma Mogherini ha seccamente smentito questa ipotesi. «Pianifichiamo un’operazione navale, speriamo in collaborazione con le autorità libiche, per smantellare il modello di business dei trafficanti. Questo chiaramente non comporta un intervento di terra in Libia». Una decina di paesi europei dovrebbero partecipare alla missione, che è ancora in attesa dell’autorizzazione delle Nazioni Unite sotto forma di una risoluzione che autorizzi l’intervento nelle acque territoriali della Libia. Lunedì i ministri dovrebbero comunque affidare il comando dell’operazione all’Italia, che ospiterà anche il quartier generale operativo.
Oltre alla redistribuzione almeno parziale dei profughi e al rafforzamento delle operazioni di soccorso in mare, l’Agenda prevede anche un potenziamento sia della schedatura dei migranti che sbarcano sulle nostre coste, sia delle operazioni di rimpatrio per coloro che non avessero i titoli per ottenere l’asilo politico. «Oggi le regole in questo campo non sono applicate correttamente e questo ha contribuito a creare risentimenti sulla questione dell’immigrazione», ha spiegato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, che con Mogherini è uno degli autori della proposta.
Il governo italiano ha espresso grande soddisfazione per la decisione di Bruxelles. «L’Europa compie una svolta politica senza precedenti sul tema dell’immigrazione e dei richiedenti asilo, dopo l’inversione di rotta già avvenuta in materia di scelte economiche. Finalmente in modo concreto e operativo l’Ue si assume pienamente le sue responsabilità», ha commentato il sottosegretario agli affari europei Sandro Gozi.

FABIO MINI SU REP STAMATTINA
Ma il rischio “danni collaterali” sarà molto alto
FABIO MINI
IL PIANO antimigrazione approntato da Bruxelles e intercettato dal quotidiano Guardian è prettamente militare e quindi chiaro in ogni sua riga e intenzione dell’azione militare da avviare su mandato Onu. Meno chiara è la smentita dell’Alto rappresentante Mogherini riguardo all’intervento militare europeo in territorio libico che pare un infelice connubio tra la titubanza, la superficialità e l’aggressività che oggi dominano a Bruxelles e Roma. La pianificazione parla di operazioni aeronavali, d’intelligence, interdizione e attacco da condurre nel Mediterraneo, nelle acque, coste e terre libiche contro mezzi e flussi dei trafficanti di persone. Si prevede l’intervento di forze di terra, quindi sì: “anfibi sul terreno” a meno che si mandino soldati in mocassini firmati. L’intervento contro i trafficanti e le imbarcazioni comporta sicuramente combattimenti con le milizie locali e “danni collaterali”, ossia migranti innocenti, magari usati come scudi umani, che ci rimettono la pelle. L’ipocrisia di chiamarli danni collaterali può essere tradotta dal militarese (da un militare) in termini ancora più chiari: questi “danni” sono perdite previste e deliberate. Nel momento in cui si fa saltare un barcone sulla spiaggia con il dubbio che sia occupato da innocenti si decide di sacrificarli. Se si mandano truppe contro uomini armati qualcuno muore. Non è niente di casuale e non è collaterale, ma diretto. Il piano è pura tattica, prevede l’intervento in un solo tratto del Mediterraneo e in Libia che, a torto, si considera terra di nessuno. Non prevede di spingere l’intervento armato in profondità, nei luoghi di afflusso e smistamento tra i mercanti di schiavi. Non è disegnato per disciplinare il flusso proteggendo i migranti, semmai per dirottarlo altrove.
Si pensa di punire chi si occupa dell’ultimo tratto del viaggio e non i governanti degli stati che alimentano la violenza, la corruzione e la guerra creando le condizioni dalle quali vogliono fuggire i migranti. Eppure dall’Europa e dall’Onu ci si aspetterebbe qualcosa di veramente politico e risolutivo. Tant’è. Avanti coi carri!

CADALANU SU REPUBBLICA
L’Italia vuole i blitz nei porti pressing sugli alleati Incursori già “in allerta”
GIAMPAOLO CADALANU ALBERTO D’ARGENIO
ROMA . Ora l’Italia punta a mandare gli incursori nei porti libici per distruggere i barconi dei trafficanti di uomini. Da tempo il governo Renzi coltiva l’idea e adesso, dopo il via libera di Bruxelles al pacchetto sull’immigrazione, Roma intende accelerare sull’operazione. Serve prima il via libera delle Nazioni Unite, ma a Palazzo Chigi e alla Farnesina c’è ottimismo sulla possibilità di avere una risoluzione del Consiglio di sicurezza entro la prossima settimana, al massimo una decina di giorni. Stato d’animo condiviso a Bruxelles e in altre capitali europee. Il comando della missione con ogni probabilità sarà in Italia, a Roma presso il Coi di Centocelle, e il comandante l’ammiraglio di Divisione Enrico Credendino.
Dalla Difesa spiegano che le Forze Armate hanno preparato diversi tipi di intervento per la Libia, ma non hanno ancora avviato un addestramento specifico: prima aspettano la decisione politica che chiarisca obiettivi della missione, “caveat” e regole d’ingaggio. Solo dopo questo chiarimento potranno essere delineati in det- taglio i piani e scelti gli “assetti”, cioè i mezzi da utilizzare.
Sembra comunque probabile che si faccia riferimento alla Marina per le sue navi anfibie della classe San Giusto (San Giusto, San Giorgio, San Marco) e per la portaerei Cavour che garantirebbe un appoggio dall’alto alle operazioni grazie agli Harrier. La Marina ha a disposizione anche le truppe speciali del Comsubin (incursori subacquei) e del San Marco che come capacità si affiancano ai Lagunari: i due corpi sono per l’Italia l’equivalente dei marines americani. Potrebbero essere adoperati anche altri corpi speciali dell’Esercito come gli incursori paracadutisti del Col Moschin. Sarà comunque indispensabile l’impegno dell’Aeronautica, prima di tutto per le ricognizioni (Tornado Ecr e Predator Mq-1) e se sarà necessario per la protezione dall’alto degli incursori.
L’idea alla quale lavorano i governi di Italia e Gran Bretagna è di scaricare gli incursori in alto mare e che questi (sicuramente italiani, inglesi e francesi) entrino nei porti, mettano i piedi a terra giusto per il tempo necessario a danneggiare o affondare i barconi per poi tornare sulle navi madre senza dare troppa pubblicità al loro operato.
Ma prima di partire serve la diplomazia. Lunedì a Bruxelles si riuniranno i ministri degli Esteri e della Difesa. Salvo sorprese approveranno il Cmc, la struttura per la gestione della crisi con comandante, sede e catena di comando. I ministri europei daranno così il via alla preparazione tecnica di una missione esecutiva per interrompere il business dei trafficanti: identificare, perquisire, catturare, sequestrare e distruggere le loro barche, naturalmente prima che carichino i migranti. La missione prevede tre diverse aree di intervento: acque internazionali, acque libiche e porti libici. Per individuare i natanti i ministri chiederanno alle proprie intelligence di condividere tutti i dati in loro possesso per scovare mezzi e movimenti delle bande criminali.
A quel punto la palla passerà all’Onu, con l’intenzione di arrivare a una risoluzione a breve anche grazie all’aiuto della presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, la Lituania. Così il via libera finale alla missione potrebbe arrivare al summit europeo del 27 giugno.
La bozza, inizialmente scritta dall’Italia, a New York è gestita da Francia e Gran Bretagna, con gli europei coordinati dal “ministro degli Esteri dell’Unione”, Federica Mogherini, Russia e Cina informalmente hanno fatto sapere che non metteranno il veto, ma il linguaggio del testo in queste ore viene limato per permettere loro di votarlo. Così come anche gli americani sono molto cauti, non vogliono un linguaggio troppo forte che crei precedenti.
Gli europei dunque non chiederanno di bombardare i porti libici, l’opzione è contrastata da russi e americani. Ieri il Guardian parlava di operazione a terra, ma il quotidiano britannico è stato smentito dalla Mogherini: «Non ci saranno azioni di terra, ma operazioni navali». Un modo diplomatico per non alzare i toni mentre si lavora a un testo abbastanza vago da poter essere poi interpretato come favorevole alle incursioni nei porti.
Per arrivare al via libera della risoluzione restano due nodi. Primo, trovare un linguaggio sufficientemente cauto da passare ma che tra le righe consenta agli incursori di operare. Per questo non si parlerà esplicitamente di affondamenti o operazioni militari, bensì di azioni che danneggino o mettano fuori uso gli strumenti dei trafficanti di uomini. Per entrare nei porti servirà poi una risoluzione basata sul Capitolo 7 o una sul Capitolo 6 con il consenso del governo libico. Sul capitolo 7, politicamente aggressivo, frenano gli americani, mentre il via libera dei libici è complesso da ottenere: il governo di Tobruk, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, potrebbe darlo, ma servirebbe anche quello di Tripoli visto che la maggioranza dei barconi partono proprio dalla capitale. Ma chiedere a Tripoli significherebbe riconoscerlo e Tobruk si oppone. Un rompicapo che dovrà essere risolto dai diplomatici in tempi rapidi.

LA QUESTIONE IMMIGRATI
“Dall’Europa un primo passo avanti ma il sistema delle quote rischia di fallire”
«L’anno scorso sono sbarcati in Italia 170mila migranti, due terzi dei quali fuggiti poi in altri Paesi. Se non prevediamo dei sistemi di integrazione efficaci, sarà impossibile evitare gli spostamenti all’interno dell’Europa. Faccio un esempio: difficilmente chi sarà trasferito in Slovacchia o in Lituania, rimarrà lì. A meno che i rifugiati siano integrati».
Dunque è un piano sbagliato?
«No, alcuni importanti passi avanti sono stati fatti: è la prima volta che la Commissione europea riconosce apertamente il non funzionamento del Trattato di Dublino e una sua possibile revisione nel 2016».
È questo l’unico punto positivo?
«Mi sembra buona anche l’idea di costruire dei punti di contatto nei paesi terzi, partendo dal Niger, dove le persone possono rivolgersi per chiedere la protezione internazionale. E, sebbene venga menzionato in modo vago, finalmente si parla della previsione dello status di “rifugiato europeo”».
La Commissione proporrà un programma di reinsediamento in tutti i Paesi Ue di 20.000 rifugiati.
«Meglio di niente. Ma il numero è insufficiente rispetto, ad esempio, ai 3,5 milioni di siriani in fuga ».
È possibile affondare i barconi prima che partano dalla Libia?
«La domanda è un’altra: anche se fosse possibile, cosa succederebbe? I profughi non rimarrebbero certo in Libia dove non hanno diritti. Andrebbero in Egitto, Tunisia, Algeria per imbarcarsi. Si sposta il problema, ma non si risolve».
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Senza un piano di integrazione difficilmente chi andrà in Slovacchia e Lituani resterà lì
FABIO TONACCI
ROMA . «Le quote tra i Paesi dell’Ue? I rifugiati non sono pacchi postali o container, non si possono mandare da uno Stato all’altro in base a un semplice calcolo matematico ». Così il direttore del Consiglio italiano per i rifugiati Christopher Hein commenta il piano sull’immigrazione dell’Unione Europea.
Perché ritiene che non funzionerà?

VLADIMIRO POLCHI SU REP
LA QUESTIONE IMMIGRATI
Il Viminale: 30mila profughi via dall’Italia
La Commissione Ue non fissa un tetto alla ridistribuzione. “Se il Consiglio non lo introduce nei nostri centri ne rimarranno 50mila” Mogherini: Roma sarà esonerata dall’accoglienza dei nuovi arrivati. Ma per l’estate si prevede un boom di sbarchi
VLADIMIRO POLCHI
ROMA .
«L’Italia potrebbe trasferire quasi la metà dei suoi migranti». Tra i tecnici del Viminale girano tabelle e proiezioni. La domanda è: quali saranno le ricadute del piano europeo? «È un rebus, ma se non cambierà l’accordo — ragionano dal ministero — il nostro Paese potrebbe tornare sotto quota 50mila profughi». Lo dicono le quote assegnate per Stato. «Sempre che a qualcuno non venga in mente di fissare un tetto massimo alla ridistribuzione dei richiedenti asilo».
Un passo indietro. Al 4 maggio 2015 i migranti ospitati in Italia sono 73.705. I costi? Per farsi un’idea, nel 2014 per l’accoglienza si sono spesi 628 milioni di euro. Non è tutto. La situazione si è aggravata: stando agli ultimi dati del Viminale, oggi in Italia sono accolti circa 83mila migranti. La grande paura si chiama “estate”. Il ritmo degli arrivi via mare è sempre più rapido: quest’anno sono già sbarcate oltre 33mila persone e in base alle proiezioni del ministero dell’Interno, nel 2015 potrebbe essere superata la cifra record del 2014 (170mila migranti). Da qui l’urgenza del piano europeo.
La nuova Agenda sull’immigrazione agisce su un doppio canale d’accoglienza. Il primo, volontario, si chiama “resettlement” ed è gestito dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati: gli Stati europei potranno andare a prendere i profughi nei campi extra-Ue, come in Libano, per portarli sul proprio territorio. La quota: 20mila in due anni. All’Italia ne spettano 1.989: con il 9,94 per cento, il nostro sarà il terzo Paese per accoglienza, dopo la Germania (col 15,43%) e la Francia (11,87). Ma la vera partita è sul secondo canale, che è obbligatorio: la “relocation”, cioè la ridistribuzione dei richiedenti asilo che arrivano o sono già arrivati in Europa. In questo caso le quote procapite aumentano, visto che la “torta” si spartisce solo tra 25 Paesi: Regno Unito, Danimarca e Irlanda, grazie alla procedura di opt-out, non sono infatti obbligati ad aderire. Il peso maggiore ricadrebbe ancora una volta su Germania (18,42%) e Francia (14,17%). L’Italia dovrebbe farsi carico dell’11,84% dei richiedenti asilo. Ma visto il peso che già sostiene, come ha precisato l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Federica Mogherini, il nostro Paese «sarà esonerato» dall’accoglienza di nuovi richiedenti asilo. E quanti profughi già ospitati potranno essere trasferiti altrove? Su questo ballano le stime del Viminale.
Tutto sta a vedere se verrà fissato un tetto massimo. Prima della riunione della Commissione Ue di ieri, indiscrezioni parlavano di un massimo di 20mila richiedenti asilo da ricollocare. Ma poi il tetto non è stato fissato. «A meno che non verrà diversamente deciso dal Consiglio europeo del 25 giugno prossimo — fanno sapere dal Viminale — la relocation non dovrebbe avere limiti numerici». Da qui i calcoli: «Se a noi spetta solo l’11,84 per cento, dovremmo scendere ben al di sotto dei numeri che oggi trattiamo. Bisogna vedere quanti richiedenti asilo sono presenti in Europa, soprattutto nei tre Paesi più coinvolti dagli arrivi: Italia, Grecia, Spagna. Stando alle nostre stime, comunque, potremmo scendere sotto soglia 50mila, insomma 30mila profughi in meno di oggi». Quanto all’invio di funzionari europei in Italia per le operazione di identificazioni dei migranti, dal Viminale danno un mezzo via libera: «Ma andranno concordate le loro modalità di intervento».

clima sorprendentemente positivo in cui si è svolta due giorni fa la visita di John Kerry a Mosca.
La Libia è solo uno degli accessi. Controllarlo e contenerlo non significa sbarrarlo, specie a chi abbia un legittimo diritto d’asilo. La piena migratoria sarà frenata, ridotta, ma troverà la via dell’Europa attraverso altri percorsi e rivoli. L’afflusso di clandestini nell’Unione può essere ridotto, disciplinato, sorvegliato anche a fini di sicurezza, ma continuerà. L’Europa deve prepararsi a conviverci, come gli Stati Uniti fanno da decenni. Qui entra in gioco la necessità per l’Ue di dotarsi di una politica immigratoria, a partire dal diritto d’asilo, e di una ripartizione degli oneri.
In questo spirito l’Italia ha posto il problema delle «quote». La risposta positiva della Commissione è solo il primo atto di un dibattito aspro e difficile. La negativa reazione britannica era prevedibile, come pure le resistenze di altri Paesi, come l’Ungheria, che si sentono (erroneamente) lontani dal problema. E’ poco probabile che il piano Juncker possa essere adottato nell’attuale formulazione. Ha però il merito di aver posto il problema sul tavolo.
La partita si gioca fra il Consiglio Affari Esteri di lunedì prossimo e il Consiglio Europeo del 25 giugno. Per l’Italia la posta in gioco è importante. Per l’Europa è la dimostrazione di saper di gestire una crisi che non può essere più nascosta sotto il tappeto dei centri d’accoglienza di Lampedusa. Arriva nel momento sbagliato specie per Cameron che, forte del trionfo elettorale, inizia a negoziare la permanenza del Regno Unito nell’Unione. Ma quando mai c’è un momento giusto per le crisi?
Le crisi internazionali non rispettano i calendari nazionali o comunitari. Per fare politica estera, l’Europa deve affrontarle - adesso.

La politica delle crisi bussa alle porte dell’Europa. A lungo l’Unione Europea ha rivendicato titolo di attore internazionale, non solo di potente forza di aggregazione economica e sociale del continente. Il momento è venuto. Per necessità non per scelta. L’Europa che esce faticosamente dalla crisi finanziaria, che rischia di perdere pezzi nell’Egeo o nell’Atlantico, avrebbe fatto volentieri a meno di una guerra in Ucraina, di una Libia e di una Siria in sanguinosa disintegrazione e di un colabrodo immigratorio alle frontiere. Sapremo presto se l’Unione è all’altezza delle proprie responsabilità - e ambizioni – oppure se si farà cogliere impreparata, come la Fortezza Bastiani all’arrivo dei Tartari.
L’Ue ha una vocazione naturale al dialogo. Nelle crisi bisogna anche sapersi sporcare le mani, correre dei rischi. L’Europa è pronta a farlo?
Coraggiosamente, Federica Mogherini si è presentata alle Nazioni Unite con un piano europeo per contrastare la via libica d’immigrazione clandestina in Europa. Prevede un’operazione militare con interventi ostici ma necessari, quali la distruzione o sequestro delle imbarcazioni utilizzate per il traffico di esseri umani (e spesso responsabili della loro tragica scomparsa in mare).
Può darsi che in passato fossero mezzi di sostentamento dei pescatori libici; fatto sta che oggi sono lo strumento di trafficanti senza scrupoli. Eliminarli non è solo legittimo - è efficace.

Non sarà facile ottenere il mandato dell’Onu, necessariamente «robusto» per garantire capacità di autodifesa e flessibilità operativa. L’operazione prevista è essenzialmente marittima, ma dovrà consentire di scendere a terra ove occorra. Se il mandato non ci sarà - causa un veto russo e/o cinese - chi lo nega se ne assumerà la responsabilità e l’Ue dovrà trarne le conseguenze, al limite col ricorso al diritto all’autodifesa sancito dalla Carta dell’Onu. Lo spiraglio per un’intesa esiste, confermato dal clima sorprendentemente positivo in cui si è svolta due giorni fa la visita di John Kerry a Mosca. La partita si gioca fra il Consiglio Affari Esteri di lunedì prossimo e il Consiglio Europeo del 25 giugno. (STEFANINI SU STAMPA)

MARCO ZATTERIN SULLA STAMPA
Dalla gestione dell’emergenza a una soluzione strutturale, dall’idea della responsabilità nazionale al varo di risposte condivise fra tutti. La Commissione mette sul tavolo un pacchetto ambizioso di possibili soluzioni con cui i governi dell’Unione europea potranno tentare di contenere le tragedie della migrazione del Mediterraneo e amministrarne le conseguenze con un spirito di solidarietà. Più mezzi e fondi per Triton, quote obbligatorie per distribuire chi arriva e accogliere chi ne ha diritto, un progetto per una missione che colpisca i trafficanti e le loro barche, in mare come in terra.
Sfida ai populisti
«Non potevamo non agire – concede il vicepresidente Frans Timmermans –. Oltretutto il più grande regalo che possiamo fare ai populisti che combattono lo straniero è lasciare che un sistema rotto resti rotto». «Una risposta europea, finalmente», sospira Federica Mogherini, Alto Rappresentante per la Politica estera. L’Ue non ce l’aveva, nello scrivere i Trattati i padri fondatori avevano lasciato l’immigrazione a livello nazionale. Ora il mondo è cambiato, la minaccia s’è fatta globale, la gente si gioca la vita per fuggire dalle guerre e nelle colonne dei disperati che fuggono si annidano, si teme, anche i terroristi. Lo scorso anno sono passati per l’Italia 170 mila migranti, mentre le richieste di asilo sono state 626 mila a livello comunitario.
Lunga maratona
Ci sono voluti diciannove mesi. Tanti ne sono passati dalla prima strage dell’ottobre 2013 di Lampedusa, perché l’Europa si decidesse ad archiviare le beghe interne e a costruire un’architettura comune per guardare oltre i propri confini. Ha merito la squadra di Jean-Claude Juncker che ha trasformato l’appello dei leader Ue a una migliore distribuzione di chi ha diritto di protezione in una proposta per un sistema obbligatorio. Bruxelles ha scovato la base giuridica nell’art.78/3 del Trattato Ue che consente di attivare un meccanismo di emergenza se i flussi sono eccessivi. Il meccanismo – ponderato su Pil, popolazione, disoccupazione, impegno precedente – sarà definito con una proposta entro fine mese che, si spera, sarà approvata insieme col resto al Vertice Ue del 26 giugno. L’intenzione è che funzioni da base per un sistema definitivo dal 2016 in poi.
Le cifre
A differenza del reinsediamento profughi - 20 mila di cui 1989 in Italia - la riallocazione dei migranti non ha cifre. Ci sono le percentuali di ripartizione (Germania 18,42%, Francia 14,17%, Italia 11,84%, Spagna 9,10%, Polonia 5,64%, Olanda 4,35%, Portogallo 3,89, Romania 3,75%, Svezia2,92%), ma la signora Mogherini ha convalidato le anticipazioni dicendo che «Italia e Grecia saranno esonerate» perché hanno fatto abbastanza. Detto che i migranti verranno presi proprio da questi due Paesi, spicca l’assenza di un numero. Si era detto 20 mila. Ora le fonti suggeriscono che saranno di più. Quarantamila, forse 50. Si saprà coi testi attuativi entro fine mese.
Tutto confermato il resto. Triplicati i mezzi e i fondi di Triton (100 milioni) che potrà andare oltre le 30 miglia e farà «search and rescue», come Mare Nostrum. Coordinamento informazioni rafforzato. Sostegno nei Paesi terzi, si parte con un centro pilota multifunzionale in Niger. Si salveranno vite, si esibirà una piena dignità dei valori e solidarietà. Sino a un certo punto. Danimarca, Regno Unito e Irlanda si sono chiamati fuori dalle quote. Londra chiede i respingimenti. Davanti al nuovo spirito europeo, è davvero una brutta cosa da vedere.

SULLA STAMPA DI STAMANI

Il fantasma
dell’articolo 5
della Nato



Mentre si parlava della Libia, e della possibile missione europea che col sigillo Onu potrebbe colpire gli scafisti in terra come in mare, è apparso lo spettro della Uss Cole. Il cacciatorpediniere americano fu centrato nell’ottobre 2000 da commando suicida nel porto di Aden. Non affondò, ma ci furono 17 morti e polemiche senza fine. Allora qualcuno invocò l’art. 5 del Patto Atlantico, disse che era stato attaccato un membro della Nato e dunque l’Alleanza doveva intervenire. Le spalle grosse di Washington chiusero in fetta questa parte del dibattito.
Se arriverà la risoluzione Onu, navi europee solcheranno da luglio il Mediterraneo con funzione di deterrenza e polizia. La bozza del «Concetto di gestione di crisi» anticipata ieri su queste pagine parla di distruzione di barche, depositi e ormeggi, anche sulla costa. «Non ci saranno “boot on the ground”», assicura Federica Mogherini. Vuol dire come minimo che non ci sarà una forza europea in Libia. Ma qualcuno, se si vorrà, quei blitz mirati dovrà pur farli.
«Agiremo nel rispetto della legalità», rilancia Lady Pesc che tiene ogni porta aperta. Manovrare soldati infiamma l’opinione pubblica. Muovere navi è più sicuro. «Però che succede se attaccano un’unità polacca?», chiedeva ieri un diplomatico. Sarebbe una sfida alla Nato da art.5? La domanda non ha ancora risposta, salvo che «non si può restare a guardare». E che si impone una soluzione ferma, capace di sposare l’esigenza di ostacolare gli scafisti coi dubbi, anche di natura politica e strategica, di chi pensa al peggio ogni volta che una flotta lascia il porto per una missione anche offensiva.[m. zat.]

DALLA STAMPA DI IERI
È il «Giorno M». M come Mediterraneo. Arriva finalmente l’agenda europea per l’Immigrazione che, fra le altre cose, trasforma la missione Triton quasi in Mare Nostrum e propone un sistema di emergenza di quote, per ripartire fra tutti chi arriva vivo sulle nostre coste: sarà obbligatorio, ma non per Italia e Grecia, ai quali - pesante segnale politico - viene riconosciuto di aver fatto già abbastanza. Il comitato militare dell’Ue licenzia in parallelo il Cmc, acronimo che sta «Concetto per la gestione di crisi», la struttura che coordinerà l’azione antiscafisti in Libia una volta avuto il via libera dell’Onu. L’obiettivo è chiaro, a leggere la bozza della decisione che sarà discussa lunedì dai ministri degli Esteri Ue: «Cattura e/o distruzione delle strutture che consento il contrabbando, nelle acque libiche, all’ancora, attraccate o a terra».
La revisione di Dublino
Ci sarà discussione, stamane in Commissione. Il clima è teso al punto che la conferenza stampa sarà convocata con qualche decina di minuti di anticipo. Nessuno sa quanto ci vorrà a portare tutto il collegio - soprattutto i reticenti dell’Est - sulla posizione del presidente Juncker, determinato a inviare ai governi un testo forte. Il documento inviterà il summit dei leader di giugno a decidere sulle quote obbligatorie (l’idea è di 20mila posti che però non saranno quantificati subito) e sull’invio di mezzi per consolidare la missione Triton, per la quale si attende anche la moltiplicazione per tre dei fondi (100 milioni l’anno). Si auspica poi un sistema pilota di accoglienza per i rifugiati (20 mila anime anche qui), e la revisione del regolamento detto di Dublino III per scardinare il principio del «porto più sicuro» che scarica tutti i ripescati direttamente, e solo, in Italia.
Nelle intenzioni della Commissione la parte straordinaria dell’agenda per l’Immigrazione dovrebbe diventare operativa da luglio. È il medesimo obiettivo che si pongono i guardiani della difesa Ue. «Siamo pronti ad accendere i moti il giorno dopo il Consiglio europeo», assicurano. Il Cmc sarà lo strumento al servizio della operazione che vuole andare a colpire al cuore i trafficanti. Si hanno conferme di quanto anticipato su queste pagine, e cioè che il comando sarà italiano. Si fa il nome dell’ammiraglio di divisione Enrico Credendino.
Il suo compito è scritto nelle 30 pagine della decisione che verrà presa in giornata. Il testo, visto da «La Stampa», dà risalto all’esigenza «di un cambio di marcia» nell’affrontare i tragici flussi di migranti, «per ragioni umanitarie e anche per le implicazioni di sicurezza e stabilità nella regione». E ricorda la previsione italiana di febbraio secondo cui «200 mila rifugiati e migranti sono pronti a lasciare la Libia alla volta dell’Europa».
Dal mare e dal cielo
Di qui l’auspicio di «interrompere il modello di business dei trafficanti, con sforzi sistematici per identificare, catturare/sequestrare, e distruggere le barche e le strutture usate» dai contrabbandieri di essere umani». La missione avrà pertanto «un mandato esecutivo» e «potrebbe essere militare e congiunta (navale e aerea)». Si evidenzia che in assenza di accordo dei libici, la sorveglianze e l’azione delle acque non internazionali può avvenire solo con una risoluzione Onu «Capitolo VII», cosa che si va discutendo in queste ore.
L’operazione «dipenderà dalle attività di Intelligence», la cui condivisione «sarà fondamentale». Si porrà «l’alto rischio di danni collaterali» (vittime fra i migrati) e l’esigenza di un quadro per stabilire cosa fare di eventuali criminali arrestati. Le risorse saranno messe a disposizione dagli stati, con Francia, Regno Unito e Italia pronti a salpare. Potranno agire anche a terra, «anche se sarebbe ideale che vi fosse il consenso locale» (non dall’aria, chiedono i russi). Obiettivi: barche, depositi di carburante, strutture di attracco. Più la deterrenza: con le navi da guerra davanti alle sponde dorate della Libia, qualcuno potrebbe desistere. Difficile, ma non si sa mai. Quando si ha il colpo in canna, si finisce per sparare.