Tino Oldani, ItaliaOggi 14/5/2015, 14 maggio 2015
TORNA LA VOGLIA DI STATO PADRONE: VALE IN ITALIA PER L’ENEL SULLA BANDA ULTRALARGA, COME VALE IN EUROPA IN ALTRI SETTORI
Mentre si annunciano le privatizzazioni, in realtà sembra diffondersi sempre più una certa voglia di ritorno allo Stato padrone. Vale per l’Italia di Matteo Renzi, ma la stessa tendenza si sta affermando anche in altri Paesi, in testa Francia e Germania, compresa - udite, udite - la Gran Bretagna del conservatore David Cameron. Basta mettere in fila alcuni fatti. Il governo Renzi ha appena fatto sapere che per realizzare il progetto della banda ultralarga, viste le resistenze di Telecom, pensa di affidarsi all’Enel, ente pubblico, che grazie alla ramificazione capillare sul territorio avrebbe le caratteristiche necessarie per il successo dell’operazione. L’intenzione del governo è stata confermata da Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti (Cdp), che è già una longa manus dello Stato padrone, attraverso le partecipazioni azionarie in importanti società quotate (Enel, Eni e Terna), oltre a disporre di uno strumento come il Fondo strategico italiano.
A Bassanini, che non ha escluso la «possibilità di sinergie», ha fatto eco l’amministratore delegato delle Ferrovie, Michele Mario Elia, che si è detto pronto a partecipare alla diffusione della banda ultralarga: «Abbiamo novemila chilometri di rete ferroviaria e alcune centinaia di chilometri sono stati già coperti dalla fibra ottica». Una disponibilità che Bassanini ha accolto con favore: «Enel potrebbe essere un player che, accanto a Metroweb e ad altri soggetti, concorre per portare la fibra dove Telecom non ha interesse a portarla». Traduzione: Metroweb, che è controllata dalla Cdp, con Enel e le Ferrovie, sono partner compatibili per realizzare un progetto strategico come quello della banda ultralarga, per il quale il governo ha messo a disposizione 6,5 miliardi di euro da investire entro il 2020. L’obiettivo è di ridurre il gap dell’Italia nell’economia digitale, dove siamo al 25.mo posto sui 28 Paesi Ue, appena un gradino sopra Bulgaria, Grecia e Romania.
Le cronache dicono che a Telecom stanno già studiando il ricorso da spedire a Bruxelles, perché bocci l’intervento dell’Enel come aiuto di Stato. In teoria, le regole europee potrebbero dare ragione a Telecom. Ma resta il fatto che in Italia, quando si devono affrontare investimenti strategici, la latitanza o lo scarso impegno dei soggetti privati si va facendo sempre più evidente. Strategico, per esempio, è l’acciaio. Ma l’Ilva di Taranto, gravata da 3 miliardi di debiti, può andare avanti soltanto grazie al prestito ponte di 400 milioni firmato pochi giorni fa dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Una ripubblicizzazione strisciante dell’acciaio, a cui ha dato man forte anche la magistratura di Milano, che ha destinato al risanamento ambientale le somme sequestrate (1,2 miliardi) agli ex proprietari dell’Ilva, i fratelli Riva, per reati fiscali e valutari. Tali fondi saranno girati, attraverso Equitalia giustizia, al Fondo unico giustizia (Fug), che così potrà intestarsi le obbligazioni che l’Ilva emetterà per finanziare i lavori di bonifica ambientale.
Lo Stato padrone sembra tornare a fare capolino anche nelle banche, segnatamente nel Monte dei Paschi, che a luglio potrebbe convertire in azioni le somme da restituire per i Monti Bond, dando vita a una partecipazione statale del 10%. La stessa cosa potrebbe verificarsi nelle autostrade, dove l’ultima direttiva europea (vedi ItaliaOggi del 12 maggio) ha stabilito che lo Stato possa riappropriarsi delle concessioni alla loro scadenza, senza obbligo di gara. Una decisione, quest’ultima, che sembra riflettere un certo ripensamento sulla funzione sempre salvifica delle privatizzazioni, imperante fino a poco tempo fa a Bruxelles.
Forse è per questo che gli euroburocrati non hanno fatto neppure un plissé quando il governo francese ha aumentato la propria partecipazione in Renault al 19,7% per evitare che l’assemblea dei soci bocciasse l’adozione del voto multiplo. Il governo di Parigi difende da sempre lo Stato padrone: conserva una robusta presenza azionaria in Air France anche dopo la fusione con Klm, e a partire dal 2004, quando fu istituita l’Agenzia delle partecipazioni dello Stato (Ape), il portafoglio delle partecipazioni pubbliche francesi è più che raddoppiato, passando da 38 a 83 miliardi di euro in aziende quotate, più altri 20 miliardi in aziende private. In totale, 74 società, che consentono allo Stato padrone di controllare quasi tutti i settori strategici dell’economia francese.
In Germania lo Stato federale non possiede direttamente alcuna azienda manifatturiera, ma la mano pubblica interviene attraverso i Laender, come in Bassa Sassonia, dove il Laender possiede il 19,9% della Volkswagen, una minoranza di blocco che condiziona ogni decisione strategica. Quanto alla Gran Bretagna, il governo di David Cameron non ha potuto fare a meno di intervenire per rimettere in piedi la rete ferroviaria, fallita per la pessima gestione seguita alla privatizzazione imposta da Margareth Thatcher. Insomma, niente a che vedere con lo Stato padrone del passato, che garantiva posti e stipendi come un ammortizzatore sociale. E se ora prende il posto dei privati che dimostrano di non sapere gestire gli investimenti strategici, non resta che aspettare i risultati prima di giudicare.
Tino Oldani, ItaliaOggi 14/5/2015