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 2015  maggio 14 Giovedì calendario

ARTICOLI SULLA JUVENTUS IN CHAMPIONS DAI GIORNALI DEL 14 MAGGIO 2015


MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA -
Non è un miracolo, la Juve gioca meglio del Real. Non molto, ma è sempre dentro la partita. Ronaldo non sa più conciliare la velocità con l’effetto, Bale è un equilibrista, bisogna che il calcio lavori per lui, difficile il viceversa. Questo è il punto: la Juve è una squadra, il Real no. La Juve sa maneggiare un risultato anche dentro una brutta partita, il Real no. Se a Madrid sono arrabbiati con Ancelotti, hanno ragione. Il Real è una squadra spezzata in tre parti dove non c’è una sola idea di gioco normale. Infinitamente meglio la Juve, umile, magra, decisa a inseguire anche quando sembrava difficile, una squadra diventata lentamente da vertice europeo perché intelligente, moderna, senza fuoriclasse ma anche senza il peso di aggettivi che comporta averne. La Juve sul tetto d’Europa è un’anomalia non prevista da noi giornalisti esperti che, essendo esperti, tendiamo a dimostrare sempre il facile: che il campionato inglese è il più forte, che quello tedesco è il più organizzato, che quello spagnolo è il più spettacolare. Il campionato italiano non c’è, ci sono critici che, per andare all’estero, nemmeno lo vedono mai. La vittoria della Juve a Madrid significa questo, una piccola svolta enciclopedia, un nuovo alfabeto della qualità. Come dire che non solo la Juve è meglio del Real, ma anche che il Chievo non è peggio dello Schalke, e l’Empoli è forse alla pari con il Psv. Che possiamo finalmente interrompere questa lunga processione di battenti che abbiamo cominciato anni fa scambiando la crisi economica con la fine di un mondo. Finiti i soldi, è invece tornata fuori l’intelligenza. Adoro questa Juve scarna, senza leggenda, senza Platini e Zidane, che rifà a propria immagine il calcio europeo. Il calcio è questa capacità moderata di lavoro, di suggestione del particolare, molto più che prendere James Rodriguez e tenerlo poi per una stagione fuori ruolo. La Juve ha una realtà tecnica esatta, è stata costruita per assecondare le idee di chi la guidava. Il Real è una squadra sbagliata. La Juve è un calcio diventato ormai quasi eterno, l’uomo contro il dinosauro, dove il dinosauro alla fine diventa perfino un pranzo. E a questo punto, con calma, ma si può perfino dire che non è finita.


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GIANNI MURA, LA REPUBBLICA -
Juve a Berlino. Juve qb. Quanto basta, que bonita. Nell’arco delle due partite ha giocato meglio del Real. Anche ieri. Anche se è andata sotto nel punteggio su un rigore ingenuo (Chiellini) ma innegabile. S’è visto nel secondo tempo di che pasta era fatta, dopo il pareggio di Morata. Marchisio e poi Pogba hanno fallito il 2-1 da facile posizione. Pur sbagliando molto in disimpegno, pur lasciando al Real lo sterile primato nel numero dei tiri in porta, la Juve ha avuto spunti di grande calcio. Non tutti, non tutti insieme, ecco perché ho usato la formula qb. Quel che serviva per passare il turno era forza (anche di testa) e pazienza.
Faceva molto caldo, a Madrid, un caldo appiccicoso. L’immagine di Alfredo Di Stefano, in curva, doveva caricare i bianchi, che in effetti sono partiti a tavoletta, ma la parata più difficile per Buffon è su un sinistro di Bale, da lontano. C’era anche la Juve, Vidal aveva obbligato Casillas a distendersi in tuffo. Una Juve più portata a contenere che ad attaccare, questo prevedeva il copione.
Ma senza concedere granché, qualche guizzo a Benzema, molti cross a Marcelo.
Bale meno peggio che a Torino, ma sempre insufficiente, Rodriguez sparito dopo il rigore, Kroos troppo scolastico in regia. Il Real poteva e doveva fare di più, per arrivare in finale. Non ha molto su cui recriminare, ha semplicemente confermato di essere in un brutto periodo, perché nessuno sa dargli i tempi giusti come faceva Modric.
La Juve fa l’impresa senza un grandissimo apporto dei due più famosi: appannato Pirlo (uscito comunque tra gli applausi dei madridisti), vagante con poco costrutto Tevez. Il centrocampo della Juve, pur con poco Pirlo, prima argina e poi sovrasta quello del Real. Merito di Marchisio, sempre lucido, che corre per due, di Vidal guerriero e generosissimo, di un Pogba cresciuto col passare dei minuti, fino a giganteggiare. Dei due al rientro, più decisivo lui di Benzema. Di sfuggita, da campioni come Cristiano Ronaldo si pretenderebbe una partecipazione più sudata e sentita. Un gol come all’andata, e che altro? Le partite non sempre si vincono col cartellino del prezzo al collo, o con i bilanci più grassi. Un gol, come all’andata, anche Morata, il madridista in prestito. Bella storia pure questa. Sul suo tiro non sembra del tutto innocente Casillas.
Sono dettagli minimi. Giocare al Bernabeu non è mai facile e il Real era davvero in corsa per l’ultimo treno. Su cui sale la Juve, con pieno merito. In Italia domina, in Europa ha sofferto, ma sta crescendo. Chi avrebbe scommesso su questa squadra in finale? E allora sotto col Barcellona, in una gara unica può succedere di tutto.

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GIGI GARANZINI, LA STAMPA -
Non un capolavoro assoluto, perché questa Juve ha già dimostrato di saper fare anche di meglio. Ma certamente un’impresa, una grande impresa che proietta la Juve in finale di Coppa dei Campioni. La Juve che non ci arrivava da 12 anni e il calcio italiano che da cinque semplicemente se la sognava. Traguardo che pareva impossibile solo qualche mese fa e invece ha preso corpo poco alla volta, culminando nella doppia grande partita disputata contro il Real campione in carica. Ieri sera in particolare non è stato facile rimontare lo svantaggio iniziale. Ma è bastato il gol in mischia di Morata, con la coproduzione di Casillas, per mostrare una Juventus capace di gestire addirittura con disinvoltura il risultato nell’abbondante mezzora finale. Grazie anche ad una condizione fisica certamente più brillante che le ha consentito di reggere con pochissimi spaventi l’assalto finale dei blancos in campo e dei madridisti sulle tribune del Bernabeu. Servirà qualcosa in più contro il Barcellona, come già si era capito e soprattutto sperato al momento del sorteggio. Ma non manca il tempo per pensarci, da qui a Berlino.
Alla fine dunque ha avuto ragione Allegri ancora una volta. Ma che fosse azzeccata la formazione iniziale, con Pirlo e Pogba insieme, si può discutere. Già sulla carta ne cresceva uno, per via di quel vecchio detto secondo cui è meglio un asino vivo di un dottore morto. Avendo sperimentato, nella sfida di sette giorni prima, che Sturaro è tutt’altro che un asino, la Juventus avrebbe probabilmente preso ben prima il comando delle operazioni a centrocampo. Anche perché erano palesemente più squadra i bianconeri, più armonici ed equilibrati degli avversari, meno avventurosi anche se la copertura della corsia di sinistra era deficitaria e per fortuna Carvajal era di gran lunga il più scarso del Real e Bale il bluff di (quasi) sempre. Di sicuro il contributo di Pogba è stato assai limitato, come d’altra parte quello di Tevez. Mentre Pirlo ha probabilmente giocato una delle peggiori partite europee della sua splendida carriera.
Eppure con poco Pogba, poco Tevez e Pirlo fuori registro, i tre cioè che dovevano fare la differenza, la Juventus ha comunque centrato la finale. E questo se da un lato conferma quali siano i limiti attuali del Real Madrid, dall’altro certifica quanto la Juve sia cresciuta strada facendo in campo internazionale. La difesa ha commesso un solo errore, quello di Chiellini sul rigore, ed è stata per il resto inappuntabile. In mezzo al campo lo spirito di sacrificio e insieme la qualità di Marchisio e Vidal sono stati stratosferici, perché hanno supplito anche ai limiti dei compagni di reparto. Mentre in avanti uno splendido Morata, oltre che il gol decisivo ha fatto anche la parte di Tevez. Che magari si è risparmiato per la finale.

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GIANLUCA ODDENINO, LA STAMPA -
Ha aspettato dodici lunghi e intensi anni, stabilendo così un primato a livello di attese bianconere, ma ora il romanzo delle grandi finali juventine può aggiornarsi con la pagina più bella. E allo stesso tempo la più sorprendente, perché nessuno avrebbe scommesso ad inizio stagione che a Berlino sarebbe andata in scena l’ottava finale di Champions-Coppa Campioni della Juve. La festa è doppia, dunque, e la voglia è tripla in una società che ha già vinto due volte la coppa più importante (1985 e 1996), sfiorando il tris nella finale tutta italiana del 2003. Quello è stato il punto più alto toccato dal calcio italiano, ma ora la Juve vuole rifarsi. Anche a livello storico, visto che in Germania ha già perso (a Monaco nel 1997 contro il Borussia Dortmund) e contro una squadra spagnola (il Real nel 1998) non è andata meglio. Cabale e scaramanzie sono già attive, ma riannodare i fili della memoria magari può ispirare proprio Buffon e compagni. Sulla carta sfavoriti contro il Barcellona, un po’ come lo era l’Amburgo nel 1983 quando vinse un’incredibile finale contro la Juve dei campioni del mondo che si sentiva già vincitrice. Corsi e ricorsi storici, buoni anche in caso di rigori con la Champions alzata nel 1996 a Roma, dopo aver battuto l’Ajax dal dischetto, e persa nel 2003 a Manchester contro il Milan.
Felicità e dolore
Massimiliano Allegri è il quarto allenatore della Juve a conquistare la finale dopo Vycpálek, il primo a riuscirci nel 1973 (contro l’Ajax di Cruijff che a Belgrado aprì il suo ciclo d’oro), Trapattoni (due disputate: la prima persa, la seconda vinta) e Lippi (quattro tentativi e un successo). Gioie e dolori si mischiano in questi fino a fondersi nel ricordo dell’Heysel: la prima coppa alzata dalla Juve, ma anche la tragedia più assurda con 39 tifosi morti prima della partita con il Liverpool. Sono passati 30 anni esatti dalla finale di Bruxelles e la Juve non ha dimenticato. La dedica, in caso di vittoria, è già pronta per quegli angeli.

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GIULIA ZONCA, LA STAMPA -
Una notte così non si può neanche sognare. Alvaro Morata torna nello stadio dove era sicuro sarebbe diventato famoso e lo diventa davvero. Ha una maglia diversa, non fa festa contro la squadra che lo ha cresciuto ma il gol che porta la Juve in finale è la risposta a chi ha deciso di liberarsi di lui e anche un definitivo punto a capo. Con la Juve si gioca la Champions da protagonista, non esistono più motivi di guardarsi indietro.
«Vittoria agrodolce»
L’uomo è nostalgico, indole non certo rimpianti: «È una vittoria dal sapore agrodolce, per me sono state due partite durissime». A Madrid ha lasciato un sacco di amici, in squadra e fuori, tanto che quando il sorteggio ha detto Real il suo telefono si è intasato. Cercavano biglietti, saluti, ricordi. Morata ha lasciato le incombenze alla famiglia e ha puntato dritto su Berlino. Come ha detto Allegri prima della qualificazione: «Siamo vicinissimi» e il silenzioso Alvaro non ha pensato ad altro.
Nessuna distrazione, emozioni tenute rigorosamente sotto controllo. Conosceva la procedura: la folla in strada, i canti storici, il fantasma di Di Stefano. Era abituato alla liturgia da grande sfida in blanco, però non si è lasciato soffocare dall’ondata di memorie. Compartimenti stagni, solo così rimani imperturbabile mentre il Bernabeu manda onde di sconforto e il tuo presente ti corre incontro stravolto di felicità. Bonucci da una parte, Chiellini dall’altra e Morata stretto in mezzo con la stessa espressione concentrata e imperturbabile che aveva quando è entrato in campo: «Non avrei celebrato il gol contro il Real neanche se fosse stato il millesimo. Ho provato sensazioni contrastanti. Con il Barcellona la vivrò in un altro modo. Non vedo l’ora, qui è stato complicato».
Si è preparato all’impatto fin dal giorno prima: la Juve a testare il terreno, lui a indicare direzioni e progetti. Raccontava storie vissute lì e insieme dava consigli: inconsapevolmente scalfiva miti e ansie. Se vedi qualcuno così a proprio agio nella tana dell’avversario ti senti subito più forte.
Morata ha dettato la rotta, ha mantenuto la calma anche davanti al vantaggio di Ronaldo. Si aspettava pure quello: lo conosce troppo bene e non ha pensato neppure per un secondo che potesse sbagliare due rigori di fila. Ha visto il dischetto e si è spostato oltre mentre Cr7 metteva dentro il suo quinto gol alla Juve, un record in Champions anche se la statistica non fa male.
Media impressionante
Due partite da ex e due reti, una media impressionante per uno che è stata valutato non abbastanza e va bene che al Real le punte non mancano però Morata, senza darlo a vedere, si presentava a Madrid con un peso più degli altri. E non si tratta dei bei giorni andati ma di un fardello pratico ed evidente. Per la Juve la semifinale era già sinonimo di successo, per lui no perché l’anno scorso stava nel club campione. Ha digerito pure il pregresso e ha duettato con Pogba nel momento decisivo. Sintonia testata nella ricognizione del campo con un saluto in codice tra i due, una stretta di mano speciale riservata a un’amicizia che si riflette nel gioco. Infatti il gesto si ripete identico pure dopo il gol che sposta la Juve in una nuova dimensione. Uscito dalla mischia lo spagnolo trova lo sguardo di Pogba, ripete la confidenza. L’unico momento in cui mostra agli ex un segno di gioia. Minimo, intimo, però memorabile.
Dopo è pronto a reggere i fischi del pubblico che non si è mai innamorato di lui. Morata non sentiva nulla all’inizio. Figuriamoci alla fine, piantato dentro al futuro e libero dai ricordi. E dalla nostalgia.

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ROBERTO PERRONE, CORRIERE DELLA SERA -
Caldissima Juventus. Madama non raggiunge il suo livello di incompetenza in una sera ferragostana (anticipata a maggio), lo fa raggiungere al Real Madrid illuso dal rigore di Ronaldo, castigato da Morata, di nuovo l’enfant du pays a segno come a Torino: a Berlino il 6 giugno affronterà il Barcellona nell’ottava finale di Champions/Campioni della sua storia. Non è la partita perfetta, ma è una grande partita perché il gruppo bianconero non gioca benissimo, non è eccezionale né sul piano del ritmo né su quello della tecnica, però esce alla distanza, diventa insuperabile, coeso, imperturbabile quando occorre, al momento giusto, nell’ultima mezzora. Concede 23 tiri al Real Madrid, mai così tanti in tutte le competizioni di questo anno sociale 2014-2015, però solo 5 nel rettangolo dove Buffon monta la guardia, attentissimo.
Vittoria del gruppo, chiusura del cerchio. Madama ritorna di diritto tra le grandi del calcio europeo. Lo fa uscendo indenne da una partita caldissima in un rovente Bernabeu. Qualche raro refolo di vento fa anche peggio. All’inizio la Juventus pare in equilibrio tra sensazioni positive e fragilità. Bale e Benzema portano pericoli, Buffon respinge su Cristiano Ronaldo e Casillas, applaudito dal pubblico, salva su Marchisio. Le schermaglie durano solo 20 minuti, poi comincia a succedere quello che Madama deve assolutamente evitare e cioè farsi mettere in un angolo.
Manca la serenità che Max Allegri ha predicato alla vigilia? Qualche segnale c’è, infatti Chiellini, lui quoque, come nell’ultima passeggiata al Bernabeu, nel 2013, commette un’ingenuità su James Rodriguez mandando sul dischetto Cristiano Ronaldo. La replica bianconera non è fiacca, però la Juventus si arena proprio là dove dovrebbe incidere, sull’ultimo passaggio. E poi deve stare attenta a non scoprirsi. Buffon è bravo su una sassata di Bale e su una zuccata di Benzema. A Madama mancano queste conclusioni, questi tentativi che mettano sotto pressione il reale avversario, mentre la squadra di Ancelotti, appena si infila in un varco, diventa subito pericolosa: con Ronaldo, con Benzema (Buffon sul primo palo). Le percentuali sorreggono l’analisi: la Juventus ha tenuto più palla (52 a 48 per cento), ma ha tirato molto di meno (13 Real, 3 i bianconeri) .
Compare, nel finale della prima frazione, anche qualche accenno di nervosismo juventino nei confronti dell’arbitro. La classica sindrome dell’ospite che si sente tartassato. Giusto o sbagliato, questo comportamento non conduce mai a nulla di buono. Infatti quella che rientra, con largo anticipo dagli spogliatoi, è un’altra Juventus. C’è qualche sbandamento, un po’ di faciloneria, ma c’è anche qualcosa di diverso, una grande unità d’intenti, una spettacolare fisicità e una lucidità a prova di calore che il Real Madrid non ha. Dietro imbarca acqua, non è irreprensibile. E infatti sugli sviluppi di una punizione Pogba conquista di testa un pallone e lo lancia a Morata che segna di nuovo, come a Torino (e non esulta). La partita a questo punto è un grumo di estemporaneità ma la Juventus lo doma, lo addomestica, lo controlla. Iker il perseguitato impedisce la derrota anticipata salvando su Marchisio e Pogba, ma la difesa della Juventus espone il cartello: «Chiuso per finale». A Berlino.
Roberto Perrone

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MARCELLO DI DIO, IL GIORNALE -
Undici milioni di euro. Sono il surplus di proventi economici che entreranno nelle casse bianconere dopo l’impresa di Madrid. Ma Gigi Buffon, che tornerà il 6 giugno a Berlino dopo nove anni dalla vittoria della Coppa del Mondo, guarda già avanti e alza l’asticella: «Senbrava uno scherzo del destino e invece è andata come auspicavamo. Sono orgoglioso dei miei compagni, ma non dobbiamo andare là a fare i turisti. Di finali di Coppa dei Campioni non se ne giocano tante, bisogna vincerle». Il portiere c’era dodici anni fa, nell’ultima volta dei bianconeri, quando la sua Juve fu trafitta ai rigori dal Milan a Manchester.
Una partita da leggenda, fatta di sofferenza, fatica, orgoglio. Cinque anni dopo il trionfo dell’Inter al Bernabeu, tocca ai bianconeri. «Alla squadra non ho niente da dire per quello che ha fatto stasera e in generale per tutta la stagione - così Max Allegri -. Raggiungere la finale di Champions è un motivo di soddisfazione, è stata una bella partita dal punto di vista tecnico, bisognava giocarla per forza senza difenderci. Nel primo tempo si poteva fare meglio, ma contro un Real che ha giocato in maniera molto diversa rispetto all’andata non era facile, e nel secondo abbiamo avuto due o tre situazioni di contropiede limpide. Giocare qui non era facile, ci voleva coraggio e bisognava limitarli. Il Barcellona? Ora come ora è quasi impossibile giocarci contro, ma in una partita secca può accadere di tutto. Loro hanno tre giocatori lì davanti stratosferici, noi siamo consci delle nostre possibilità. Ma prima voglio la Coppa Italia (la finale con la Lazio è stata anticipata al 20 maggio, ndr) e poi penseremo alla Champions».
L’eroe della serata è l’ex Alvaro Morata che ha segnato sia all’andata che al ritorno. Ma alla fine era dispiaciuto per i fischi del Bernabeu mentre lasciava il campo per lasciar spazio a Llorente. «Era una situazione molto difficile per me, non ho esultato sul gol, ho fatto solo il mio lavoro, ora gioco per la Juve e voglio solo sognare - così l’attaccante spagnolo, nato nel quartiere del Prado dove è ubicato l’hotel Mirasierra, quartier generale della Juve nella trasferta madridista -. A chi dedico il gol? Alla mia famiglia, alla mia ragazza, ai miei amici e al mio procuratore che ha vissuto un’estate difficile». Morata? Cercheremo di tenerlo con noi, abbiamo buoni rapporti con il Real - sottolinea il dg bianconero Marotta -. I meriti della società? Noi proviamo a supportare al meglio la squadra con le scelte sul mercato. Se possiamo vincere la Coppa? Dipende da tanti fattori come la fortuna, nella Liga ci sono ancora due giornate e quindi il Barcellona avrà ancora da faticare, mentre noi potremo gestire di più le forze. Se siamo inferiori sulla carta e sfavoriti dal pronostico, ce la giocheremo comunque».
Carlo Ancelotti è deluso e il suo futuro al Real sembra segnato: «La società farà le sue valutazioni a fine stagione. Per quanto riguarda la partita di ritorno, è stata ben giocata con tutto lo sforzo possibile. Abbiamo preso un gol su rimpallo e palla inattiva, non devo rimpiangere niente, potevamo essere più fortunati e precisi nelle conclusioni. Se dobbiamo rimproverarci qualcosa, è per la sfida di andata».
Complessivamente, i supporter bianconeri al Bernabeu erano quasi cinquemila: una goccia nell’oceano, ma che si sono fatti sentire nella bolgia del Bernabeu. Da segnalare anche qualche tafferuglio tra i tifosi della Juve e la polizia spagnola prima della partita. Secondo quanto ha riferito il giornale As on line, le forze dell’ordine della capitale madrilena sarebbero dovute intervenire per tenere sotto controllo le intemperanze di un gruppo di sostenitori juventini nei pressi dello stadio.

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EMANUELE GAMBA, LA REPUBBLICA -
Sembra uno scherzo del destino. Ma a Berlino non andremo a fare i turisti», dice il vecchio Gianluigi Buffon, intimamente ringraziando il bambino Morata che gli ha dato questo gioia, e la possibilità di vincere l’unica cosa che non ha mai vinto. I ragazzi (ragazzi?) del 2006 hanno subito riannodato il futuro alla memoria del passato, perché una finale non è mai banale ma nella città del Mondiale lo è meno, decisamente molto meno. Difatti un attimo dopo i tre fischi di Eriksson, Alessandro Del Piero già twittava: «Da Berlino alla B, dalla B a Berlino, grandissimi ragazzi ». C’è il senso del viaggio, in quest’ultima trasferta della stagione che in realtà è la meta di un decennio intero, anche se poi colui il quale ha pilotato la squadra fino alla capitale tedesca è un ragazzo nel 2006 aveva appena tredici anni, probabilmente tifava per Zidane e adesso che ne ha 22 soltanto (ne farà 23 a ottobre) già giocherà la seconda finalissima di Champions League della sua brevissima ma vincentissima carriera. L’anno scorso alzò la coppa a Lisbona, partecipando ai minuti finali della rimonta del Real sull’Atletico. Stavolta farà il titolare, d’altronde due gol in semifinale, equamente distribuiti tra andata e ritorno, valgono certe certezze. Ieri sera si è preso i fischi del Bernabeu, ma dopo tutto da giorni i quotidiani spagnoli non facevano che rivangare i gol più brucianti degli ex più vendicativi: se la sono tirata, sia i fischi sia i gol, visto che ogni articolo s’intitolava grosso modo “dal Moro a Morata”, cioè da Morientes, che eliminò il Real con la maglia del Monaco nel 2004 (naturalmente segnando), al suo pronipote. «Era una situazione difficile per me», diceva con quella faccia da ragazzo persino troppo bravo. «Non ho esultato, ho fatto solamente il mio lavoro, sono un giocatore della Juve, lavoro nella Juve...». A giudizio di Agnelli, Morata è il colpo migliore della sua gestione: i fatti non gli stanno dando torto.
Il Real, si sa, potrebbe ricomprarselo l’anno prossimo spendendo trenta milioni ma forse non succederà mai, a sentire le parole di Marotta: «Ha affossato la squadra in cui è cresciuto, un gol all’andata e uno al ritorno. Col Real abbiamo un ottimo rapporto, ma quello che conta è la volontà del giocatore e lui ha sempre detto che vuole restare qui. Quindi vedremo di definire o di eliminare questo diritto di recompra».
Morata, in effetti, a Torino sta bene: «Sono molto contento per questa situazione, prima di tutto voglio ringraziare i tifosi che erano allo stadio, daremo tutto per vincere questa finale. Sarà difficile, però se continuiamo a lavorare tutti insieme come abbiamo fatto finora ce la possiamo fare». Intanto, negli spogliatoi i giocatori festeggiavano intonando i canti del 2006, Berlino di ieri e di oggi è veramente un chiodo fisso: «Ho cantato anche io con gli altri, è una finale attesa dodici anni, bisognava festeggiare. Adesso possiamo continuare sognando e lottando fino alla fine. Dedico il gol alla mia famiglia, alla mia ragazza, ai miei amici che sono a Madrid, al mio procuratore che in estate è stato duro». Cioè: l’ha convinto a scegliere la Juve. Le alternative erano Wolfsburg e Monaco: non è stato difficile prendere la decisione giusta.