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 2015  maggio 13 Mercoledì calendario

SFIDARE I GRECI AL REFERENDUM È COME GIOCARE CON IL FUOCO

Ieri si sono registrate diverse dichiarazioni sulla necessità di accelerare i negoziati tra la Grecia e le istituzioni creditrici. Il Vice presidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, proprio citando i problemi della liquidità, ha detto che bisogna adoperarsi per arrivare alla conclusione delle trattative che si sperava sarebbero state concluse già a fine aprile. In precedenza, la riunione dell’Eurogruppo di lunedì ha apprezzato i progressi nel negoziato, ma ha ritenuto necessari maggiori sforzi, e quindi più tempo, per superare le distanze che, ora, vengono segnalate, in particolare, nelle pensioni e nel mercato del lavoro. Si alternano posizioni ottimistiche a posizioni pessimistiche, fino alla riemersione, in quest’ultimo caso, delle ipotesi di piani alternativi qualora si aggravino le difficoltà. Intanto, viene confermato che la Grecia ha rimborsato al Fondo monetario internazionale il prestito di 750 milioni. Per arrivare a un approdo, i più si sintonizzano sul mese di giugno, escludendo che in questo mese di maggio i negoziati possano raggiungere un risultato definitivo. Ma l’onere dei rimborsi si accrescerà nei prossimi mesi e il tempo previsto a febbraio (4 mesi) per conseguire una intesa definitiva sul cosiddetto memorandum che sblocchi finalmente il prestito di 7,2 miliardi si è fatto breve. Tutto spingerebbe a un’accelerazione, ma non del tipo di quelle già promosse negli scorsi mesi e puntualmente non attuate perché intraprese con rispettive riserve mentali. Tuttavia l’elemento nuovo, di cui ieri si è continuato a parlare, è la sortita del Ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, che lunedì ha aperto al referendum di cui tempo fa aveva parlato Alexis Tsipras per l’ipotesi in cui le trattative arrivassero a una conclusione che il Governo non si sentisse in grado di sottoscrivere senza avere prima interpellato gli elettori. È emersa subito la differenza di comportamento rispetto a quello tenuto dalla stessa Germania quando Georges Papandreou, allora capo dell’Esecutivo ellenico, aveva minacciato di promuovere lo svolgimento di un referendum sulla permanenza nell’euro, immediatamente attirandosi il duro contrasto di diversi paesi dell’area della moneta unica, a cominciare dalla Germania. Allora si temeva, e a ragione ancorché si vulnerasse l’autonoma determinazione del governo e del popolo ellenici, che il referendum avrebbe causato gravi danni alla stessa Grecia i quali, con l’effetto di imitazione, si sarebbero riverberati sugli altri paesi dell’area, in una fase in cui non esistevano tutte le misure e i meccanismi protettivi che dopo sono stati introdotti. Oggi, invece, sembra che le parti si siano invertite ed è la Germania a prospettare l’iniziativa referendaria, sia pure con l’intento di verificare se i greci siano disposti ad accettare ciò che, a detta del Ministro germanico, è necessario fare ovvero vogliono qualcosa di diverso. A ben vedere, si tratta di un tentativo di spiazzamento nel negoziato, compiuto per controbattere all’evocazione del referendum da parte della delegazione ellenica la quale, ora, afferma, invece, che il ricorso a questo strumento non serve, anche se resta in piedi la possibilità di un suo impiego. In effetti, seguire ora il consiglio di Schaeuble significherebbe avviarsi in un percorso di cui non si conosce lo sbocco, che potrebbe essere anche quello di finire in un burrone: da questo punto di vista, la sollecitazione tedesca è, sì, un mezzo tattico, ma è anche una sfida al senso di responsabilità che troppo leggermente è stata mossa. Al punto in cui siamo arrivati, non sono ammissibili tattiche della specie, per di più praticate dall’austera Germania e con una buona dose di trasformismo, à la Fregoli. Ora, bisogna giocare a carte scoperte, se è vero l’intento di tutti di arrivare alla conclusione del negoziato. Le distanze, di cui ha parlato l’Eurogruppo, si annullano se si percorre l’unica strada praticabile, quella di un compromesso sui predetti temi, le pensioni e il lavoro, nel quale entrambe le parti rinuncino ad aspetti non secondari delle rispettive posizioni, senza ricorrere a tatticismi e a ipotesi revansciste. Altra scelta non sussiste, se non quella di procedere con una intesa parziale subordinando lo sblocco totale del menzionato prestito a un successivo accordo globale. E ciò, come del resto anche nel caso di una intesa completa, richiede che, a fianco dei tecnici e dello stesso Eurogruppo, scendano in campo i responsabili politici delle istituzioni creditrici e che la Bce, per sua natura istituzionale, quella meno legata a tutele ed egoismi nazionali, agisca da catalizzatore di una accordo nei modi in cui le condizioni reali lo consentiranno.
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 13/5/2015