Roberto Giardina, ItaliaOggi 13/5/2015, 13 maggio 2015
IL CAPO TEDESCO DELEGA DI PIÙ
Berlino
Nel film Acqua per elefanti,un polpettone americano tratto dal romanzo di Sara Gruen, il direttore del circo è il tedesco August Rosenbluth, come si deduce dal nome, e dall’accento dell’interprete, l’austriaco Christoph Walz. È un sadico despota che maltratta bestie e animali, chi non rende viene buttato semplicemente dal treno in corsa.
Un capo tedesco, quindi un nazista. Nella campagna d’Africa, quando italiani e tedeschi si trovarono a combattere fianco a fianco agli ordini di Rommel, gli ufficiali della Wehrmacht pranzavano insieme con la truppa, i nostri in una tenda rigorosamente riservata. Per loro era vitale preservare distanza e dignità, per Rommel e i suoi dividere il rancio aumentava lo spirito di corpo. Riporto quanto ho letto in qualche libro.
Niente da fare contro i luoghi comuni, e la battaglia è persa a Hollywood prima di cominciare. La realtà è diversa, come mi spiegò a suo tempo Giuseppe Vita, attuale presidente di Unicredit, e presidente del consiglio di sorveglianza dell’Axel Springer. Diresse a lungo la Schering, ed è sempre l’italiano, anzi siciliano, più noto e stimato in Germania. In Francia, diceva, il capo deve essere autoritario e imporsi ai collaboratori. Il manager tedesco deve prima convincere chi lo circonda, e spiegare le sue decisioni. Quando le prende, tutti però collaborano lealmente, anche quelli che all’inizio non le condividevano.
Superati i cliché, non c’è dunque da sorprendersi per il modello aziendale che sta prendendo piede nella Repubblica federale. I dipendenti eleggono il loro capo, assumono i nuovi colleghi, e decidono collegialmente lo stipendio di ciascuno, informa la Süddeutsche Zeitung. Potrà sembrare avventuroso, continua il quotidiano di Monaco, ma in molte imprese questo modello è già una realtà, anche se la democrazia nel mondo del lavoro può creare qualche problema.
Il 75% dei capi, secondo un recente sondaggio condotto tra 400 manager, è convinto che serva democratizzare ancor di più le aziende e le imprese. La tradizionale «linea gerarchica» appartiene al passato, mentre il collettivo è più adatto ad affrontare le sfide di oggi, a aumentare la produttività, creando anche un miglior rapporto con la clientela. Motivare i dipendenti soltanto con il denaro, ritengono, non è più sufficiente, ed è consigliabile stimolare i collaboratori dando loro più responsabilità, lasciando che il controllo sia in mano dei colleghi. Il capo si dovrebbe limitare a coordinare e a compiere l’ultima scelta riguardo al prodotto.
Werner Niehüser, professore per le questioni di lavoro e organizzazione aziendale all’Università di Duisburg, avanza qualche dubbio su un eccesso di democrazia: «In molte aziende si arriverà a una pseudocogestione». Il comando deve restare al capo, come diceva Eberhard von Kuehnheim, uno storico dirigente della Bmw : «A grande altezza vola l’aquila, di preferenza da sola». Ma sono voci in controtendenza: conoscere quanto guadagnano i colleghi, e fare un confronto, rende l’ambiente in azienda più disteso, elimina frustrazioni, e spinge all’emulazione. Anche gli architetti cominciano a creare nuovi uffici, dove al capo non è più riservato uno spazio separato: lavora tra i dipendenti, e di preferenza si veste come loro, jeans e maglione meglio di doppiopetto e cravatta. «Ich gegen den Rest», io solo contro tutti gli altri, la vecchia formula di comando, non funziona più.
Roberto Giardina, ItaliaOggi 13/5/2015