Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 12 Martedì calendario

“SU BIN LADEN OBAMA MENTÌ ERA NELLE MANI DEI PACHISTANI”

Se ciò che ci hanno raccontato sulla cattura di Osama bin Laden non fosse vero? Se le epiche gesta dei Navy Seals nell’operazione di Abbottabad del 1° maggio 2011 fossero il frutto di un’operazione di intelligence andata diversamente? A instillare un dubbio è Seymour Hersh, premio Pulitzer, autore del nuovo libro «The Killing of Osama bin Laden», che in un articolo su «London Review of Book» scrive come l’uccisione del «most wanted» del terrorismo internazionale sia costellata da falsità e verità mai dette.
Per Hersh Barack Obama mentì, forse per attribuire esclusivamente alla sua amministrazione il merito di aver «vendicato» l’America e la ferita aperti degli attacchi dell’11 settembre 2001. Il primo pilastro sul quale si poggia la contro-teoria di Hersh riguarda la matrice dell’operazione: non sarebbe vero infatti che è stata una missione solo «made in Usa». Invece, Asad Durrani, negli Anni Novanta capo dell’Inter-Services Intelligence (Isi), i controversi servizi di intelligence del Pakistan, avrebbe rivelato che «bin Laden era prigioniero della stessa Isi dal 2006 ed era detenuto nel complesso di Abbottabad». Di questo gli Usa ne vennero a conoscenza nell’agosto del 2010, grazie alla soffiata di un «traditore», in cambio di 25 milioni di dollari.
La tesi è in contrasto – e questo è il secondo pilastro della teoria di Hersh – con la versione raccontata nel film «Zero Dark Thirty», secondo cui al covo si sarebbe arrivati in seguito agli interrogatori condotti dalla Cia su un corriere dello sceicco del terrore, da tempo sotto osservazione degli 007. Il blitz sarebbe poi stato condotto con il tacito assenso, ma con la consapevolezza di Islamabad, e quindi il presidente americano mentì quando disse al Paese che la missione era stata condotta dagli Usa e che le autorità pakistane ne furono informate soltanto a «cose fatte».
Anche sulla fine del corpo di bin Laden c’è un retroscena mai detto, perché prima che uno degli elicotteri dei Seals precipitasse durante l’operazione, l’intenzione era quella di disfarsene alla svelta e dire che il capo di Al Qaeda era stato eliminato in un raid con i droni su un covo situato nelle montagne pakistane. Il fuori programma costrinse a una revisione del piano e quindi alla sepoltura in mare dalla Uss Carl Vinson, versione anche questa su cui il Premio Pulitzer solleva dei dubbi.
Fonti anonime
La tesi di Hersh però è basata pressoché interamente su informazioni ottenute da una fonte anonima, presentata come una figura senior dell’intelligence americana. Troppo poco, anche per una penna come lui che ha condotto lavori importanti come quelli sul massacro di My Lai durante la guerra in Vietnam, che gli valse il premio Pulitzer nel 1970, e lo scoop sulla prigione lager di Abu Ghraib nel 2004. Di certo non è sufficiente per la Casa Bianca, che definisce le accuse «prive di fondamento». «La tesi secondo cui l’operazione in cui fu ucciso bin Laden non sia stata una missione unilaterale americana – riferisce – è palesemente falsa». Perentorio l’ex vicedirettore della Cia: «Non c’è una cosa vera».
Francesco Semprini, La Stampa 12/5/2015