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 2015  maggio 09 Sabato calendario

CI VUOLE UN BEL CORAGGIO


Questa non è una storia di classifiche e distacchi, salite e cronometro, giornate di grazia e momenti di crisi. Perché di quell’Alberto Contador, che si schiera al via da favorito numero uno del 98° Giro d’Italia, sappiamo praticamente tutto. L’Alberto Contador uomo è un pianeta meno esplorato. È lui ad avere voluto che fosse così. La mondanità è una parola straniera e ostile, le confidenze poche e rare, le digressioni rispetto al tema della bici sempre meno frequenti. SportWeek però ha trovato qualche “password” per decriptare i file meno conosciuti di questo fuoriclasse contemporaneo della bici che ha deciso di pedalare controcorrente rispetto a tutti i colleghi e tentare la doppietta Giro d’Italia-Tour de France nella stessa stagione come non riesce a nessuno dal Pantani 1998. Ci sarà un motivo se è il più amato, corridori italiani a parte, dal tifo del nostro Paese. In realtà di motivi ce ne sono diversi. Eccoli.

SEMPLICITÀ «Tieni, è il mio numero. Conservalo. Magari ne avrò altri, ma questo lo terrò sempre». Quella mattina, alla Vuelta Castilla y Leon del 2007, c’era tempo per permettersi qualcosa di diverso. La breve corsa a tappe spagnola stava per entrare nel vivo e la curiosità aveva portato a rivolgersi a quel ragazzo spagnolo di cui tutti dicevano meraviglie. Il mese prima aveva vinto la Parigi-Nizza, ma in bacheca non compariva ancora nessuno dei 6 grandi giri (8, se consideriamo i due tolti per il controverso caso del clenbuterolo al Tour 2010) poi conquistati. In quei giorni spagnoli di fine marzo Contador avrebbe peraltro dovuto fare il gregario di Ivan Basso, mentre andò a finire che si prese arrivo in salita e classifica finale. Comunque, in quella piazza di Zamora non negò il numero di telefono al cronista italiano. E 8 anni dopo giova constatare che ha mantenuto la promessa: lo ha conservato. Ovviamente, ora che è da tempo tra i numeri uno, è meno accessibile alle pressanti richieste dei media. Ma la semplicità del carattere non l’ha persa e alle persone più care risponde sempre. Magari ci mette un po’ di più. Ma risponde.

MENTALITÀ “Querer es poder”, “Volere è potere”. Forse come motto non vince il premio dell’originalità. Messo in bocca ad Alberto Contador assume però tutto un altro significato. Perché il cavernoma cerebrale che lo stava togliendo a questa terra nel 2004 lo rende a tutti gli effetti un sopravvissuto e all’epoca era onestamente difficile scommettere su un futuro agonistico così luminoso. Invece lui mai ne aveva dubitato. In famiglia ha un fratello di nome Raul con una disabilità importante e non smette mai di pensarci, di aiutarlo, di essere ottimista. Senza dimenticare la squalifica agonistica che ha segnato un prima e un dopo nella sua carriera: riuscì a tornare vincendo subito la Vuelta (2012), ma un 2013 sottotono aveva fatto pensare che il “Pistolero” fosse di quelli con un grande avvenire... dietro le spalle. Invece no: 2014 ad alto livello fino a una caduta che lo ha tolto di mezzo al Tour (quando Vincenzo Nibali aveva però già un vantaggio importante), ma pronta rivincita ancora alla Vuelta. Fino a un salto di qualità negli obiettivi: «Mi cambia poco, tutto sommato, vincere ancora un Giro, un Tour. Ma se li metto assieme nello stesso anno il discorso è diverso...». Ci vuole coraggio anche solo a pensarlo. Contador ce l’ha avuto. Da qui a dire che ce la faccia ne corre, ma è un fatto che per lui i verbi volere e potere siano davvero equivalenti. Nessuno gli toglierà mai dal cervello questa certezza.
ITALIANO ADOTTIVO «Amo l’Italia». Altra frase che puzza di stereotipo e insinua il dubbio di ruffianeria. Ma il personaggio non è di questa pasta. «Mi è sempre piaciuto il vostro Paese, d’altronde a chi non potrebbe piacere?», ha spiegato. «L’amore però è un’altra cosa. E io mi sono innamorato dell’Italia in un momento ben preciso. Il 2008». È l’anno della prima partecipazione al Giro: Contador venne all’ultimo momento, senza una preparazione specifica, e nonostante questo vinse. Giro in cui, per intenderci, tale Riccardo Ricco lo dileggiava apostrofandolo come “bagnino”, per il fatto che quando ricevette la convocazione Contador era in vacanza, sdraiato al sole su una spiaggia di Cadice. «Io quel Giro me lo giocavo con gli italiani, Riccò su tutti», ricorda l’attuale capitano della Tinkoff-Saxo. «Eppure la gente tifava per me quanto per loro. Forse anche di più. Ne avevo la percezione soprattutto in salita. Non pensavo fosse possibile». Tre anni dopo la sua fu una marcia trionfale, anche se poi cancellata dal Tas. Difficile accada anche nel 2015, le incognite sono maggiori e gli avversari (pur senza Nibali, Quintana e Froome) tanti e agguerriti: Aru, Uran, Porte, Pozzovivo, le inevitabili sorprese. Ma ora Alberto si è avvicinato anche fisicamente all’Italia, perché da Pinto, paesone alla periferia di Madrid, si è spostato a Lugano. In allenamento capita sovente che sconfini e la lettura della Gazzetta, rigorosamente di carta, è pane quotidiano come dimostrano le foto sui social. I tifosi di casa nostra ne apprezzano il carattere mai domo, la voglia di attaccare, la pedalata in salita che fa pensare a quella di un ballerino. D’altro canto lo stesso Contador ha sempre dichiarato di ispirarsi a Marco Pantani, che dai cuori della maggior parte dei tifosi non è ancora uscito e mai lo farà. Lo spagnolo ha già detto che verosimilmente la stagione 2016 sarà l’ultima per lui in gruppo, e le preghiere per favorire un ripensamento sono già iniziate. Molte vengono anche dal nostro Paese, ma per parlarne c’è tempo. Adesso è il momento della sfida per la maglia rosa. Quella che per Alberto è una reliquia. Se ancora non si fosse capito, dovranno passare sul suo corpo per sfilargliela.