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 2015  maggio 09 Sabato calendario

CHI LE HA UCCISE?


Sohan Lal ha incollato la foto della figlia alla porta di casa. In sari verde, pende dal ramo di un albero. Accanto a lei, in sari rosso, la cuginetta, nipote di Sohan Lal. Il padre non ha foto della figlia viva, a parte quella sbiadita della carta di identità. La ragazzina si chiamava Mukti, la cugina Puja, erano la migliore amica l’una dell’altra.
Sohan Lal era contento della sua vita, non aveva grossi problemi. Fino alla sera in cui Mukti e Puja (i nomi sono fittizi) furono rapite, violentate e uccise. Sohan Lal è uno che non ha fretta, non l’ha mai avuta. Mukti è morta da quasi un anno ma lui continuerà ad andare ogni giorno all’albero. Da allora non ha più coltivato i suoi campi, vive della carità altrui. Porta incisa sul viso la sua esistenza, il lavoro nei campi. È imperturbabile, mai un moto di rabbia o un sorriso. La voce è roca, monocorde. È un uomo minuto che non sa cosa sia il superfluo, ha sempre pensato solo a sopravvivere. Non sa dire con precisione la sua età. Pensa di essere sulla cinquantina.
Anche questa mattina, all’alba, è uscito di casa per andare all’albero a cui era impiccata sua figlia. Ora siede per terra davanti alla pianta, lo sguardo perso nel vuoto.
Da casa sua bastano pochi minuti di cammino tra i campi per arrivare qui. All’inizio, subito dopo la morte di Mukti, veniva di rado e sempre accompagnato. Adesso viene ogni giorno, da solo. Lì, sotto l’albero, è indifferente a ciò che gli accade intorno. Ci si può sedere in silenzio accanto a lui o porgli una domanda, cui risponde a monosillabi prima di ammutolire di nuovo. Ha fiducia nella polizia? «Ho fiducia in Dio», risponde. Com’è morta Mukti? «Solo Dio sa e può risolvere tutto». Per Sohan Lal la vita sulla terra è solo una parentesi gravosa. Dopo la morte si ha la liberazione, è il suo credo. È nato e morirà a Katra. Non si lamenterà mai della sua vita. È sposato con una donna scelta per lui dalla famiglia, è padre di quattro figli e forse riuscirà a vedere i suoi nipoti.
Mukti aveva circa 12 anni. L’ultimo giorno della sua vita, il 27 maggio 2014, la mattina, la ragazzina andò dal padre nei campi, erano iniziate le vacanze estive. Gli portò un bricco di tè speziato. Gli chiese se avesse bisogno di lei e Sohan Lal le rispose di no: «Torna a casa ad aiutare la mamma».
Così fece. Nel cortile dietro l’abitazione della famiglia azionò la pompa del pozzo, riempì un bacinella e si mise a lavare i panni. Un’amica che abita nella stessa strada, figlia di commercianti, ricorda che Mukti quel giorno passò anche al negozio dei suoi genitori per saldare il conto dell’ultima spesa. Mukti non aveva molte amiche, dice Sohan Lal. In realtà di rado usciva di casa. In genere giocava con la cuginetta Puja, 14 anni, figlia del fratello di Sohan Lal.
A mezzogiorno la mamma si mise a preparare il dal, il piatto tradizionale a base di lenticchie, e Mukti il pane. Il pomeriggio le due cugine andarono assieme al mercato. Pare che nel tragitto abbiano incontrato Pappu, un giovane di una casta nemica, che avrebbe regalato loro 20 rupie, circa 25 centesimi, per fare qualche piccolo acquisto.
Esistono molte versioni circa la morte delle ragazzine, la polizia indiana ha indagato per mesi sul caso. Un’ipotesi vuole che a violentare Mukti e Puja e impiccarle poi ai rami di un albero, siano stati dei giovani di un’altra casta. Secondo un’altra versione una delle ragazze avrebbe avuto una relazione con uno dei giovani e Sohan Lal stesso o un suo familiare, avendolo appreso, avrebbero ucciso le figlie per difendere l’onore della famiglia.

Il cavallino di Mukti
Che tipo era Mukti? La madre non capisce la domanda, Sohan Lal non sa rispondere. Cosa le piaceva fare nel tempo libero? La mamma mostra un cavallino che Mukti aveva costruito con vecchie custodie di plastica. Faceva sempre animaletti. La mamma tiene il cavallino in mano e inizia a piangere. A scuola andava bene. Le piaceva l’inglese. Hanno conservato qualche suo quaderno. Da grande voleva fare il medico. Forse dopo le elementari sarebbe andata alle superiori, chissà. Ma la scuola più vicina è a un’ora di macchina di distanza e oltre alla retta scolastica Sohan Lal avrebbe dovuto sostenere i costi del pernottamento, in tutto circa 10 euro al mese, forse troppi per lui. Con tutta probabilità Mukti non sarebbe mai diventata medico. Quell’ultimo giorno Sohan Lal, dopo il lavoro nei campi, andò al piccolo mattonificio dove svolgeva il suo secondo lavoro. Quando tornò a casa, la sera tardi, Mukti era già scomparsa, assieme a Puja. Era buio e avevano detto alla mamma che dovevano andare al gabinetto, cioè nel campo, perché a casa il bagno non c’è. Dato che erano femmine e non dovevano farsi vedere, andavano sempre quand’era buio. Si sbrigavano, avevano sentito raccontare storie di uomini che si appostavano per sorprendere le ragazze.
I giornali indiani sono pieni di cronache di violenze, ogni giorno. I titoli di prima pagina vanno agli stupri di gruppo a New Dehli, agli abusi sessuali in Uttar Pradesh è dedicato un articolo, alla ragazzina che si getta nel vuoto dopo giorni di violenze una colonna. L’India non si capacita della mentalità dei giovani maschi che pensano di poter abusare di una ragazza e poi ucciderla, come niente fosse. Spesso bambine di 9, 10 anni, sono violentate da ragazzi poco più grandi di loro. Molti indiani sono sconcertati, chiedono la pena di morte. Altri ignorano il problema, come se non li riguardasse.

L’agguato e l’ammissione
Le due ragazzine devono essere uscite di casa tra le 8 e le 9 di sera. Qualche minuto dopo hanno incontrato Pappu, il giovane che il pomeriggio forse aveva regalato loro qualche spicciolo. Pappu ha confermato la notte stessa di aver rapito le ragazze, specificando il luogo dove le aveva violentate. Sohan Lal conosce il posto, è tra la sua casa e l’albero, a portata di udito dal villaggio. Pappu non sarebbe stato solo: il teste chiave, che abita vicino, conferma la presenza di altri uomini. Si chiama Nazru, ha 25 anni e frequentava spesso la casa di Sohan Lal. Dice che era come uno zio per le ragazzine, a cui voleva molto bene. Quella sera era nel campo a radunare le mucche, udì le grida, corse in quella direzione, ma vide le ragazze solo da lontano. Urlavano aiuto, racconta, poi gli uomini le hanno trascinate via. Nazru riconobbe solo Pappu, che tirò fuori la pistola e gliela puntò contro. Rimase pietrificato dalla paura e nel frattempo le ragazze sparirono nel nulla. Andò a casa dei genitori e raccontò l’accaduto. Il padre di Mukti non era ancora rientrato, le madri delle ragazze chiesero aiuto ai parenti, uscirono nei campi chiamandole a gran voce. Nulla.
Tornato a casa Sohan Lal radunò una sessantina di persone, tra vicini e amici, per andare in cerca delle ragazze, gridando i loro nomi nella notte. Invano. Per la prima volta in vita sua Sohan Lal andò alla polizia. La maggior parte dei poliziotti appartiene alla casta Yadav, quella di Pappu. Uno Shakya non poteva aspettarsi molto da loro.
A Katra abitano meno di 200 Yadav, ma nello stato dell’Uttar Pradesh la casta è influente. Il capo del governo è Yadav. A dire il vero non è una casta alta, ma è da sempre attiva nel commercio, così molti suoi membri hanno accumulato ricchezze. Fino a qualche anno fa gli Yadav di Katra vivevano sulla sponda opposta del Gange, che scorre a poca distanza dal villaggio. Dopo che un’inondazione distrusse le loro case si trasferirono in paese. Hanno fama di essere brutta gente e nessuno vuole avere a che fare con loro, dice Sohan Lal.
I poliziotti dormivano quando Sohan Lal arrivò con il suo gruppo. Solo dopo un po’ il più alto in grado si alzò, era uno Yadav. Chiese a Sohan Lal la sua casta di appartenenza. Chiamò due sottoposti, anch’essi Yadav. Sohan Lal li supplicò di aiutarlo a ritrovare le ragazze. Le vostre figlie torneranno a casa, dissero. Interrogate Pappu, sono in mano sua, gridò Nazru, ma uno dei poliziotti lo schiaffeggiò.
Il superiore alla fine si convinse, non voleva storie, andò insieme al gruppo a casa di Pappu, lungo la via principale. Pappu fu prelevato e portato in commissariato. Volevano che confessasse. Lo picchiarono. Sohan Lal e gli altri assistettero. Infine Pappu confessò di aver violentato le ragazze e disse di sapere dove si trovavano. Torneranno a casa, promise. Vedi, disse il poliziotto a Sohan Lal, tornano a casa, ora lasciaci in pace. Un altro poliziotto, quello che aveva schiaffeggiato Nazru, mise in guardia Pappu: se finisci in prigione da stupratore ti tratteranno male, da assassino ti rispetteranno.
Passarono le ore, alle quattro del mattino delle ragazze nessuna traccia, Sohan Lal e i suoi continuavano a cercare, senza nessun aiuto da parte della polizia. Poi squillò il cellulare, era il fratello di Sohan Lal. Le ragazze sono morte, disse. Le abbiamo trovate, impiccate a un albero di mango. Stava facendo giorno, il cielo schiariva ma nulla era chiaro.

I dubbi dell’inchiesta federale
Quella di Mukti e Puja è anche una storia di povertà, di arretratezza culturale. Di vita in un villaggio indiano uguale nei secoli. Le ragazze abitavano in una casa col tetto piatto, in mattoni, già un lusso rispetto alle capanne di paglia. A Sohan Lal appartiene un terzo della casa, la stanza a destra. Nelle altre due camere vivono i fratelli, assieme alle loro famiglie. Il cortile è in comune ed è il luogo in cui ci si lava, si cucina, si dorme.Tutto in pubblico. Se un uomo e una donna vogliono fare sesso aspettano che il villaggio dorma per salire sul tetto della casa. Si amano in silenzio, velocemente, inosservati.
Gli abitanti di Katra sono circa 5000, rigidamente divisi in più di 25 caste. Il sindaco lo definisce un paese tranquillo. Sottolinea che “l’incidente”, ossia la morte delle due ragazze, è un evento eccezionale. Cosa manca a Katra? «Tutto», dice il sindaco. Non esiste una scuola superiore, dopo le medie Puja aveva dovuto lasciare gli studi. Non c’è un medico, solo uomini che hanno frequentato l’università e visitano per 20 rupie (25 centesimi) in piccoli locali sulla strada principale. Praticano le vaccinazioni, prescrivono antidolorifici. Se il malanno è serio mandano i pazienti nella città più vicina.
Chi non si può permettere di spendere deve convivere con i suoi acciacchi e le sue malattie. Chi non possiede terreni è disoccupato e deve andare in cerca di lavoro altrove. La zona di Katra è raggiunta da rete mobile e internet, ma ne usufruisce un abitante su venti. Uno su cinque ha il televisore o guarda la tv dai vicini di casa. Il divario digitale aggrava le divisioni create dal sistema delle caste. I privilegiati guardano YouTube e comunicano con Whatsapp, gli altri, tra cui Sohan Lal e la sua famiglia, ascoltano solo a volte la radio. I giovani dell’élite sono emancipati, gli altri non hanno la minima idea del sesso. Vivono tutti nello stesso villaggio, ma i privilegiati, la minoranza, guardano gli altri dall’alto in basso. E i ragazzi, anche i poveri, hanno più occasioni di imparare rispetto alle ragazze. Possono muoversi liberamente, mentre le femmine rimangono perlopiù a casa. I maschi si sentono superiori.
Sohan Lal, per diffidenza nei confronti dei poliziotti locali, chiese aiuto alla polizia federale rivolgendosi al CBI (Central Bureau of Investigation), un’autorità che gode di fiducia tra la popolazione. Sperava nel loro intervento risolutivo. Pappu fu sottoposto a detenzione preventiva e iniziarono le indagini. Ma le cose andarono diversamente da come aveva immaginato. Il CBI giudicò strano il fatto che Sohan Lal e il fratello avessero tenuto nascosto il cellulare che usava tutta la famiglia. Anche Puja. Quando lo consegnarono alle autorità era semidistrutto. Gli inquirenti trovarono centinaia di chiamate di Pappu. In paese si vociferava che Pappu avesse una relazione con Puja. Sohan Lal si disse ignaro, spiegò che con il cellulare sapeva solo chiamare e rispondere alle chiamate. Una volta, in preda alla rabbia, aveva scagliato il cellulare contro il muro, per questo era rotto.
Che reazione avrebbe avuto la famiglia se avesse saputo della relazione tra i due giovani? «Avrei consigliato a Puja di sposare il ragazzo», dice Sohan Lal. Il CBI giudicò anche sospetto che non fossero risultate tracce di dna maschile sugli abiti delle ragazze e di dna femminile su quelli di Pappu. I genitori spiegano la cosa sostenendo che fu la polizia locale a mandare gli abiti ad analizzare. Il CBI, incerto sulla versione fornita da Sohan Lal, sottopose i membri di entrambe le famiglie al test del poligrafo, la macchina della verità: È mai stato a Mumbai?... è mai stato al cinema?... si è mai seduto su una sedia? Infine: come ha ucciso le ragazze?
Sohan Lal e il fratello non superarono il test. Pappu sì. Nazru, il testimone chiave, col moltiplicarsi degli interrogatori ha cambiato versione. Oggi ci dice che quella notte Pappu non lo aveva minacciato con un’arma: era fuggito per timore che avesse un’arma. Non ricorda più che ci fossero altri uomini con Pappu, né che abbiano trascinato via le ragazze. Ora dice che Pappu era solo.
Aveva detto che le ragazze urlavano. Ora sostiene di non ricordarlo più. Ha ammesso di essere andato poi a casa dei genitori delle ragazze, ma solo per avvisarli che nel campo c’erano i ladri. Solo due ore dopo raccontò delle ragazze. Nazru, a quanto pare, era geloso di Pappu, che aveva molte occasioni di contatto con le due cugine. Forse, si dice, anche Nazru quella notte le insidiò, e Pappu si mise di mezzo. Gli chiedo come avrebbe reagito sapendo che Puja aveva una storia. «Non si fa», dice Nazru, «le ragazze non fanno queste cose. Forse l’avrei picchiata».

L’ombra del delitto d’onore
Dopo qualche settimana i giornali avanzarono l’ipotesi del delitto d’onore. Sembrava che le indagini fossero orientate verso Sohan Lal e la sua famiglia. Furono loro a uccidere le ragazze per via della relazione segreta di Puja? O fu Nazru, per gelosia? O il padre di Pappu, descritto in paese come individuo pericoloso, da cui ci si può aspettare di tutto?
Si dice che qualche anno fa abbia bruciato vivo il fratello perché voleva prendersi la sua casa. Mentre lo sfortunato agonizzava tra le fiamme lui lo prendeva a calci. Il padre voleva proteggere Pappu che aveva violentato le ragazze?
La sua casa si trova all’ingresso del villaggio, cinque minuti a piedi da quella di Sohan Lal. Una costruzione in mattoni, sporca, non pavimentata.
Eccolo accanto al fuoco Veere SinghYadav, vicino ai sessanta, ma nemmeno lui ha mai contato i suoi anni. Vicino a lui c’è la moglie, visibilmente traumatizzata. Quando Pappu è stato arrestato, Veere Singh è fuggito sull’altra sponda del Gange, temendo la vendetta della gente del villaggio. La madre quindi si è trovata da sola per la prima volta nella sua vita. Non si è più ripresa. Manca Pappu attorno al fuoco, il principale indiziato. Suo padre lo proteggerà sempre, dirà che era a lavorare nel campo. Lo nasconde?
Questa mattina Veere Singh si mette in cammino per raggiungere Pappu sull’altra sponda del fiume. Porta con sé, come sempre, un lungo bastone. È un gran camminatore. Non vuole che lo seguiamo, ma va avanti lo stesso. Si arrabbia quando tentiamo di fotografarlo, urla, ci minaccia con il bastone. Per molti minuti rifiuta di muoversi, considera il nostro comportamento una sfida alla sua autorità. Dice di non sapere cosa sia successo quella notte, ma secondo lui possono essere stati solo i familiari a uccidere le ragazze. Un omicidio per salvaguardare l’onore della famiglia?
Questa ipotesi viene smentita dal fatto che quasi tutto il parentado all’ora presunta della morte delle cugine, stabilita dall’autopsia tra l’una e l’una e trenta del mattino, era impegnato nella ricerca, durata tutta la notte.
L’unico a non avere un alibi è Veere Singh. Dice che era nel suo campo, ma nessuno può confermarlo. Arrivato al fiume, si lega il lungi sopra la testa, e guada il corso d’acqua a piedi e a nuoto. Sull’altra riva lo accoglie Pappu.
Sohan Lal dice che Pappu ha una cattiva fama, sarebbe molto aggressivo, un giovane che si prende quello che vuole, proprio come il padre. In paese lo dipingono come un uomo, in realtà è un ragazzo. Dovrebbe avere all’incirca 15 anni. Timido, ubbidiente. Interessato soprattutto al lavoro dei campi, dicono. Poi veniva il bestiame, quindi la famiglia.

Qual è la verità?
La verità è la paura dipinta sul volto di Pappu quando, per la prima volta da quella notte, torna a casa dei genitori. Ha paura anche lui della gente del villaggio. «Credo in Dio», dice, «credo nella giustizia». Nessuno gli ha fatto del male. Come è stato in prigione? Con quanti detenuti ha diviso la cella? «Non lo so, non so contare».
Forse dopo la lite con Nazru, Pappu tornò a casa e raccontò al padre di aver messo le mani addosso alle ragazze. Non sapeva neppure bene cosa fosse uno stupro, forse si sentiva colpevole senza ragione. Magari Pappu teneva prigioniere le ragazze senza avere intenzione di ucciderle, ma ci ha pensato poi il padre. Pappu, secondo te perché la gente ti giudica colpevole? «Non lo so, davvero. Spero solo in dio». Poi scappa, sbatte la porta e sparisce. In paese si dice che gli Yadav hanno soldi e possono mandare i figli alle scuole migliori e poi alle superiori ma, a differenza di Mukti e Puja, Pappu non è mai andato a scuola.
Sei mesi dopo quella notte di morte la polizia federale ha reso pubblico l’esito delle indagini, che esclude lo stupro. Le ragazze si sarebbero suicidate. Cosa sia successo prima nessuno lo sa. Può essere che Mukti e Puja si siano arrampicate su quell’albero così alto e, in equilibrio precario, abbiano avvolto le sciarpe attorno al collo e a un ramo sottile per lasciarsi poi cadere nel vuoto? Perché?
La mattina dopo quella notte d’estate Pravesh, un ragazzo che abita vicino alla casa delle due cugine, si svegliò alle cinque al pianto delle donne. Prese la sua Kodak e uscì di casa diretto ai campi. Si fece largo tra la folla e arrivò fin sotto l’albero da cui penzolavano i corpi senza vita delle due ragazze. Pravesh ha un negozio di materiale fotografico e fa il fotografo ai matrimoni e ai compleanni. Quella mattina fu colpito dai volti delle persone radunate attorno all’albero. Erano centinaia, soprattutto uomini. Avevano mandato via le donne e i bambini. Scattò una foto, poi decine di altre. Persone sconvolte, o semplicemente curiose. Fotografò Sohan Lal che guardava la figlia, esposta agli occhi di tutti. Fotografò sua moglie, la madre di Mukti, prostrata.
Per evitare che la polizia rimuovesse i cadaveri per nascondere il delitto, la gente restò accanto all’albero fino al pomeriggio. Poi l’immagine delle ragazze sconvolse il mondo. A New Dehli la gente scese in piazza. Il segretario generale dell’ONU condannò l’accaduto. Fu un momento. Poi il monsone ben presto ricopri d’acqua i cadaveri di Mukti e Puja, sepolti nel letto asciutto del Gange.
Traduzione di Emilia Benghi