Mara Accettura, D, la Repubblica 9/5/2015, 9 maggio 2015
DARIA SCRITTRICE SI DIVENTA
[Daria Bignardi]
[dati, anagrafici, alla fine]
Inutile girarci intorno: se dici Daria Bignardi pensi soprattutto a Le Invasioni barbariche, il talk show che ha fatto per anni su La7 (interrotto da poco per calo di audience o stanchezza del format a seconda della campana ascoltata). Anche dopo quattro romanzi – Non vi lascerò orfani, Un karma pesante, L’acustica perfetta, L’amore che ti meriti, tutti Mondadori – e con il quinto in uscita, il 12 maggio: Santa degli impossibili. Anche dopo che i romanzi precedenti hanno avuto alte tirature, buone recensioni, promozione tv che aiuta sempre. E anche se lei lo dice in tutti i modi, che il suo “karma” è scrivere e nell’ultimo libro, 96 pagine su una donna in crisi alla soglia dei 40 anni raccontata con grande acume e una sensibilità molto poetica, ce la mette tutta per dimostrarlo.
Arriviamo nell’appartamento milanese che condivide con Luca Sofri e i figli (Ludovico, avuto dal primo marito, Nicola Manzoni ed Emilia), per un tè. Bignardi, camicetta di seta, pantalone nero e ballerine, ci accoglie sorridente e senza trucco, poi apparecchia carinamente nel suo studio, tanti libri, tante fotografie, un vassoio con tazze giapponesi e l’English Breakfast (non ne berrà una goccia, io in compenso lo verserò sulla pelle di zebra).
Mila, la protagonista di Santa degli impossibili, è una donna che nella vita avrebbe voluto fare altro, forse occuparsi di animali, forse di detenuti, comunque di creature deboli, ma si è ritrovata con un marito e una famiglia sulle spalle. Una tipa poco determinata, evanescente, mistica e a suo modo sconfitta. Siamo curiosi. Chiediamo cosa l’ha affascinata di questo personaggio che sembra il suo esatto opposto: una donna ambiziosa, vincente, che è concretamente riuscita ad arrivare dove voleva: dal mondo della carta stampata alla tv, alla letteratura. «Sembra», sorride lei sibillina. «Non è che mi stupisco di dovere fare i conti con la mia immagine più nota. In realtà quello di cui parlo mi è molto familiare, ha molto a che fare con me. Se lei avesse letto...».
Ecco. Se avessi letto Non vi lascerò orfani, la sua biografia... Ma, faccio notare, la sua biografia è in rete. È arrivata a Milano nell’84 dalla provincia, Ferrara, per fare la giornalista. Un giorno si è presentata da Giordano Bruno Guerri, che cercava una photoeditor, dicendogli che era il suo mestiere anche se non ne capiva nulla. Poi, dopo il praticantato, su suggerimento di Lucia Annunziata ha lavorato con Gad Lerner per Milano Italia, che l’ha lanciata verso altri orizzonti: Corto circuito, Tempi moderni, Il grande fratello, Le invasioni barbariche. Senza tralasciare la direzione di Donna e collaborazioni con Vanity Fair. Voilà, una ragazza molto determinata. «O molto disperata», dice lei ridendo. Non ha granché voglia di parlare di tv. «Io ho scritto il mio primo romanzo a 7 anni. Davvero. Ero in seconda elementare e si intitolava Le illusioni perdute. Venivo da una famiglia molto normale, mia madre maestra, mio padre rappresentante. Non era umanamente prevedibile che uno facesse lo scrittore di mestiere. Non l’ho mai pensato però era quello che sentivo e io ci ho messo moltissimo tempo per arrivare a fare quello che mi corrisponde davvero. Ho cominciato col giornalismo perché era più semplice: leggere e scrivere mi è sempre stato familiare. Dieci anni da freelance barra disoccupata e il caso ha voluto che mi chiedessero di fare l’inviato su quel programma per Rai2 e io che non mi ero mai sognata di fare qualcosa in tv...».
Ha avuto un riscontro inaspettato. A quel punto non ci pensava più a fare narrativa. «Mi sembrava inelegante, fuoriluogo avere successo in video e rifilare un romanzo. Ho sempre avuto un’idea alta della letteratura: se leggi tanto capisci chi sono quelli bravi e non ti viene nemmeno in mente di metterti in gioco».
La svolta è avvenuta con Non vi lascerò orfani, nel 2009, nato sull’onda della morte della madre. Il libro, racconta, «ebbe la fortuna di piacere a Goffredo Fofi, che è molto esigente». E l’ha consacrata scrittrice. Il pubblico invece ce l’aveva di default. Da allora Bignardi ha alternato i suoi impegni televisivi con quelli letterari. «È ovvio che ho la “lettera scarlatta” della tv, all’inizio questo era un problema perché c’è un pregiudizio, anche io non comprerei mai un romanzo di uno che vedo in televisione. Adesso ci ho fatto i conti, perché al quinto libro cominci a capire chi sei e che ci può essere un’anomalia». Rinnega la tv? «No, non rinnego e non dico che non ero io. Il lavoro di gruppo mi piace, come mi piace raccontare le storie delle persone, il filo rosso di quello che faccio. Anche se scrivere un programma è diverso da scrivere narrativa. Magari rifarò Le invasioni barbariche, ma la tv nella mia vita ha un ruolo sempre più piccolo, mentre i lettori cominciano a essere una realtà importante e anche il mio percorso è più solido: ci sono persone che non mi guardano in video, mi leggono e basta».
Bignardi si definisce una persona molto empatica, cosa che viene fuori dai suoi libri, con un’«ipersensibilità che mi fa entrare in contatto abbastanza in profondità col prossimo» ma in tv si è spesso distinta per un mix irresistibile di seduzione e cattiveria. C’è un personaggio a cui vorrebbe chiedere scusa? «C’è sicuramente, ma non me ne viene in mente uno», riflette invano. Il momento più imbarazzante? «Quando chiesi ad Alemanno di mostrare la croce celtica. Lui lo fece ma poi mi disse che gli avevo usato violenza o qualcosa del genere. Mi dispiacque perché bastava che lo dicesse. Normalmente dai per scontato che i politici abbiano le spalle larghe, hanno molto più potere di te». Non in quel caso. È rimasto storico anche un suo duetto (esilarante) con Barbara Palombelli in cui le due, schermate da sorrisi di circostanza, si prendevano le misure come tigri pronte ad azzannarsi. «Non mi ricordo», scuote la testa. «Ma va bene. Le interviste con un po’ di tensione sono le più belle e con Barbara eravamo sicuramente alla pari». Non fa mistero dei suoi difetti. Il peggiore? «L’impazienza. Ne ho anche altri. Tendo alla prepotenza. Vorrei essere più riflessiva».
Bignardi si è sposata con Luca Sofri nel ’94, a 43 anni. Per i sentimenti ha sempre provato una naturale diffidenza. «Per insicurezza», dice. «Ho avuto una mamma che mi ha rovinato, perché era di quelle che ti danno due sberle e subito dopo ti fanno un regalo meraviglioso. Un amore travolgente che mi ha fatto soffrire con la sua irrazionalità totale. La sua ansia ossessiva era borderline con la malattia psichiatrica che ha condizionato la mia esistenza e quella di mia sorella Donatella. Per sopravvivere dovevo scappare via da lei. Quando hai questo tipo di esperienza stai attenta, perché se qualcuno ti ama in modo normale ti sembra poco e quindi per non soffrire è meglio non amare, no?».
Il rapporto con Luca «non è né facile né tranquillo, siamo molto diversi, lui razionale io sentimentale, ma credo molto profondo. È arrivato tardi ma per fortuna è arrivato», dice. Sofri dirige il giornale online Il Post. Rivalità? «Nessuna. Siamo sempre stai in ambiti diversi. Lui è un giornalista, io mi reputo più un autore. A lui interessa la verità della notizia, a me la storia, l’emozione». Quali sono i vantaggi e i problemi di aver sposato il figlio di un intellettuale che rappresenta un pezzo difficile di storia d’Italia? «Quando ho incontrato Luca, Adriano era in carcere poi è stato tanto tempo agli arresti domiciliari. Una cosa eccezionale che per noi era normale. Emilia lo ha conosciuto lì. I vantaggi sono avere un nonno che è una persona intelligente, affettuosa con straordinarie doti morali. Gli svantaggi, che ha tanti nemici, e inevitabilmente diventano i tuoi. Però chi se ne frega».
Santa degli impossibili si riferisce a Santa Rita, la santa che si sposò contro il suo volere, rimase 12 anni con il marito e, quando lui venne ammazzato, riuscì a seguire la sua vocazione: entrare in convento con un volo magico. Che rapporto ha con la spiritualità? «Profondo. Mi chiedo sempre il motivo di quello che accade e ora che invecchio tutto sembra legato. Oggi capisco che il mio destino era scrivere, ma dovevo passare attraverso una serie di eventi. C’entra col fatto che mia madre era studentessa di lingue e letteratura russa e sua madre una grande lettrice con un certo sguardo sul mondo. Niente mi sembra un caso, anche il fatto che a 6 anni stessi a casa in una Ferrara nebbiosa a leggere otto mesi all’anno i romanzi dell’800. E li leggessi e rileggessi provando emozioni forti. Sono esperienze che ti fanno diventare quello che sei». Così la storia di Santa Rita sembra un po’ il paradigma della sua: sposata al video per caso, segnata dalle sue stigmate e ricongiunta al proprio daimon dopo un lungo volo.
Le date
1961 Nasce il 14 febbraio a Ferrara.
1991 Esordisce con Milano, Italia
1995 Conduce la rubrica di libri A tutto volume
2000 La prima edizione de Il grande fratello su Canale 5 ha ascolti record. Vince il Telegatto.
2004 Idea e conduce per La7 Le invasioni barbariche. Vince il Telegatto. Sposa Luca Sofri.
2009 Torna in Rai con L’era glaciale. Non vi lascerò orfani (Mondadori) vince il premio Elsa Morante per la narrativa.
2010 Riprende Le invasioni barbariche e pubblica Un karma pesante
2012 Esce L’acustica perfetta
2014 L’amore che ti meriti
2015 Interrompe Le invasioni barbariche. Pubblica Santa degli impossibili (Mondadori, 12 euro, in libreria dal 12 maggio)