Fabio Ferzetti, Il Messaggero 10/5/2015, 10 maggio 2015
PASOLINI, CASO ANCORA APERTO
«Ho conosciuto Pasolini che avevo nove o dieci anni. Era amico di mio padre e della sua compagna Lorenza Mazzetti, scrittrice e regista. Poi l’ho frequentato a lungo. Ho fatto l’attore e l’aiuto volontario in Teorema. Gli sono stato accanto, da giornalista dell’Unità, in tante battaglie contro la censura. Di me si fidava perché avevo due anime, diceva, una borghese e una di strada. Il 2 novembre 1975 sono stato tra i primi ad arrivare sul luogo del delitto con il medico legale Faustino Durante, che conoscevo bene anche perché allora stavo con sua figlia Bruna. E anche se non ho le prove, io so come è morto Pasolini. Lo sanno in tanti, anche se fingono di non saperlo. Lo so e farò in modo che si riapra il processo, malgrado i tre gradi di giudizio». David Grieco è un fiume in piena.
Romano, 63 anni, giornalista, sceneggiatore, regista (era suo Evilenko, insolito fanta-docu-thriller sul mostro di Rostov, con Malcolm McDowell), a Pasolini pensava da anni, con il tumulto di sentimenti contraddittori che segue sempre la fine tragica di una persona cara. Poi si è deciso, tuffandosi tra le carte, le voci, gli indizi, gli atti giudiziari. Risultato: un libro e un film con lo stesso titolo, La macchinazione, ma molto diversi. In uscita a fine agosto per Rizzoli, «il libro inizia dove finisce il film» ed esplora con passo da inchiesta, anche se in prima persona, i retroscena di «un intreccio giuridico, politico e culturale lungo quarant’anni». In predicato per Venezia, con Massimo Ranieri nei panni del poeta («lui stesso era stupito della loro somiglianza»), il film si concentra su Pasolini e il suo assassino, Pino Pelosi. Per smontare le tesi ufficiali fondendo indagine e invenzione. «La macchinazione si apre con una scena di sesso, l’unica del film», dice Grieco. «Voglio uscire dai Pasolini grotteschi e caricaturali visti tante volte al cinema. A me interessa stabilire che nel maggio ‘75, quando il Pci alle elezioni quasi raggiunse la Dc, Pasolini già conosceva e frequentava Pelosi. Altro che marchetta di una notte! Pelosi fu un’esca, serviva a attirarlo in trappola. Pasolini andò a Ostia perché si fidava di lui. Doveva trattare la restituzione delle bobine del suo ultimo film, Salò, rubate dalla Banda della Magliana per fare un favore a qualcuno e intimidirlo. E lì fu massacrato da almeno cinque o sei persone. Professionisti. Era tutto pianificato. Lo picchiarono stando attenti a non procurargli ferite mortali. A ucciderlo doveva essere Pelosi, passandogli sopra con la sua Alfa Romeo.
Ma di auto in realtà ne furono usate due. Quella del delitto, uguale a quella di Pasolini, fu ritrovata solo nel ‘76 all’aeroporto di Fiumicino. Era stata riparata da un carrozziere, semidistrutta, e abbandonata lì da un certo Antonio Pinna. Uno dei drivers della banda della Magliana, sparito proprio nel giorno in cui il giudice convoca i fratelli Borsellino, due delinquenti iscritti al Msi che in carcere si erano vantati di aver ucciso loro Pasolini... I Borsellino ritrattano. Intanto Pinna scompare. Ancor oggi non si sa se è vivo o morto. Altre coincidenze? Pinna conosceva Pasolini fin da bambino. Abitava nel suo palazzo a via Fonteiana, a Monteverde». Da brivido, ma è solo l’inizio. «Pinna ha un figlio illegittimo, che ignora chi sia suo padre. Quando lo viene a sapere scopre anche che su quel padre misterioso c’è un voluminoso fascicolo al Ministero degli Interni. Secretato. Ecco, io ho fatto il film per far riaprire quel fascicolo. Del resto, anche Pelosi oggi dice che lui fece solo da esca. Ma non può dire tutto, lavora per la cooperativa 29 giugno, quella di Carminati...».
INCRIMINAZIONE
Il peggio, insiste Grieco, è che tutto questo è noto da sempre. Ma nessuno lo aveva inquadrato nel clima politico-criminale dell’epoca. «Il giudice di prima istanza, Carlo Alfredo Moro, fratello di Aldo, incriminò subito Pelosi per favoreggiamento. Gli autori dell’omicidio erano ignoti. Poi in appello, guardacaso, gli ignoti sparirono. A Ostia, quella mattina, Faustino Durante mi disse subito: è stata una mattanza. Ma la scena del delitto era già piena di poliziotti, curiosi, ragazzini che giocavano a pallone e avevano calpestato tutta l’area. La Fallaci si fece raccontare com’era andata dall’abitante di una delle casupole circostanti. Fu rinviata a giudizio e condannata perché non rivelava la fonte. E l’Ordine dei Giornalisti non mosse un dito per difenderla! Uno dei peggiori traumi della sua vita». Tornando a Pinna, «anche lui, come Pelosi, non sapeva che ruolo avrebbe avuto. Lo scopre solo all’ultimo. Gli regalano l’Alfa, ma non sa a cosa servirà. Sono tutti presi in una storia più grande di loro. Infatti il delitto, che occupa la mezz’ora finale del film, è puro panico. Gli esecutori sono pieni di coca e adrenalina. Fanno una quantità pazzesca di errori. Se l’hanno fatta franca fino a oggi è solo perché qualcuno li proteggeva. Qualcuno di molto importante. Che voleva tappare la bocca all’autore di Petrolio...». Insomma, argomenta Grieco, scordiamoci per sempre la pista omosessuale, con Pasolini che in qualche modo «va incontro al suo destino» (tesi fra gli altri del pittore e amico di Pasolini, Giuseppe Zigaina). Nossignori: per Grieco gli indizi portano tutti in una direzione. «Nel film dò un volto a Giorgio Steimetz, lo pseudonimo con cui venne pubblicato il famoso pamphlet Questo è Cefis, che lo stesso Cefis fece sparire ma Pasolini saccheggia in Petrolio, come si è scoperto di recente. È un’invenzione, l’identità di Steimetz (sullo schermo Roberto Citran) resta un mistero e “Paolo” Grieco chiama Pasolini sempre così non lo incontrò mai. Ma chiarisce tante cose. Pasolini cercava le prove e forse le aveva trovate. Su Petrolio infatti era abbottonatissimo. Ricordo le urla di Laura Betti, un giorno: digli di smetterla con questo libro, non capisce in cosa si è cacciato, questi lo ammazzano!». “Questi”, naturalmente, nel film non si vedono, o quasi. Si vedono gli altri. Il sottobosco, la manovalanza. I delinquenti gonfi di coca e quattrini che in quegli anni si mettevano a disposizione. «Io li conoscevo bene» ricorda Grieco, «qualcuno anche di persona perché avevo la passione dei cavalli, frequentavo ippodromi e sale corsa. Credo di sapere grossomodo com’è andata. Il caso si deve riaprire. E si riaprirà. Ciliegina: la colonna sonora de “La Macchinazione” sarà il celeberrimo Atom Heart Mother dei Pink Floyd ottenuto ad un prezzo davvero “politico” vista la risonanza mondiale che continua ad avere il “caso” Pasolini.