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 2015  maggio 10 Domenica calendario

WILDE: «PALUDI A NEW YORK»

Alla vista del traghetto della Pennsylvania che scivolava dondolando verso Jersey City poco prima dell’ una di ieri pomeriggio, la folla che si era raccolta sul molo ha mormorato: «Ecco Oscar Wilde». La statuaria figura dell’apostolo dell’estetismo, avvolto nel suo soprabito verde oliva bordato di pelliccia di lontra, la faccia larga illuminata da un sorriso e incorniciata da lunghi boccoli castani scomposti dal vento, era ben in vista in prima fila tra i passeggeri che premevano contro il parapetto della nave. Ha indubbiamente apprezzato il suo viaggio all’aria aperta sulle acque rossastre dell’Hudson, perché gli brillavano gli occhi ed era molto colorito mentre ad ampie falcate distanziava la folla newyorchese, nota per la velocità con cui scende dal traghetto, e anche il suo servitore, rimasto indietro a vedersela con il grosso bagaglio. È entrato nella stazione e si è messo ad aspettare il rapido per Philadelphia. Sono esausto ha detto A New York sono stato accolto così bene e molti mi hanno ricevuto con un calore tale che ovviamente ho voluto salutare più persone possibile prima di partire. Questo è il suo primo viaggio in treno in America, o sbaglio? «Sì, questa è la prima volta che viaggio su un treno americano. È così veloce, molto più veloce dei treni in Inghilterra. Sono pochi i treni inglesi veloci: il treno per Edimburgo e quello per Liverpool. E poi non sono così confortevoli. Nel nostro Paese ci sono solo due o tre vagoni come questo con un ampio gesto del braccio ha indicato il suo vagone di lusso Non mi piace attraversare un Paese a questa velocità. L’unico modo per conoscere davvero un Paese, sa, è in groppa a un cavallo».
È contento del modo in cui è stato ricevuto negli Stati Uniti?
«Oh sì, molto. Deve sapere che la notte prima di sbarcare mi sono chiesto come sarei stato accolto, considerando la massa di falsità fuorvianti che deve avermi preceduto, e se la gente avrebbe voluto conoscermi per come sono davvero. Ma il poeta deve essere indifferente alle critiche, come pure alle lodi. Le merita solo molto tempo dopo la sua morte». Quali sono i suoi progetti per lo sviluppo dell’estetismo in America?
«È ancora impossibile definirli. In questa prima conferenza, che sto per tenere, cercherò di spiegare lo spirito delle nostre teorie artistiche. Per quanto riguarda la forma che assumeranno, potrò parlarne solo nella seconda conferenza, quando avrò preso confidenza con il Paese, con i suoi materiali artistici e le sue potenzialità, oltre ad apprezzare il suo spirito nazionale. Ad esempio dovrò imparare quale legno usate per i vostri soffitti, e innumerevoli altre cose di questo tipo. L’arte si differenzia da luogo a luogo, e da persona a persona. Ciò che funziona in Inghilterra può non essere adatto qui. Per il momento posso solo insegnare i principi generali. La loro applicazione finale verrà poi».
Qui il poeta si è messo a fissare qualcosa fuori dal finestrino, pensoso. Il giornalista ha suggerito l’idea che forse la sua conoscenza del paesaggio americano era ancora molto limitata. «È così è stata la sua risposta ma quello che ho visto mi è piaciuto molto. Ma non ci si può aspettare del colore in inverno, quando ogni cosa è così deprimente e cupa. Le paludi in questa parte di New York sono orribili. Che peccato! Poi sono inutili. Potrebbero piantarci qualcosa: cose bellissime possono crescere nelle paludi. Perché non piantare delle distese di calle? Capite perché amo così tanto i gigli, le rose e i girasoli? No? Sapete, il girasole è il fiore decorativo per eccellenza. In casa forse è troppo grande e fulgente. Ma come sono belle le file di girasoli nei giardini, piantati vicino ai muretti, o i grandi mazzi di girasoli! Questo fiore ha una forma perfetta».
Vorrebbe insegnare a vedere questa bellezza anche alla “gente comune”, anche ai più poveri, e innalzare così il livello della loro esistenza?
«Le due categorie a cui dobbiamo rivolgerci direttamente sono quella degli artigiani e quella degli artisti. Per quanto riguarda la categoria che sta in mezzo, quella degli inattivi, ricchi o poveri che siano, non ha senso andare da loro e dirgli “Devi fare questo, dovresti fare quest’altro”. Dovranno essere prodotti molti og getti prima di poter sperare di influenzare la massa. Gli artigiani dovranno essere coordinati dagli artisti, e gli artisti dovranno essere ispirati da motivi autentici. Potremo lavorare solo attraverso queste categorie».
Parlando di moda, che ne pensa dei nostri modelli americani?
«La bellezza americana mi affascina. I tratti delle americane possiedono una delicatezza ben superiore a quella delle signore inglesi. Questa curva è affascinante ha detto Mr Wilde passandosi il dito dalla guancia al mento è molto particolare. Ma a mio parere i colori delle signore inglesi sono più intensi e caldi. Ho visto recitare Clara Morris qui a New York una sera e mi è piaciuta al pari di Sarah Bernhardt, che mi ha detto molto del suo fascino. Da quando sono arrivato ho incontrato molte giovani donne straordinariamente belle».
Quali sono le sue opinioni politiche, Mr Wilde, liberali o conservatrici? «Oh, sono questioni che non mi interessano. Per me esistono solo due definizioni: civiltà e barbarie e io sto dalla parte della civiltà. È molto strano che alla House of Commons non si senta mai parlare di civiltà. Passano giorni interi a discutere di sciocchezze quando dovrebbero lavorare per combattere la barbarie. Nel nostro Paese poi le leggi favoriscono quasi sempre certe classi. E forse è questo che inasprisce il vile spirito di parte».
Qual è il poeta americano che ammira di più? «Credo che Walt Whitman ed Emerson abbiano dato al mondo molto più di altri. Spero tanto di poter incontrare Mr Whitman. Probabilmente non è molto conosciuto in Inghilterra, ma lì i poeti vengono apprezzati solo dopo la morte».
In quel momento il treno ha raggiunto Trenton e Robert E. Winner si è aggregato al gruppo. La conversazione si è fatta più generale. Via via che si avvicinava a Philadelphia, Mr Wilde si dimostrava sempre più curioso delle cose nuove che vedeva. Ha ascoltato con vivo interesse la spiegazione su un lungo convoglio di vagoni cisterna. Non ha detto tuttavia se li trovasse belli. Ha intravisto il Fairmount Park e gli è tornato il sorriso. Era molto emozionato mentre il treno percorreva i binari sopraelevati e gli è piaciuta molto la stazione di Broad Street. Quando la sua figura imponente ha attraversato la sala d’attesa, molta gente ha commentato sottovoce. Ma l’esteta si è fiondato in un taxi ed è arrivato in un baleno all’Aldine Hotel dove alloggerà. (“Philadelphia Press”, 17 gennaio 1882)

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Quando sbarcò a New York il 3 gennaio 1882 al funzionario della dogana che gli chiese se avesse qualcosa da dichiarare Oscar Wilde rispose: “Nulla eccetto il mio genio”. Appena ventiseienne, con una fama ancora modesta nel Regno Unito, aveva accettato l’invito di un impresario teatrale a tenere un ciclo di conferenze utili a pubblicizzare “Patience”, un musical che si prendeva gioco degli esteti. Wilde rimase negli Usa per quasi un anno, fu protagonista di oltre cento incontri e quando tornò in patria era una star internazionale grazie agli articoli apparsi sui quotidiani di entrambe le sponde dell’Atlantico. Ora i colloqui con i reporter statunitensi escono in Italia, curati da Edoardo Rialti per Lindau (Interviste americane, 275 pagine, 23 euro) di cui anticipiamo un estratto. Il viaggio gli fruttò 11mila dollari (centomila euro di oggi) e lo rese celebre a Londra dove al rientro nella capitale prese a frequentare i migliori salotti. Persino un gruppo di minatori si entusiasmò per le sue idee, lodandolo anche per la capacità di reggere come loro una robusta dose di alcolici. Nei dialoghi con i giornalisti troviamo molte opinioni letterarie, in particolare elogi per Hawthorne e per l’amatissimo Whitman. In appendice al volume c’è un articolo in cui racconta le impressioni sul paese visitato. Tra le cose che lo colpirono un cartello appeso in un saloon: “Non sparate sul pianista, fa quello che può”.
Roberto Bertinetti