Alessandro Longo, Il Sole 24 Ore 10/5/2015, 10 maggio 2015
REGOLE PER OGGETTI CONNESSI
Ben presto potremmo ritrovarci in case, auto e città connesse a reti mondiali, in grado di darci tante cose, ma allo stesso tempo di mettere a rischio, insieme alla privacy e alla sicurezza, la nostra libertà. Dietro le grandi promesse dell’internet delle cose, si materializza infatti il pericolo di nuovi potenti monopoli. Andiamo verso la nascita di grandi ecosistemi chiusi, frutto di accordi globali tra pochi colossi (produttori di auto, di gadget, di apparati vari) e operatori mobili. Ed è davvero un potere enorme, da consegnare nelle mani di uno sparuto numero di aziende, se si considera che l’internet delle cose non è altro che il potere della rete che si diffonde tutto intorno a noi. Nel mondo fisico dove abitiamo (e che ci abita) ogni momento.
Sono timori tutt’altro che astratti. Hanno anzi ormai acquisito concretezza, essendo entrati a pieno titolo nel radar degli addetti ai lavori e delle istituzioni preposte. Un primo passo può essere considerato la recente pubblicazione dell’indagine conoscitiva dell’Agcom (Autorità garante delle comunicazioni) sull’internet delle cose, dove si paventa appunto la nascita di ecosistemi chiusi in cui l’utente perde il diritto a standard, interoperabilità dei prodotti e a cambiare operatore mobile di riferimento per i propri ambienti connessi (case, auto, ospedali, aziende…). Insomma, è la perdita di tutto ciò a cui siamo abituati ad avere sulla normale internet e a cui magari nemmeno badiamo.
Agcom - come annunciato in un’indagine conoscitiva appena prodotta - si appresta ad affrontare il tema attraverso il “Comitato permanente sul M2M” (machine to machine, ossia le connessioni internet delle cose), che istituirà con i principali attori del settore, e attraverso accordi bilaterali con altre autorità, come l’Antitrust.
Non solo: «La mia proposta di legge sulla neutralità della rete riguarda anche l’internet delle cose», dice Stefano Quintarelli (deputato di Scelta Civica, noto esperto del settore). Proposta che ha fatto questa settimana un primo passaggio alla Camera con l’avvio dell’esame.
La sensazione è però che solo nel contesto normativo europeo sarà possibile risolvere il dilemma. «L’arena più appropriata al momento sembra quella del pacchetto di regole Telecom Single Market (Tsm), che affronta i temi della neutralità e del roaming (su rete mobile)», dice Antonio Nicita, commissario Agcom che ha seguito la questione. Il regolamento Tsm (da non confondere con il Digital single market approvato in settimana dalla Commissione europea) adesso affronta il rimpallo di modifiche tra Consiglio e Parlamento europei. Non si occupa esplicitamente di internet delle cose (quando la Commissione europea l’ha concepito, non poteva prevedere questi sviluppi). Tuttavia, il concetto di neutralità della rete è così ampio che potrebbe includere anche gli oggetti connessi. E anche se il Tsm parla solo di roaming di persone che si muovono all’interno della Ue, «a livello europeo appare convergente la scelta di applicare il Regolamento anche nel caso del M2M», si legge nell’indagine Agcom.
Il roaming è una colonna portante dell’internet delle cose. Gli oggetti connessi infatti sono tali grazie a Sim e a relativi accordi globali tra produttori e operatori mobili. Significa che, per la prima volta nella storia della rete, si formano mega alleanze in grado di decidere come funziona una connessione in tutto il mondo. Equivale a ridurre di molto la possibilità, per gli utenti (privati o aziende) di cambiare operatore di connettività.
Al tempo stesso, i produttori stanno sviluppando tecnologie proprietarie per connettere gli oggetti, in assenza di standard. Al momento, non c’è quindi nessun diritto – né normativo, né pratico – di connettere oggetti diversi di produttori diversi.
Certo si può presumere che i big agiscano in questo modo perché interessati a controllare un mercato nascente. È anche vero, però, che al momento non hanno scelta. Non ci sono standard che possano garantire affidabilità e sicurezza degli oggetti connessi. Gli accordi di roaming permanente sono i soli che assicurino la sostenibilità economica e la qualità delle connessioni.
Tuttora l’internet delle cose soffre di una intrinseca insicurezza. «I dispositivi nascono con requisiti che quasi sempre non annoverano la sicurezza, ma anzi la vedono come una limitazione o un costo», dice Andrea Rigoni, esperto di cyber security, di cui è consulente per vari Governi. «I produttori faticano a testare tutte le condizioni in cui i prodotti verranno utilizzati, poiché le possibilità di interazione crescono esponenzialmente. Infine mancano standard e pratiche comuni e i regolatori sono ancora in fase di osservazione. Dato che il mercato è al boom, gli ingredienti per una escalation di incidenti molto seri di sicurezza ci sono tutti», dice Rigoni.
Si fa strada l’idea che gli ecosistemi chiusi diano maggiore sicurezza ai prodotti solo nel breve periodo (perché le aziende possono controllare meglio i vari aspetti). Nel medio-lungo, può essere invece la presenza di standard e di una concorrenza piena tra i produttori a favorire la sicurezza di questi oggetti. Il principio è evidente per un tema correlato: quello della privacy.
È di qualche giorno fa l’avvio della consultazione pubblica del Garante Privacy sull’internet delle cose (a ulteriore conferma di una consapevolezza crescente, tra le autorità). Oggetti e sistemi connessi infatti, raccogliendo dati di utilizzo, permettono di creare profili dettagliati delle persone. «Lo scopo è arrivare a un modello di sicurezza e di protezione dei dati perfettamente integrato in ogni dispositivo fin dalla progettazione e non aggiunto a posteriori. Una volta esplosa la domanda dei consumatori è infatti difficile ricondurre tutto entro un contesto di reale salvaguardia per i diritti individuali», dice il Garante Antonello Soro. A maggior ragione se, in forza delle alleanze globali, saranno poche aziende ad avere accesso a tutti i dati degli utenti. E quindi a sapere cosa facciamo a casa, in auto o in altri contesti.
«Bisogna puntare a soluzioni dove il rispetto delle misure di sicurezza sia bilanciato con l’efficienza dei diversi dispositivi», dice Soro. Il principio può valere come regola generale. La sfida adesso- di cui norme e autorità si faranno carico- è consentire la sostenibilità tecnico-economica dell’internet delle cose (grazie a nuove regole e standard) senza la necessità di ricorrere a grandi alleanze escludenti e a ecosistemi chiusi. Ma il tutto molto in fretta: il mercato decolla già, senza curarsi di altre considerazioni.
Alessandro Longo, Il Sole 24 Ore 10/5/2015