Fabio Tonacci, la Repubblica 10/5/2015, 10 maggio 2015
PADOVA, LA SIGNORA DEI RIFUGIATI INVISIBILI CHE DIVIDE LA CITTÀ
PADOVA.
Patrizia si sente colpevole. Ha portato “gli africani dei barconi” nel centro storico di Padova, dove la città non li vuole vedere. È stata la prima a farlo, e per giunta gratis. Non ha chiesto nemmeno un euro di affitto. E poco importa che siano solo sei, i profughi che da diciotto giorni ospita nel suo appartamento a due passi da Piazza dei Signori. Lì non ce li vogliono. Sono, tra gli invisibili, i più invisibili: escono solo la mattina per andare a scuola, parlano sottovoce, sono educati. Ma non conta. Lì non ce li vogliono.
È ancora una storia di neri e di bianchi, questa. Di diffidenza. E pregiudizio. «Pensano addirittura che siamo terroristi o contagiosi perché malati», dice Paul, appoggiato alla credenza di mogano del salotto di Patrizia. Sopra il mobile c’è un foglio con le parole “agnello, lasagna, legno, cognome, signora”, per esercitarsi con la pronuncia italiana. Nel cellulare, Paul, 24 anni, conserva le foto che suo fratello gli ha manda su Whatsapp da Enugu, in Nigeria. Foto di corpi squartati con la motosega dai miliziani di Boko Haram, di cadaveri ammassati per strada, di gente che fugge e gente che spara. «Io voglio vivere in pace, studiare medicina, avere una famiglia». Al polso ha un braccialetto, con una scritta: “Corpus Christi”.
L’appartamento al primo piano in via Leoni, che la privata cittadina Patrizia Ferro, 61 anni, ha concesso in comodato d’uso gratuito dal 22 aprile al 31 luglio alla onlus Percorso Vita (le vengono rimborsate solo le bollette), è spazioso, 110 metri quadrati, cinque stanze, il parquet sul pavimento. Sul mercato degli affitti, vista anche la posizione centralissima, vale almeno un migliaio di euro al mese. Prima ci viveva un notaio. Ci sono due camere con tre letti ciascuna, i letti sono rifatti. Sopra quello di Paul è appesa un’icona della Madonna. Il bagno è uno solo, ma tutto sommato non è piccolo. Hanno la televisione, il wi-fi, uno stereo. Sul frigo, un foglio di carta con i turni delle pulizie settimanali. Martedì: Ibrahim e Mohamed. Mercoledì: Mr. Amadou e Paul. Nessuno sgarra, è la regola.
Mentre Paul racconta come si sono organizzati, gli altri sono in cucina a bollire un chilo di riso, da condire con salsa di zucchine e carote. Oggi ai fornelli tocca a Ibrahim, che viene dalla Guinea Bissau, e a mister Amadou, come chiamano questo ragazzone tutto muscoli che arriva dal Senegal e si allena in salotto sollevando bottiglie d’acqua. Ha le treccine, sorride sempre. Quel che ha vissuto sul barcone tra la Sicilia e la Libia, quando ha visto un marito buttare in mare la moglie per evitare di affondare, lo nasconde dentro di sé. «Ho fatto la traversata a ottobre — dice — da Pozzallo mi hanno trasferito in pullman a Padova e ho incontrato gli altri in un centro di accoglienza in periferia. Abbiamo presentato domanda per l’asilo, ma la Commissione provinciale non ci ha ancora convocato».
Sanno bene cosa sta succedendo fuori, non sono degli ingenui. Il martedì e il giovedì si fanno due chilometri a piedi per andare alle elementari Valeri dove hanno corsi di lingua. Passano sotto il portico, davanti al bar, al negozio di abbigliamento, al fornaio. Li hanno visti quei gazebo dell’assessore leghista Fabrizio Boron: hanno raccolto già 3mila firme per cacciarli e per organizzare una fiaccolata contro di loro il 15 maggio. Erano in piedi dietro le tende delle finestre quando, un paio di settimane fa, il sindaco della Lega Massimo Bitonci e Boron si sono presentati sotto casa e si sono fatti fotografare col dito rivolto verso il loro palazzo, a indicare i cattivi, gli “untori”. Immagine che poi l’assessore ha messo su Facebook, con questo post: “Citofonare profughi. Gli altri condomini sono furibondi. L’unico che li difende è un prete strappato alla politica”.
«Eccomi qua, sono il prete strappato alla politica», dice ridendo Don Luca Favarin, presidente della onlus Percorso Vita che ha vinto un appalto col Viminale (32 euro al giorno per migrante). Poco più che 40enne, una sciarpa arcobaleno al collo, capelli lunghi, una suoneria allegra nel cellulare. Si sbatte dalla mattina alla sera per aiutare prefettura e questura a trovare posti dove sistemare i profughi. Non bastano mai. Padova al momento ne accoglie 512, due sere fa alcuni nigeriani hanno dormito per terra in stazione. «Nonostante la volgarità dei nostri amministratori e le ordinanze restrittive di Bitonci, due cittadini ci hanno offerto la casa gratis, altri invece con un canone d’affitto». Una quarantina in tutto, finora, i padovani che hanno messo a disposizione l’abitazione. Ma c’è chi sputa a terra quando incrocia Don Luca, in segno di disprezzo. «È capitato diverse volte, purtroppo».
Nel palazzo che è diventato il metro della tolleranza di un’intera città vivono altre cinque famiglie. Ed è vero, qualcuno è scontento. «Chi ci garantisce che questi ragazzi non siano terroristi? — dice al citofono uno degli inquilini — Faranno abbassare il valore dell’immobile e io chiederò i danni. Temiamo anche atti di razzismo contro l’appartamento».
Patrizia, se tornasse indietro, non lo rifarebbe. Non si aspettava che un gesto di solidarietà potesse generare tale rabbia, o farsi strumento di propaganda elettorale. É stato suo fratello Stefano, volontario per la onlus di Don Luca, a convincerla un mese fa. «Ma adesso i sei ospiti hanno paura e lei è sconvolta. Ha lasciato la città chiedendomi di liberarla da questo problema perché non ce la fa più». E se cambia idea la donna che ha aperto la sua casa ai profughi, forse non è solo Padova a perdere.
Fabio Tonacci, la Repubblica 10/5/2015