Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 09 Sabato calendario

PERCHÉ I SONDAGGI HANNO SBAGLIATO?

Cameron-Miliband? «Testa a testa», dicevano in coro tutti gli istituti di ricerca britannici. È andata molto diversamente, ma non si tratta certo della prima volta. Se i sondaggi e gli exit poll fossero stati esatti, il leader conservatore non sarebbe tornato ieri a Downing Street come un trionfatore, Benjamin Netanyahu non avrebbe ripreso poche settimane fa il suo posto alla guida del governo israeliano, George Bush sarebbe stato battuto nel 2004 da John Kerry e non avremmo assistito nello stesso anno al fenomeno Zapatero. Andando ancora più indietro, niente Casa Bianca nel 1948 per Harry Truman.
E in Italia, a parte le ormai famose bandierine di Emilio Fede nelle elezioni regionali del 1995? Non ci saremmo svegliati nell’aprile 2006 con un Silvio Berlusconi ancora a galla, il movimento Cinque Stelle non avrebbe invaso il Parlamento nel 2013 e Matteo Renzi non potrebbe ricordare a tutti i dissidenti del suo partito, come fa spesso, di avere ottenuto il 40,8 per cento nel voto europeo dell’anno scorso. Così va il mondo, è meglio ricordarselo in futuro.
Oggi, però, bisogna parlare soprattutto di quanto è accaduto nel Regno Unito. Nel sito di Lord Ashcroft, il discusso milionario ed ex vicepresidente tory che ha fondato un istituto di sondaggi, è facile trovare la pagina del suo ultimo rilevamento, datato 7 maggio. Conservatori 33%, laburisti 33%. In realtà, i primi hanno ottenuto quasi quattro punti in più e i secondi tre di meno. Ma, soprattutto, nessuno aveva previsto che il partito di Cameron avrebbe conquistato la maggioranza assoluta alla Camera dei comuni, un risultato non intercettato poi nemmeno dagli exit poll, cioè i rilevamenti compiuti intervistando gli elettori o facendo simulare il voto all’uscita dei seggi. «In Gran Bretagna e in altri luoghi del mondo è diventato sempre più impegnativo entrare in contatto con un campione rappresentativo», ha spiegato alla Reuters Nate Silver, guru americano delle previsioni.
Per i sondaggisti britannici è riapparso insomma il fantasma del 1992, che a Londra non vuol dire Miriam Leone o Tea Falco, ma il disastro che si registrò quando tutti diedero per vincente il laburista Neil Kinnock mentre a prevalere fu il conservatore John Major. «Aggiungiamo il 2015 alla nostra collezione degli orrori», ha dichiarato il politologo Rob Ford. È interessante notare che anche nuove ricerche realizzate sui social media — come quella che l’università di Warwick ha condotto analizzando centinaia di migliaia di tweet — hanno dato risultati molto lontani dall’effettivo responso delle urne.
Più che disperarsi, conviene interrogarsi sulle ragioni di questi insuccessi. L’incapacità di predire la vittoria di Major fu attribuita nel 1992 al ruolo giocato dai «conservatori timidi, cioè gli elettori tories che preferivano non dichiarare il loro voto per un partito ritenuto impopolare. Un fenomeno simile si è registrato in altre occasioni e in altri Paesi: non sempre gli interpellati hanno il coraggio di esprimersi se la loro scelta può essere considerata discutibile, come è avvenuto in Francia ( in particolare nelle presidenziali del 2002) con il Fronte Nazionale e Jean-Marie Le Pen.
Ma il quadro dei problemi è sicuramente più complesso. In primo luogo gli esperti mettono in rilievo che troppo spesso i sondaggi raggiungono solo gli elettori disponibili a rispondere. Può accadere inoltre che i rilevamenti siano resi inattendibili dalla tendenza degli elettori a cambiare idea all’ultimo momento o dalla decisione di non recarsi al seggio dopo aver accettato di indicare la propria scelta. In ogni caso, all’indomani del voto, c’è sempre chi dice che non bisognava credere ai sondaggi. Questo privilegio è andato ieri a Cameron e al suo stratega australiano, Lynton Crosby. Le ultime parole spettano sempre ai vincitori. Poi si ricomincerà a commissionare altri sondaggi.