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 2015  maggio 09 Sabato calendario

ASCESA E CADUTA DI «ED IL ROSSO» PER IL NUOVO LABOUR STRADA IN SALITA

LONDRA Forse Ed Miliband maledirà quella tavola di pietra sulla quale aveva inciso le promesse elettorali, giurando di volerla piantare nel giardino delle rose a Downing Street. Il giorno dopo, ed era appena domenica scorsa con i sondaggi che andavano a gonfie vele, il Guardian che pure è un quotidiano simpatizzante fulminò la tavola di Ed con un titolo: «Le promesse scolpite di Ed Miliband potrebbero affondare come pietre». A volte, i giornali sanno leggere la sfera di cristallo meglio dei sondaggi.
Fino alle 22 di giovedì nel quartiere generale del partito spirava buon vento: anche l’ultima rilevazione che i laburisti avevano commissionato fotografava un testa a testa coi conservatori. Ma quando la televisione, con puntualità impressionante, ha scaricato la valanga degli exit poll (questi sì quasi azzeccati) nella sala è calato un gelido e triste silenzio. Era la disfatta poi confermata dai risultati: 232 eletti ai Comuni, 26 in meno che nel 2010, i tempi della crisi finanziaria. E qui è finita la storia di Ed Miliband, il leader troppo innamorato della sinistra per potere convincere e tranquillizzare l’elettorato moderato.
Come tutti i leader che si rispettano Ed Miliband, 45 anni, laurea a Oxford, figlio di marxisti polacchi emigrati nel Regno Unito, famiglia ebrea, ha aspettato che passasse la nottata per dimettersi: «La responsabilità è mia. Chiedo scusa ai colleghi che hanno perso il loro seggio. La battaglia va avanti, so che il partito laburista continuerà a difendere il popolo dei lavoratori». Il linguaggio della sinistra che, con coerenza, anche nel momento del crollo non ha rinnegato. Onore delle armi. Glielo ha reso anche David Cameron.
Ed Miliband, che subentrò a Gordon Brown nel 2010 sconfiggendo nelle primarie il fratello, ex ministro degli Esteri, David (spinto da Tony Blair) e poi esiliato negli Stati Uniti, ha subito l’umiliazione del pensionamento politico anticipato perché lo ha abbandonato la Scozia, perché nel Nord inglese una parte del suo elettorato ha votato per lo Ukip, perché le idee alla vigilia della consultazione sono apparse troppo orientate a impossibili mediazioni ideologiche, perché troppo tardi ha sfoderato un piglio da leader forte.
Uomo molto perbene, ma in politica conta anche altro. Ha sopportato volgari derisioni dai tabloid amici dei conservatori e dai settimanali suoi fiancheggiatori che lo hanno massacrato addirittura per il difetto di pronuncia, lievemente biascicato. New Statesman , una delle voci del laburismo, in prima pagina lo provocò così: «Può Miliband parlare per l’Inghilterra?» La pazienza non paga e non porta voti.
Il crollo è stato drammatico: non tanto in termini di consensi generali (i laburisti incassano l’1,5 in più rispetto al 2010 mentre i conservatori incassano lo 0,8 in più) ma in termini di parlamentari da spedire a Westminster, che è ciò che conta. Questa è la legge elettorale del maggioritario secco. L’urna ha bocciato leader di primo piano del laburismo: Ed Balls, il cancelliere dello scacchiere ombra, Douglas Alexander il coordinatore della campagna elettorale, Jim Murphy il numero uno dei laburisti scozzesi. Una impietosa mattanza. Con una piccola consolazione: al partito è rimasta Londra, su 73 seggi della capitale, ne ha conquistati 45, più sette dal 2010.
Adesso i laburisti si sono messi a caccia di un nuovo leader. Ci sarà una reggenza di Harriet Harman, la vice di Miliband, fino a che le primarie si saranno concluse. I candidati? Andy Burnham, laurea a Cambridge, ex ministro della cultura poi della salute, Yvette Cooper ex ministro del lavoro, moglie di Ed Balls, e Chuka Umunna, avvocato di 36 anni, il più giovane, il più aggressivo, il meno laburista vecchio stile, il più laburista stile middle class aggressiva. Ma dietro ai nomi c’è da risolvere lo stesso equivoco di sempre: i laburisti vogliono spogliarsi dei loro stereotipi? Quando lo hanno fatto, con Tony Blair, piaccia o non piaccia, hanno vinto.