Alberto Custodero e Benedetta Tobagi, la Repubblica 9/5/2015, 9 maggio 2015
QUELLE MIGLIAIA DI PAGINE CHE POSSONO SVELARE I SEGRETI DELLE STRAGI
ROMA
«Dai documenti resi pubblici sulle stragi, si percepisce l’esistenza di una struttura, o meglio di una sovrastruttura, che impedisce di arrivare alla verità». Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione “2 Agosto” (eccidio di Bologna), non nasconde la sua delusione dopo aver letto le prime carte declassificate provenienti dai ministeri dell’Interno e degli Esteri. «È il muro di gomma degli archivi», chiosa. Concetto ribadito dalla presidente dei familiari della strage di Ustica, Daria Bonfietti, che ha messo in dubbio la modalità con la quale sono state scelte, dai funzionari di ministeri, forze dell’ordine e 007, le carte da rendere pubbliche rispetto a quelle da mantenere segrete.
A un anno dalla direttiva Renzi che ha disposto la declassifica dei documenti sulle stragi, all’Archivio centrale dello Stato si sono riuniti, ieri, per la prima volta, archivisti, familiari delle vittime. E gli enti detentori dei “segreti”. Per il senatore Sergio Flamigni, il decano degli studiosi delle stragi in Italia, «è comprensibile che la pubblicazione di documenti di scarsa importanza generi uno stato d’animo di delusione diffuso. I familiari delle vittime si aspettavano finalmente di conoscere la verità, tenuto conto che la gran parte delle stragi non ha avuto “soluzione” giudiziaria». Tuttavia, prosegue Flamigni, «è stato positivo» l’incontro «tra chi detiene i segreti, e chi ha sete di verità», avvenuto alla vigilia della celebrazione del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo. La desegretazione riguarda la strage di Piazza Fontana (1969), Gioia Tauro (1970), Peteano (1972), Questura di Milano (1973), Piazza della Loggia, Brescia (1974), Italicus (1974), Ustica (1980), Stazione di Bologna (1980), Rapido 904 (1984). Un oceano di carte, svariate decine di migliaia di documenti da catalogare, con problemi di logistica, costi e burocrazia. Il colonnello Alessandro Puel, capo Ufficio sicurezza dell’Arma, ha spiegato che «i carabinieri hanno censito 34mila documenti “segreti”, 11mila già versati». Non è facile, ha detto poi il viceprefetto Franca Guessarian, responsabile della “Segreteria Speciale” del ministero dell’Interno, «districarsi nella normativa sul segreto. Ogni carta, infatti, va declassificata con l’autorizzazione dell’ente che l’ha generata». Una procedura che rischia di dilatare all’infinito i tempi di pubblicazione.
Alberto Custodero, la Repubblica 9/5/2015
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DOPO LA LUNGA ATTESA ECCO LE CARTE MA SONO ANCORA TOP SECRET I DOSSIER DI INTERNO ED ESTERI –
È passato un anno dalla direttiva Renzi che invitava le amministrazioni dello Stato a declassificare (se necessario) e versare in anticipo agli archivi di Stato la documentazione relativa alle stragi terroristiche tra il ‘69 e l’84. Dopo le delusioni iniziali di troppe buste semivuote, sono arrivate alcune importanti sorprese positive, nientemeno che dai militari. Sono stati versati all’Archivio Centrale dello Stato cospicui fondi documentali da parte dell’Aeronautica e dell’Arma, documentazione proveniente sia dagli uffici centrali che da quelli periferici. Parliamo di ben 325 buste da parte dell’aviazione, tutto materiale su Ustica, ovviamente, e 110 (per un totale di alcune migliaia di pagine, di cui circa 5000 su piazza Loggia) dai Carabinieri, sia in formato digitale che cartaceo (avere a disposizione quest’ultimo è importante, per i ricercatori, per poter meglio valutare le carte; il digitale, inoltre, offre meno garanzie di autenticità). È una novità importante, segnale concreto di un cambiamento culturale. Gli Stati Maggiori e tutto ciò che è “militare”, infatti, non sono tenuti a versare le carte all’Acs (hanno un loro archivio storico autonomo). Dunque c’è stata una deroga alla legge, la rinuncia a un privilegio, per andare nella direzione della “total disclosure” auspicata dalla direttiva.
Tra i tasti dolenti, si registra che il Ministero Affari Esteri (anch’esso titolare di un proprio archivio storico) finora ha operato in modo lacunoso e deludente; da più parti si è levata la richiesta di una maggiore proattività da parte delle ambasciate sui temi più brucianti: oltre a Ustica, le molte storie di terroristi latitanti e i legami di Gelli e P2 con Argentina e Uruguay. Latita ancor di più il ministero dell’Interno. Pochi versamenti (tra cui buste della Criminalpol con semplici informazioni sui feriti). Si attende, per esempio, un più ampio versamento delle carte dell’ex Ucigos, ora Direzione centrale polizia di prevenzione, che sul terrorismo ha investigato. Molto grave che l’Acs abbia ricevuto le carte del famigerato Ufficio Affari Riservati dell’Interno (quelle ritrovate in via Appia nel 1996, per intenderci) soltanto fino al 1965: lì ci sono sicuramente — lo sappiamo dalle perizie effettuate per conto della magistratura e da fonti giornalistiche — carte che riguardano la strage di piazza Fontana.
Il bilancio un anno dopo? All’Acs sono arrivate la bellezza di 497 buste. Sommando i versamenti della direttiva Prodi del 2008 fanno 641 (grazie a due governi di centrosinistra, va sottolineato: hanno ancora qualche significato, le vecchie categorie di Bobbio). Non mancano le “tensioni interpretative” circa l’ampiezza della declassifica da operare (l’Interno si attiene a criteri più restrittivi), ma sono comunque stati soprattutto il Dis e gli “uffici speciali” (costituiti con la riforma dei Servizi del 2007 presso le amministrazioni che producono e conservano materiale sensibile per la sicurezza) a darsi da fare (“Avevano la coda di paglia?”, scherza un’archivista di lungo corso).
La grande enfasi posta sulla declassifica, accompagnata da aspettative quasi sempre eccessive, ha paradossalmente adombrato l’importanza di un più celere e regolare versamento di carte non riservate. Tanto più che nel luglio 2014 sono stati apportati due piccoli ma preziosi emendamenti al Codice dei Beni culturali: termini di versamento anticipati da quaranta a trent’anni, e abolito l’infido comma che prevedeva la possibilità di impedire la consultazione di documenti versati anzitempo. “Pecettature” a parte (nomi, sigle o sezioni di testo temporaneamente coperti per motivi di sicurezza, si può vedere tutto. L’Archivio Centrale dello Stato merita un plauso: pur con un budget ridotto ai minimi storici, si è impegnato perché ogni versamento, anche cospicuo, fosse ordinato e inventariato celermente per la consultazione e ha messo online tutti gli inventari per agevolare i ricercatori (ma — per garantire il massimo rispetto del codice deontologico — i documenti, anche digitali, si consultano nella sala studio).
Due i punti davvero critici, che richiedono un intervento politico. 1) Occorre ampliare l’ambito della direttiva: limitarla, com’è stato fatto, solo ad alcuni fatti criminali, porta a paradossali smembramenti di fondi e fascicoli, e rischia di lasciar fuori materiale rilevante, solo perché non legato “nominalmente” a una certa strage. Meglio lavorare su estremi cronologici. 2) Servono criteri di sorveglianza sulla selezione delle carte: basterebbe la partecipazione al processo almeno di un archivista dello Stato (come nelle commissioni di scarto dei tribunali). Finora, infatti, i soggetti che hanno prodotto le carte, hanno fatto da sé le selezioni. Per esempio, le migliaia di pagine versate dai Servizi (solo in formato digitale) sono state selezionate da loro medesimi. Con alle spalle una storia come la nostra, chi garantisce i cittadini che tirino fuori tutto? Sappiamo già che ci saranno dei buchi (troppi gli episodi noti di distruzione, nascondimento o dispersione di documenti), ma commissioni “miste” potrebbero esorcizzare, in futuro, lo spettro di una scelta troppo discrezionale da parte dei soggetti produttori. Certo è arduo che passi questa linea di trasparenza estrema. E intanto, che si fa?
Questo mare di carte è comunque un grande passo avanti. Il compito del “controllo democratico” ora tocca davvero ai cittadini: storici, giornalisti, ricercatori, cittadini, parlamentari impegnati in commissioni d’inchiesta, magistrati o poliziotti in pensione, semplici interessati. Solo investendo tempo a studiare con pazienza queste carte, mettendole in relazione con gli atti giudiziari, si potranno formulare valutazioni definitive sui versamenti, valorizzarli, scovare elementi di conoscenza nuovi, oppure denunciare, a ragion veduta, eventuali manipolazioni, lacune significative, operazioni di “falsa trasparenza”. Servono tempo, pazienza, fatica. Oltre gli appelli, è tempo di mobilitare quell’intelligenza delle cose e degli avvenimenti di cui parlava Aldo Moro in uno dei suoi ultimi discorsi.
Benedetta Tobagi, la Repubblica 9/5/2015