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 2015  maggio 09 Sabato calendario

SOPRAVVISSUTO A EBOLA “MA HO IL VIRUS DENTRO COSÌ HA CAMBIATO IL COLORE DEI MIEI OCCHI”

NEW YORK.
Era stato infettato da Ebola ma, trascorsi giorni di terrore, era perfettamente guarito. Dopo due mesi ha scoperto che il terribile virus si era però “nascosto” in un occhio e stava provocando danni che lo avrebbero portato alla cecità. La storia del dottor Ian Crozier — il medico della Vanderbilt University specialista in malattie infettive — era finita su tutti i media degli Stati Uniti (e non solo), quando nel settembre scorso, mentre si trovava in Sierra Leone come volontario per l’Oms, aveva contratto Ebola ed era stato urgentemente rimpatriato per essere curato all’ospedale Emory di Atlanta. Aveva passato quaranta giorni tra la vita e la morte, ma gli era andata bene e alla fine di ottobre aveva potuto lasciare l’ospedale (sotto le luci delle telecamere): guarito, di Ebola più nessuna traccia.
In pochissimi sapevano che — trascorsi altri due mesi — il dottor Crozier, 43 anni, aveva avuto una brutta infiammazione all’occhio sinistro, con la pressione fuori norma, una perdita progressiva della vista e dolori lancinanti. Tutti sintomi che, per Steven Yeh, il medico oftalmico che lo aveva visitato (sempre all’Emery di Atlanta), erano tipici di una uveite, un’infiammazione della parte interna dell’occhio. Il dottor Yeh fece un prelievo del tessuto interno del globo oculare e le analisi portarono all’incredibile scoperta (rivelata pubblicamente nei giorni scorsi da uno studio pubblicato dall’équipe di medici dell’Emory sul New England Journal of Medicine ): nell’umor acqueo, il liquido salino che si trova tra la cornea e il cristallino, si annidava il virus di Ebola.
La notizia, rilanciata dal New York Times e da altri media americani, ha riaperto il dibattito sul micidiale virus che arriva dall’Africa. Per il dottor Yeh l’Ebola nell’umor acqueo (ma non nella lacrimazione e nei tessuti esterni dell’occhio) non presenta pericoli d’infezione per gli altri, ma dimostra come tutti coloro che sono stati ammalati (e sono sopravvissuti) di Ebola dovrebbero farsi visitare per essere certi che non ci sia stata una contaminazione nell’occhio. Oltre alla rapida perdita della vista l’iride dell’occhio sinistro di Ian Crozier ha cambiato colore, passando dall’azzurro al verde dieci giorni dopo i primi sintomi.
È molto raro che un’infezione virale possa cambiare il colore dell’iride e Ian Crozier rimase sotto shock («come se mi avessero assalito, era una cosa così personale»). Col passare dei giorni e visto che non c’erano stati miglioramenti il medico, insieme al team di sanitari dell’Emory che lo aveva in cura, decise che a quel punto non aveva molto da perdere e riuscì a ottenere dalla Food and Drug Administration un permesso speciale per usare una medicina sperimentale (potrebbe essere un potente corticosteroide, ma i medici hanno preferito non rivelarlo) in pillole. Non c’era alcuna garanzia di successo, sta di fatto che solo dopo questa terapia intensiva — diversi altri medicinali classici contro l’uveite non avevano risolto nulla — il dottor Crozier ha iniziato a recuperare la vista.
Gli studi su Ebola sono ancora in evoluzione. Solo recentemente si è scoperto che il virus resta presente nello sperma per diversi mesi e problemi — considerati collaterali — agli occhi erano stati già segnalati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in Africa su quasi la metà (il 40 per cento) dei sopravvissuti. Con un problema in più: che in Africa non ci sono abbastanza oftalmologi per curarli. Nessuno però aveva finora ipotizzato che i problemi all’occhio fossero dovuti alla presenza “nascosta” del virus. Il dottor Crozier ha raccontato come oltre all’occhio aveva avuto anche una significativa perdita dell’udito (sempre nella parte sinistra). «Sono stati giorni terribili ed ero molto depresso, era come se l’intera parte sinistra della tua vita se ne fosse andata». Ha passato il Natale all’ospedale, poi finalmente ha visto la fine del tunnel: «Il mio caso può aiutare a cambiare il corso della malattia per i sopravvissuti, ora bisogna iniziare a preoccuparsi di questa cosa».
Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 9/5/2015