John Lloyd, la Repubblica 9/5/2015, 9 maggio 2015
LA CADUTA DEL GIOVANE ED CHE VOLTÒ LE SPALLE A BLAIR TRE STRATEGIE PER RINASCERE DOPO L’ADDIO DI MILIBAND
LONDRA
«Questo non è un discorso che avrei voluto fare: mi assumo tutta la responsabilità per il risultato. La Gran Bretagna ha bisogno di un Labour che possa ripartire dopo questa sconfitta. Ed è il momento che qualcun altro prenda la guida del partito». Con queste parole, e quasi con le lacrime agli occhi, Ed Miliband ha rassegnato le dimissioni da leader del Labour party, dopo aver portato il partito alla peggiore sconfitta dal 1987, anno della terza affermazione di Margaret Thatcher.
Ed Miliband è arrivato alla leadership dei Labour battendo per un soffio suo fratello David, candidato alla stessa carica. Si è trattato di una sorta di fratricidio politico: come nella parabola biblica di Giacobbe e Esaù, Ed (Giacobbe) ha carpito il “diritto di primogenitura” di David (Esaù) di diventare leader dei laburisti e, un giorno, primo ministro. Lasciato il parlamento, David ha assunto un incarico di alto profilo a New York, e lì vive tuttora.
Ed, il leader, si è presentato subito come uomo di sinistra, proprio come David — ex capo consigliere politico di Tony Blair, aveva poi calcato le orme del suo mentore — aveva incarnato il centro. Ed ha attaccato i banchieri facoltosi, i gestori di fondi della City di Londra e i magnati dei media, tutsuo ti bersagli molto popolari, a quanto sembrava. Ha dipinto i conservatori come un partito in procinto di privatizzare il servizio sanitario nazionale, amputare i servizi sociali, abbassare gli standard di vita dei lavoratori, senza riuscire al contempo a rispettare l’impegno, da lui stesso assunto, di ridurre l’ingente debito britannico.
I sostenitori di Blair, e di David, rimasero sbalorditi dalla conquista del potere da parte di Ed, ma col passare del tempo e a mano a mano che in parlamento si andava dimostrando un forte disquisitore hanno iniziato a credere che potesse vincere. Forse, pensarono i deputati laburisti, Ed avrebbe dato prova di partecipazione e forza maggiori rispetto al fratello. Forse, avrebbe interpretato al meglio l’umore della nazione che, come altrove in Europa, era di ostilità e risentimento per i tagli ai servizi e la paralisi dei salari.
E così Ed è sceso in campo per combattere, credendo fermamente — così è sembrato — che il fervore nel «cercare di spuntare un trattamento più equo per le famiglie dei lavoratori» avrebbe convinto il paese che aveva l’attitudine a governare. Nelle prime ore di venerdì è diventato poco alla volta sempre più evidente che ha fallito. All’alba è diventato ovvio che ha fallito miseramente. Il Labour è stato pressoché spazzato via in Scozia, se si considera che il partito nazionalista scozzese ha conquistato quasi tutti i seggi del paese. Nel primo pomeriggio ha rassegnato le sue dimissioni da leader del partito, a poche ore di distanza da quando ha gettato la spugna anche Nick Clegg, capo dei liberaldemocratici — socio più giovane nell’ultima coalizione di governo — il cui partito è passato da 57 seggi a otto.
I laburisti avranno dunque un nuovo capo, ma rispetto al cambiamento che dovranno attuare per sopravvivere e tornare un giorno al governo un nuovo capo è pro- prio il minimo. Miliband ha voltato le spalle al New Labour e al blairismo, privilegiando una posizione a sinistra mai ben definita, visto che insieme ai colleghi del suo gabinetto ombra ha continuato a rassicurare l’elettorato asserendo di essere abbastanza moderato, e promettendo al contempo ai propri sostenitori di cambiare ogni cosa, una volta giunti al potere.
Il partito laburista ha ora due possibilità: la prima è tornare nel solco del New Labour, trovare un leader che abbia l’energia e il sostegno di Matteo Renzi e che sia in grado di guidare nuovamente il partito verso il centro della politica britannica, esaltando il patriottismo, conferendo importanza al sostegno alle imprese, dimostrando un forte attaccamento all’Unione europea pur proclamando l’importanza del “rapporto speciale” con gli Stati Uniti.
L’altra strategia è restare a sinistra e stringere alleanze. I nazionalisti scozzesi si sono evoluti in un partito di sinistra. Il Labour potrebbe offrire loro un rapporto simile a quello che ha successo nel centrodestra in Germania tra Unione democristiana e Unione cristiano-sociale, la seconda delle quali è circoscritta alla Baviera. Potrebbe cercare di accogliere i Verdi, che si sono assicurati un solo seggio, ma hanno visto lievitare i loro voti; i nazionalisti gallesi, che hanno conquistato tre seggi e ottenuto maggiori consensi; l’Alleanza e i socialdemocratici dell’Irlanda del Nord, che hanno quattro seggi.
Si fa presto a tirare le somme di questa strategia: la disuguaglianza continuerà a espandersi; la ripresa economica, relativamente forte nel Regno Unito, non proseguirà; i timori nei confronti dei danni all’ambiente si accresceranno; la rivendicazione di una società più equa diventerà più generale e più diffusa. Si arriverebbe così a una posizione quanto mai antitetica a quella di Blair-Renzi, che accetta il sistema economico così com’è, che crede che il sistema di mercato soddisfi al meglio le esigenze delle masse, e che cerca di moderarne gli eccessi e di garantire un finanziamento adeguato dei servizi sociali, dell’istruzione e della sanità.
Ed Miliband ha fallito, in parte, perché non è riuscito a fare di una strategia simile a questa il suo principio guida. Il suo successore dovrà decidere quale di queste alternative scegliere e, una volta scelta, dovrà perseguirla con risolutezza, seriamente, dimostrandosi disposto a convivere con qualche battuta d’arresto fino ad arrivare alla svolta risolutiva.
In periodi diversi, in genere dopo tempi di crisi, la sinistra ha sempre avuto bisogno di definirsi e ridefinirsi. Questo è uno di quei periodi.
(Traduzione Anna Bissanti).
John Lloyd, la Repubblica 9/5/2015