Notizie tratte da: Paul Collier # Exodus. I tabù dell’immigrazione # Editori Laterza 2015 # traduzione di Laura Cespa, pp. 304, 24 euro., 12 maggio 2015
Notizie tratte da: Paul Collier, Exodus. I tabù dell’immigrazione, Editori Laterza 2015, traduzione di Laura Cespa, pp
Notizie tratte da: Paul Collier, Exodus. I tabù dell’immigrazione, Editori Laterza 2015, traduzione di Laura Cespa, pp. 304, 24 euro.
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Il tasso di immigrazione consentito varia moltissimo da un paese all’altro: il Giappone è rimasto completamente chiuso all’immigrazione a differenza di Dubai dove il 95% dei residenti è straniero. Entrambi, pur con politiche immigratorie differenti, hanno raggiunto un elevato livello di ricchezza.
La Gran Bretagna negli anni Cinquanta ha aperto le porte all’immigrazione, nel 1968 le ha parzialmente chiuse, nel 1977 le ha riaperte per poi ricominciare a chiuderle adesso.
Canada e Belgio associano alti livelli di reddito con una debole identità nazionale. Presentano una totale segregazione spaziale dei diversi gruppi linguistici e il decentramento dello Stato centrale a favore dei territori subnazionali.
Quando la Polonia ha aderito alla Comunità Europea, nel 2004, tutti i paesi membri imposero restrizioni all’immigrazione polacca. Tutti, eccetto la Gran Bretagna. Nel 2003 una stima realizzata dalla pubblica amministrazione inglese aveva infatti indicato che solo 13.000 cittadini dell’Europa dell’Est sarebbero migrati in Gran Bretagna. Nei cinque anni successivi lo hanno fatto cinque milioni di persone.
Molte ricerche dimostrano che il tasso di emigrazione attuale sta diventando eccessivo e dannoso per i paesi poveri da cui partono gli immigrati.
Nel novembre 2012 il Fondo Monetario Internazionale ha dichiarato che la politica della libera circolazione di capitali non è quella più adatta ai paesi poveri.
Le politiche migratorie sono stabilite dai governi dei paesi di destinazione. L’assenza di controlli provocherebbe un’accelerazione eccessiva della migrazione stessa.
Negli anni Sessanta la maggioranza delle persone viveva nel paese in cui era nata. Per cinquant’anni dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anche a causa della Depressione, gli immigrati non erano ben accetti. Durante questo cinquantennio si è creata una frattura enorme tra i redditi dei diversi paesi. La distribuzione del reddito era bimodale: un mondo ricco e un mondo povero alle due estremità.
Tra il 1945 e il 1975, durante i cosiddetti “Trent’anni Gloriosi”, il reddito pro capite dei francesi triplicò.
Secondo autorevoli economisti la creazione di un sistema fiscale facilita lo sviluppo della ricchezza di un paese. Questa condizione stimola l’economia e la costituzione di uno Stato di diritto. Il rispetto dello Stato di diritto induce le persone ad investire e quindi a sviluppare la crescita.
In uno studio di Daron Acemoglu e James Robinson del 2012 si sostiene che la Gloriosa Rivoluzione inglese del 1688 durante la quale il potere passò dal Re al Parlamento fu la svolta della storia economica mondiale e della Rivoluzione Industriale.
I paesi ad altro reddito hanno istituzioni politiche migliori di quelli a basso reddito.
In un nuovo studio di Timothy Besley e Marta Reynal-Querol del 2012 è stato dimostrato che in Africa il ricordo di scontri avvenuti nel quindicesimo secolo è la causa di numerosi conflitti attuali.
La capacità di cooperare tra gli individui che formano un paese è fondamentale per il raggiungimento della ricchezza.
Lo studioso Steven Pinker ha riconosciuto tappe precise nelle norme in materia di violenza. La prima tappa è il passaggio dall’anarchia al potere centralizzato. La Somalia non ha ancora superato questo stadio. La seconda è il passaggio dal potere all’autorità. Una tappa recente è l’abbandono del codice d’onore e del potere dei clan.
Nei paesi ad altro reddito i livelli di violenza tollerati sono molto più bassi di quelli nei paesi a basso reddito.
Il premio Nobel George Akerlof ha condotto uno studio insieme a Rachel Kranton nel 2011 e ha evidenziato che le aziende che funzionano riescono a trasmettere ai propri lavoratori un’identità comune, rendendoli degli insiders e aumentando la loro produttività.
Uno dei principali motivi per cui i paesi poveri sono poveri è la mancanza di un modello sociale efficace, inteso come l’insieme di norme, istituzioni, regole e organizzazioni.
«I migranti sono essenzialmente persone che fuggono da paesi i cui modelli sociali sono inadeguati».
In Gran Bretagna a Bradford e Leicester negli anni si sono insediati migranti asiatici assunti dalle industrie tessili locali. I lavoratori britannici avevano trovato occupazioni meglio retribuite. A causa delle barriere commerciali imposte dalla Gran Bretagna all’importazione di tessuti tessili non è stato possibile in quel momento delocalizzare le aziende tessili in Asia. La circolazione dei beni era stata ostacolata, la circolazione di persone no.
La piena occupazione durante i Trent’anni Gloriosi ha spinto i datori di lavoro a cercare lavoratori stranieri e i governi ad allentare le restrizioni all’immigrazione. La Germania puntò sulla Turchia, la Francia sul Nord Africa, la Gran Bretagna sui Caraibi e gli Stati Uniti sull’America Latina.
Nel 1965 la legge sull’immigrazione degli Stati Uniti conteneva una serie di norme finalizzate ad agevolare l’ingresso degli stranieri.
Le migrazioni internazionali sono una risposta al divario di reddito tra i due paesi: più è alto il divario più cresce l’esigenza di migrare.
Ci sono moltissimi fattori che fanno della migrazione un investimento per chi la compie. Prima di poterne beneficiare è necessario sostenere dei costi anche molto elevati, economici e sociali. Questi costi sono ridotti nel caso in cui nel paese ospitante sia presente una diaspora molto estesa.
«Pertanto il tasso migratorio è determinato dall’ampiezza del divario di reddito, dal livello di reddito dei paesi d’origine e dalle dimensioni della diaspora».
Dopo gli anni Settanta il divario di reddito tra mondo ricco e mondo povero ha cominciato a diminuire. Dagli anni Ottanta Cina e India, che costituiscono un terzo della popolazione mondiale, hanno cominciato a crescere sempre più velocemente. Negli anni Novanta è stata la volta dell’America Latina e all’inizio degli anni Duemila anche dell’Africa. Tuttavia il divario è in partenza così elevato che ci vorrà molto tempo per diminuirlo.
Viene definito “indice di integrazione” la percentuale dei membri della diaspora che fuoriescono di anno in anno, integrandosi nella società del paese ospitante. L’indice di integrazione dipende dalla dimensione della diaspora: più è grande rispetto alla popolazione autoctona, meno saranno i rapporti tra i migranti e i locali e dunque più lento sarà il ritmo di integrazione. La diaspora grande, inoltre, alimenta la migrazione: più è grande, più saranno i migranti pronti ad aiutare i nuovi arrivati. Questa relazione tra diaspora e migrazione viene definita “funzione migratoria”.
La costante di Dunbar, formulata nel 2012, definisce in circa 150 al massimo il numero di relazioni che un individuo riesce a gestire.
Windrush è il nome della nave che nel 1948 trasportò i primi migranti dai Caraibi alla Gran Bretagna. Nel 1968 il governo inglese era talmente preoccupato dall’aumento dei migranti caraibici che iniziò ad innalzare una serie di misure restrittive.
«E’ improbabile che la migrazione dai paesi poveri verso quelli ricchi riesca ad azzerare il divario di reddito».
«Il primo fatto è che il divario di reddito tra i paesi poveri e quelli ricchi è mostruoso e il processo di crescita mondiale lo manterrà tale per vari decenni. Il secondo è che la migrazione non potrà ridurre significativamente questo divario perché le sue ricadute sono troppo modeste. Il terzo è che la persistenza dei movimenti migratori favorirà per alcuni decenni la crescita delle diaspore».
Gli immigrati mondiali sono passati da essere 92 milioni nel 1960 a 165 milioni nel 2000. Tra il 1990 e il 2000 (data in cui si fermano i dati mondiali disponibili) c’è stato il maggior aumento sia in termini assoluti che proporzionali della migrazione dai paesi poveri a quelli ricchi.
«Siamo alle prime fasi di uno squilibrio di proporzioni epiche».
L’Australia, che negli anni Sessanta sosteneva l’immigrazione, a partire dagli anni Novanta ha realizzato una serie di importanti misure restrittive.
Secondo uno studio del 2012 di Cunliffe, il 70 percento circa della popolazione britannica attuale discende direttamente dagli abitanti preneolitici della Gran Bretagna, di epoca precedente al 4000 a.C.
«In Gran Bretagna il 59 percento della popolazione (compresi gli immigrati) ritiene che gli immigrati siano già “troppi”».
Una società funziona bene se alla sua base c’è una mutua considerazione, simile alla simpatia e al cameratismo. Ne consegue la disponibilità dei ceti più abbienti a finanziare quelli più bisognosi e la cooperazione. Fiducia e cooperazione sono funzionali alla realizzazione di una società ricca e moderna. La fiducia favorisce la cooperazione sociale.
Gli storici hanno registrato più di 80 conflitti violenti tra gruppi africani prima del 1600.
In uno studio condotto nel 2012 Besley e Reynal-Querol li hanno classificati e hanno scoperto che nella maggioranza dei casi la violenza di quattro secoli fa è stata tramandata fino ad oggi. La vendetta è infatti la caratteristica principale delle società costruite intorno ai clan. Secondo lo studioso Steven Pinker la vendetta diventa più dura perché le vittime tendono ad esagerare la dimensione del torto subito inizialmente, generando una catena senza fine di ritorsioni.
L’unico modo per porre fine alle vendette è chiudere con il codice morale fondato sull’onore. È quello che l’Europa occidentale ha fatto alla fine del diciannovesimo secolo.
Secondo uno studio del 2011 di Nathan Nunn e Leonard Wantchekon la tratta degli schiavi di secoli fa incide ancora oggi sul basso reddito pro capite dell’Africa. Nel tempo è stata trasmessa in eredità la scarsa fiducia nel prossimo: spesso le persone vendevano ai trafficanti i membri della loro stessa famiglia.
Uno dei paesi con un livello di fiducia molto basso è la Nigeria: i suoi abitanti non possono stipulare una polizza assicurativa sulla vita perché sarebbe molto alta la probabilità di procurarsi un falso certificato di morte.
«I migranti portano con sé non solo il capitale umano, ma anche i codici morali generati dalle loro rispettive società».
L’America ha integrato meglio dell’Europa gli immigrati perché l’identità americana si fonda sull’accoglienza degli stranieri e perché il divario culturale tra ispanici e americani è inferiore a quello tra gli europei e gli immigrati dei paesi poveri.
Imparare la lingua del paese ospitante è essenziale per l’integrazione. I latinoamericani che in casa parlano inglese hanno una maggior disponibilità a contribuire al bene comune e a sentirsi americani.
In uno studio del 2005 compiuto da Hurley e Carter si è scoperto che le persone imitano il comportamento degli altri, per ragioni neurologiche.
Il sociologo di Harvard Robert Putnam ha studiato il concetto di “capitale sociale”, utilizzando un ampio campione americano per capire l’effetto dell’immigrazione sulla fiducia. Ha scoperto che più aumentano gli immigrati in una comunità più diminuisce il livello di fiducia tra immigrati stessi e autoctoni. Ma diminuisce anche la fiducia tra i componenti dello stesso gruppo autoctono. Secondo Putnam l’immigrazione riduce il capitale sociale della popolazione autoctona.
Un metodo per misurare la distanza culturale tra due gruppi di persone è quello dell’albero linguistico: si misurano i rami dell’albero globale delle famigli linguistiche che separano una lingua dall’altra. I ricercatori Montalvo e Reynal-Querol hanno scoperto che maggiore è la distanza tra le lingue e maggiore sarà la violenza tra i gruppi.
In Gran Bretagna esiste una convenzione sociale per cui la polizia è disarmata. Girare armati costituisce un grave reato penale.
La cultura giamaicana è tra le più violente al mondo. In Giamaica è normale girare armati: il tasso di omicidi è cinquanta volte superiore a quello inglese. Gli immigrati giamaicani portano con sé questa loro abitudine.
La California è uno stato molto ricco che però negli ultimi decenni ha visto crollare i propri servizi pubblici perché i ricchi hanno messo un tetto alle tasse sulla proprietà. Secondo diversi studiosi la massiccia immigrazione a basso reddito ha intaccato il sentimento di empatia della popolazione locale benestante nei confronti dei poveri.
«Più il paese d’origine è culturalmente distante dal paese ospitante, più alto sarà il tasso migratorio nel tempo». I migranti non affini alla popolazione autoctona rimangono nella diaspora che quindi attira un maggior numero di nuovi immigrati.
James Belich, studioso di storia economica, ha scoperto che tra il 1810 e il 1830 il linguaggio sui giornali con cui venivano definiti i migranti dalla Gran Bretagna e dall’Irlanda verso il Nord America cambiò: da “emigranti” del 1810 a “coloni” nel 1830.
Secondo una ricerca fondamentale condotta da tre studiosi di Harvard e del MIT Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson i coloni svolsero un ruolo importante perché portarono con sé le loro istituzioni, come lo Stato di diritto.
Nel periodo post-napoleonico i principali migranti verso il Nord America erano i protestanti dell’Irlanda del Nord. I cattolici del Sud cominciarono ad emigrare soltanto dopo la carestia della metà del diciannovesimo secolo. I protestanti irlandesi erano a loro volta già coloni che nel tempo i governi britannici avevano chiamato dalla Scozia e dall’Inghilterra, per contrastare i cattolici.
Prima del 400 d.C. in Gran Bretagna solo il 10 percento erano anglosassoni. Si parlava il celtico e il latino. Nel 600 d.C. tuttavia la lingua ufficiale era diventata l’inglese, che non conteneva alcuna traccia del celtico ma era un misto dei dialetti parlati dai coloni. La religione ufficiale all’inizio del V secolo era la religione cristiana che alla fine del sesto secolo era scomparsa.
Differenza tra emigranti e coloni: i primi abbandonano la società di origine per raggiungerne una nuova e assimilarsi. I secondi mirano a mantenere la loro cultura anche nella società di arrivo.
Il censimento del 2011 ha rivelato che i britannici autoctoni sono diventati una minoranza a Londra. I migranti si sono concentrati nei quartieri centrali e gli autoctoni si sono trasferiti in quelli esterni (schema a ciambella).
La metà dei bangladesi di Londra vive nel quartiere di Tower Hamlets. Il quartiere è ostaggio della faida che in Bangladesh oppone i due principali partiti politici: la Lega Awami e il Partito Nazionalista del Bangladesh.
In Gran Bretagna aumentano le donne bangladesi che si velano completamente, mentre in Bangladesh le donne non indossano il velo.
L’eminente economista Paul Romer, esperto in teoria della crescita, ha formulato la proposta di creare delle charter cities, aree messe a disposizione da un governo di un paese povero e gestite da un paese ricco.
Da una ricerca del 2010 di Ruud Koopmans emerge che il tasso di integrazione degli immigrati risente delle scelte politiche del governo ospitante: le politiche multiculturali rallentano l’integrazione. Inoltre, quando il sistema di previdenza sociale è generoso, l’integrazione rallenta perché gli immigrati non sono spronati a salire i gradini della scala sociale.
Uno studio pubblicato sull’immigrazione di massa verso la Gran Bretagna (Dustmann 2012) ha scoperto che ai livelli più bassi l’immigrazione provoca la riduzione dei salari degli autoctoni, ma agli altri livelli ne provoca l’aumento. Tuttavia gli effetti generali sui salari degli autoctoni sono trascurabili.
I migranti entrano in competizione con i ceti più disagiati della popolazione autoctona per gli alloggi popolari e per l’accesso alla scuola pubblica.
Una stima pubblicata in Gran Bretagna dall’Office for Budgetary Responsibility (Ufficio per la responsabilità di bilancio) ha indicato che i prezzi delle case sono saliti del 10 percento a causa delle migrazioni.
Negli Stati Uniti gli immigrati e i loro figli hanno brevettato un numero altissimo di invenzioni.
L’unico effetto dimostrato della migrazione a lungo termine è l’aumento della popolazione.
Secondo uno studio di Card del 2005 in America i figli degli immigrati sono più istruiti e percepiscono retribuzioni più elevate.
A Sidney, in Australia, il miglior istituto scolastico è frequentato al 90 percento da asiatici-orientali.
A New York le migliori scuole pubbliche sono frequentate al 70 percento da asiatici. Molte università americane hanno messo dei limiti al numero di studenti asiatici. Al contrario, alcuni atenei privati inglesi favoriscono l’inserimento di studenti asiatici, considerati bravissimi, per raggiungere i vertici delle classifiche universitarie.
In Canada, la metà degli iscritti alla facoltà di Giurisprudenza proviene dall’Asia orientale.
A Londra il 70 percento degli immobili di lusso è posseduto da migranti.
In Francia gli stranieri rappresentano il 6 percento della popolazione e il 21 percento della popolazione carceraria.
In America il tasso di criminalità dei migranti è inferiore a quello dei locali.
Oltre la metà della popolazione londinese è costituita da immigrati. Il numero degli abitanti è lo stesso del 1950 quando c’erano solo autoctoni. E’ possibile, dunque, che l’immigrazione abbia spinto la popolazione autoctona a lasciare la città.
Nel 2011 il tasso di emigrazione autoctona dell’Irlanda era il più alto mai registrato dal diciannovesimo secolo.
A Dubai il 95 percento della popolazione residente è straniera. Si tratta di “lavoratori ospiti” che non possono acquisire cittadinanza né diritto di soggiorno. Devono avere un contratto di lavoro e comportarsi bene. Le loro retribuzioni sono equiparate a quelle del mercato mondiale.
In America per i clandestini è prevista la deportazione: l’amministrazione Obama espelle circa 400.000 persone all’anno.
Alcuni economisti, guidati da Richard Layard consulente ufficiale del primo ministro britannico David Cameron, stanno riformulando le politiche pubbliche sulla base della felicità. Il governo inglese ha introdotto un nuovo indicatore per monitorare i livelli di felicità a prescindere dal reddito.
Gli studi sulla felicità indicano che le relazioni sociali contano di più del reddito.
Il divario di reddito tra i paesi ricchi e i paesi poveri è dovuto non tanto alle caratteristiche dei loro abitanti quanto a quelle dei paesi.
Ogni anno gli Stati Uniti mettono in palio circa cinquantamila visti che attirano circa 14 milioni di concorrenti.
Il tasso migratorio di un paese d’origine verso un altro paese è influenzato anche dal reddito del paese ospitante rispetto ad altri possibili paesi.
«Un lavoratore può decuplicare la sua produttività semplicemente spostandosi da una società disfunzionale a una più funzionale».
Il professor Jagdish Bhagwati, economista della Columbia University, emigrato egli stesso dall’India, ha proposto che gli immigrati versino una tassa aggiuntiva speciale a favore dei loro paesi di origine.
Attualmente le rimesse inviate a ogni immigrato al suo pase d’origine ammontano a circa 1000 euro all’anno. Generalmente vengono inviate piccole e frequenti quantità di denaro, per dimostrare alla famiglia che non ci si è dimenticati di loro.
«I migranti sono i beneficiari delle migrazioni».
Mediamente nei paesi più poveri il reddito pro capite ammonta a circa 2000 dollari l’anno.
Non sono i più poveri coloro che emigrano, ma coloro che sono in grado di sostenerne il costo economico. Il tasso di emigrazione del Sahel, la regione più povera del mondo, è bassissimo proprio perché i suoi abitanti non possono permettersi di partire e non ci sono sbocchi sul mare.
E’ probabile che la scelta di migrare non sia compiuta solo dall’individuo ma anche dalla sua famiglia, che decide di finanziarlo in cambio di futuri invii di denaro.
Tutti i paesi ad altro reddito hanno adottato misure restrittive all’immigrazione. La maggioranza impone requisiti di istruzione, altri aggiungono anche competenze professionali. I più rigidi sono Australia e Canada, società che sono state create da immigrati. Subito dopo l’America. L’Europa è quella che fissa requisiti meno severi nel campo dell’istruzione.
L’istruzione per i possibili futuri migranti è quindi una specie di assicurazione sul futuro.
Le diaspore facilitano l’immigrazione: mentre cercano lavoro i migranti possono alloggiare presso i parenti. Inoltre, i migranti già stabiliti all’estero spesso possono pagare il biglietto di viaggio per i parenti in arrivo.
I legami familiari possono dare diritto all’ingresso in un paese a prescindere dal possesso dei requisiti richiesti.
Un sondaggio Gallup citato da Clemens nel 2011 indica che il 40 percento degli abitanti dei paesi poveri emigrerebbe nei paesi ricchi, se potesse.
«Gli immigrati non competono frontalmente con i lavoratori autoctoni poco qualificati ma tra di loro».
L’unico effetto dimostrato dell’immigrazione sulle retribuzioni è che fa diminuire i redditi dei migranti che sono già sul posto.
Il reddito pro-capite di Tonga è di 3700 dollari, quello della Nuova Zelanda è di 27.000 dollari.
Nelle Fiji l’emigrazione ha riguardato soprattutto la minoranza etnica indiana.
E’ probabile che un paese governato male registri un alto tasso di emigrazione: la gente che non può votare se ne va.
Capo Verde registra il tasso di emigrazione più alto di tutta l’Africa. Subito dopo c’è l’Eritrea.
Secondo l’indice Mo Ibrahim, un sistema di classificazione globale gestito dagli africani, Capo Verde è sempre tra i primi posti. Nel 2011 il suo Presidente uscente ha vinto il primo premio come miglior leader, portando a casa cinque milioni di dollari. L’Eritrea invece è in fondo alla classifica avendo un regime autoritario.
E’ probabile che i migranti assorbano le norme democratiche della società ospitante se questa è democratica e che poi riescano a trasferirle quando tornano al loro paese d’origine. I migranti che tornano in patria sono più propensi a votare rispetto agli altri, che dopo spesso li imitano.
Haiti ha negato ai migranti il diritto alla doppia cittadinanza. Con una popolazione intorno ai 10 milioni di abitanti, ha perso l’85 percento della sua popolazione istruita. Fino al 2000, Haiti ha perso più 130.000 lavoratori istruiti.
La Giamaica ha perso il 14 percento della sua manodopera qualificata.
Secondo uno studio di Spilimbergo del 2009, dal 1990 oltre i due terzi dei capi di governo dei paesi in via di sviluppo ha studiato all’estero: per esempio, la Presidentessa della Liberia, Ellen Johnson Sirleaf, che ha vinto un premio Nobel; il primo Presidente democratico della Guinea, Condé; il Presidente della Costa d’Avorio, Ouattara; il ministro delle Finanze nigeriano, Okonjo-Iweala.
La maggior parte dei docenti delle università africane hanno studiato nelle università occidentali.
La Cina ha goduto del vantaggio del ritorno di moltissimi suoi studenti che erano emigrati. Ma più il paese è disagiato, più è difficile che gli studenti abbiano voglia di tornare.
Secondo uno studio del 2011 di Yang gli emigrati messicani negli Stati Uniti inviano il 31 percento dei loro guadagni al paese d’origine; i migranti del Salvador che vivono a Washington inviano il 38 percento. I senegalesi in Spagna hanno il record mondiale delle rimesse: il 50 percento; i ghanesi in Italia circa un quarto; i marocchini in Francia un decimo e gli algerini l’8 percento. I cinesi in Australia e i filippini negli Stati Uniti il 6 percento. Agli ultimi posti: i turchi in Germania e i cubani in America, che inviano il 2 percento.
Nel 2012 le rimesse dai paesi ricchi a quelli in via sviluppo ammontava a circa 400 miliardi di dollari, il quadruplo degli aiuti mondiali.
I due paesi di origine che ricevono di più sono Cina e India, con più di 50 miliardi di dollari ciascuno.
Haiti riceve dai suoi migranti intorno al 15 percento del suo reddito, il Salvador il 16 percento, il Bangladesh e le Filippine il 12 percento. Il paese che riceve il più alto afflusso di rimesse rispetto al suo reddito è il Senegal, il 9 percento.
Secondo Yang e Choi le rimesse funzionano per le famiglie di origine come una polizza assicurativa. Servono a bilanciare i momenti di crisi.
Uno studio di Docquier del 2012 ha evidenziato come più si allentano i controlli all’immigrazione, meno rimesse vengono inviate a casa soprattutto perché i migranti tendono a farsi raggiungere dai parenti.
Il miracolo economico della Turchia è stato realizzato dalla migrazione dei poveri dalle aree rurali verso Istanbul, non dalle migrazioni internazionali.
«Il nome del movimento terrorista nigeriano Boko Haram significa “l’istruzione occidentale è peccato”».
«L’obiettivo fissato dalle Nazioni Unite per la quota dei bilanci nazionali da destinare agli aiuti è dello 0,7 per cento».
«Michael Sandel ha dimostrato che nell’arco dell’ultima generazione, sulla base dei presupposti individualistici dell’analisi economica, la fornitura di alcuni beni fondamentali un tempo garantiti dallo Stato è diventata di competenza del mercato».
In campo psicologico secondo Jonathan Haidt il senso di comunità è uno dei sei principi morali fondamentali riconosciuti praticamente da tutti.
La Catalogna è la regione più ricca della Spagna e trasferisce allo Stato centrale il 9 percento del suo reddito.
L’Unione Europea ridistribuisce molto meno dell’1 percento del reddito ai suoi membri.
La popolazione del Kenya è suddivisa in 50 etnie diverse. Il Presidente Kenyatta e i suoi successori hanno sfruttato l’etnicità per assicurarsi il sostegno di fedelissimi. Viceversa il Presidente fondatore della Tanzania, Julius Nyerere, al di là del confine e con altrettante etnie, ha privilegiato l’identità nazionale a quella etnica.
In alcuni paesi come Israele, i controlli all’immigrazione sono talmente rigidi che gli autoctoni che decidono di emigrare non hanno il diritto di ritornare.
Secondo un sondaggio condotto a livello mondiale gli australiani sono le persone più felici della terra.
L’Australia è abitata da soli 30 milioni di persone, quasi tutte discendenti da immigrati. Anche il suo Primo Ministro è un’immigrata. Eppure, il governo australiano ha imposto vincoli molto severi all’ingresso legale. Una recente misura stabilisce che le persone soccorse debbano essere detenute al di fuori del territorio australiano e non godere di alcun trattamento preferenziale.
«Riguardo alla compassione, è opportuno notare che le persone più bisognose del pianeta non sono i migranti dei paesi poveri. Di solito, i migranti provengono dal ceto più benestante del loro paese in quanto i più poveri non possono permettersi ci sostenere i costi della migrazione. Le persone più bisognose sono quelle che rimangono a casa».