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 2015  maggio 09 Sabato calendario

A Matthew Parker Street, quartier generale del Partito conservatore, l’euforia ha lasciato il passo alla stanchezza

A Matthew Parker Street, quartier generale del Partito conservatore, l’euforia ha lasciato il passo alla stanchezza. I portavoce della campagna elettorale di David Cameron tirano il fiato dopo mesi di corse frenetiche. «Dovete parlare con Downing Street», è il loro modo per dire che la battaglia per i seggi è finita, che hanno vinto e che il Primo ministro si rimette in marcia per disegnare il Regno Unito del prossimo decennio. Per prevalere Cameron ha assunto due strateghi «stranieri»: Jim Messina, che fu il manager della campagna elettorale di Obama, e Lyndon Crosby, l’australiano dei miracoli, che è riuscito a far eleggere Boris Johnson sindaco di Londra. È stata sua l’idea di semplificare il messaggio per raggiungere il cuore e un po’ le tasche degli inglesi. «David, vinci se parli di economia». I nodi da sciogliere Ora, incontrata la Regina, annunciato che il governo non cambia nei suoi uomini cardine e che l’agenda per il 2020 è ben delineata, restano però i nodi. Il primo è come tagliare 12 miliardi di sterline di spese (non solo dal welfare) e tenere sostenuta la crescita del Pil. C’è inoltre la promessa, impegnativa, di azzerare il deficit entro il 2019. L’altro inghippo è il rapporto con l’Europa. Cameron ha annunciato che il referendum si farà, e ha ribadito che negozierà con Bruxelles la membership britannica al club dei Ventotto. Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, gli ha recapitato un messaggio distensivo: siamo pronti a parlare. Anche se poi ha posto dei limiti: alcuni temi come la libera circolazione delle persone sono off limits. Proprio quello che molti backbenchers, i deputati delle seconde file, vorrebbero ridiscutere da capo. Una fonte diplomatica inglese dice: «C’è un gruppo di parlamentari che mai accetterà le proposte della Ue, vogliono la Luna». E quella Cameron non può offrirla. Ma la Luna per molti è semplicemente togliere il disturbo dai salotti brussellesi. Uno studio dell’Eurasia Group fotografa bene la situazione che potrebbe crearsi nei prossimi mesi. Cameron rischia di trovarsi schiacciato: da una parte i «niet» europei a modificare l’architettura dell’Unione, dall’altra le spinte isolazioniste dei suoi deputati. Quelli euroscettici non sono la maggioranza nel nuovo Parlamento, ma vista la maggioranza risicata possono far capitolare il Primo ministro. La stragrande maggioranza dei conservatori è stata infatti riconfermata. Fra loro ci sono molti dei «100 ribelli» che nel 2012 celebrarono i 20 anni della rivolta contro il Trattato di Maastricht, che l’allora premier conservatore John Major aveva firmato scatenando, qualche anno dopo, l’ira della Thatcher. Ventisei deputati Tory e anti-Ue nel 1992 quasi riuscirono ad abbattere l’esecutivo. È bene che Cameron tenga a mente la storia. Nel 2013 in settanta minacciarono di votare contro il Queen’s Speech troppo (sic) europeista per queste latitudini. Euroscetticismo in crescita Uno studio pubblicato ieri dall’università di Huttersfield e firmato Chris Gifford fra l’altro spiega, dati delle urne alla mano, come l’euroscetticismo sia in crescita nel Paese. L’ultimo sondaggio (chissà quanto credibile visto il precedente dell’altra notte) dice che il 51% dei britannici voterebbe per uscire dalla Ue. La politica del governo, quindi, sull’Europa sarà intrecciata e influenzata al tema dell’immigrazione. «Il governo si sposterà più a destra», dice un analista vicino ai conservatori. Potrebbe arrivare una stretta sul welfare per gli stranieri. Cameron ha già un piano in mente: trattare con la Ue (magari già a Riga il 22 maggio e a Bruxelles il 21 giugno) e poi fare campagna per il sì coinvolgendo laburisti e liberaldemocratici. Così salverebbe anche il Regno Unito in caso di successo. Gli scozzesi sono fortemente pro-Ue. Se Cameron cedesse o fosse messo in minoranza dai backbenchers euroscettici, non solo Londra uscirebbe dalla Ue, ma la Scozia si ribellerebbe. «Così fra dieci anni l’Inghilterra sarebbe un’isola più piccola e sola», sorride Jonathan Hopking della London School of Economics.