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 2015  maggio 08 Venerdì calendario

E L’AMERICA RISCOPRÌ I SINDACATI


[note alla fine]

1. IL 19 FEBBRAIO, LA CATENA DI SUPERMERCATI Wal-Mart ha annunciato l’aumento a nove dollari l’ora del salario minimo applicato ai suoi dipendenti. La settimana seguente il Wisconsin, patria del sindacalismo statunitense, ha varato una legge sul diritto al lavoro. Cosa sta succedendo?
Alcuni analisti ritengono che l’iniziativa legislativa del Wisconsin sia la spia di un cambiamento più ampio, mentre quella di Wal-Mart sarebbe poco più di una mossa pubblicitaria. La realtà però è più complessa. Che il gigante della distribuzione cominci a prendere le distanze dal suo implacabile modello di compressione salariale è importante, non solo perché altre catene come T.J. Maxx, Ikea, Target e McDonald’s hanno seguito l’esempio. Piuttosto, la mossa riflette il fatto che, sull’onda della grande recessione, la sinistra ha riguadagnato consensi presso l’opinione pubblica, mettendo fine, almeno negli Stati Uniti, all’egemonia ideologica neoliberista. I tempi in cui la promozione dei profitti aziendali era vista come l’unica politica di sviluppo possibile sono tramontati; ora il dibattito pubblico ruota attorno a questioni come la stagnazione dei salari, la diseguaglianza crescente e le minacce alla nostra democrazia.
Nelle battaglie sul salario minimo combattute a livello statale in vista delle elezioni di metà mandato del novembre 2014, le posizioni progressiste si sono imposte persino negli Stati «rossi» a maggioranza repubblicana. Queste vittorie sono state seguite dall’approvazione all’unanimità, da parte del Consiglio municipale di San Francisco, di una Carta dei diritti per i lavoratori del commercio al dettaglio, che impone alla grande distribuzione di applicare orari equi. La normativa sulla malattia retribuita sta guadagnando terreno in tutto il paese, a cominciare dal New Jersey che è sul punto di varare una legge in materia. La Casa Bianca ha inviato il ministro del Lavoro Thomas Perez e l’alto consigliere Valerie Jarrett in giro per il paese a perorare la causa.
L’ultimo discorso di Obama sullo stato dell’Unione, in cui tra l’altro si auspica che l’«economia della classe media» benefici le famiglie americane, ha mostrato chiaramente da che parte tira il vento. Anche la candidata Hillary Clinton, grande amica di Wall Street, sta sviluppando un’agenda di «prosperità inclusiva» il cui autore è nientemeno che l’ex campione neoliberista Larry Summers. La maggioranza dei deputati democratici al Congresso ha adottato le proposte di bilancio del Progressive Caucus, il maggior gruppo parlamentare della sinistra. Persino Jeb Bush e il capogruppo repubblicano alla Camera John Boehner riconoscono che una prosperità duratura è incompatibile con l’esistenza di marcate diseguaglianze. Proprio l’ammissione, da parte di alcuni repubblicani, che la diseguaglianza ostacola la creazione e il consolidamento di una società prospera è indicativo, perché nessuno di loro sa proporre una valida alternativa. Ora che l’ideologia neoliberista ha perso la sua credibilità, non hanno nient’altro da dire che «bombardate l’Iran».
Altrettanto indicativo è il modo in cui i cosiddetti accordi di libero scambio vengono gestiti. Nel 1993, l’allora vicepresidente Al Gore illustrò le ricadute a suo dire positive del Nafta (North Atlantic Free Trade Agreement) in un dibattito televisivo con Ross Perot [1]. Oggi, Obama sta cercando di portare avanti negoziati segreti sulla Trans-Pacific Partnership (Tpp) senza spiegare come l’accordo in gestazione possa giovare agli interessi americani. Le poche e reticenti dichiarazioni rese sinora non hanno niente a che fare con l’ideologia neoliberista. Invece di illustrare in che modo la caduta di qualsiasi barriera all’investimento delle multinazionali nell’area pacifica creerebbe magicamente nuova ricchezza, il presidente ha avanzato una spiegazione del tutto diversa nel suo State of the Union: la Tpp rafforzerà il potere contrattuale dell’America rispetto alla Cina, impedendo a quest’ultima di fare concorrenza al made in Usa con un renminbi svalutato. Evidentemente, la Casa Bianca capisce che il popolo americano guarda al commercio internazionale in un’ottica nazionalistica, più che in una prospettiva neoliberista. Sembra dunque che i sindacati, i quali si oppongono tenacemente al trattato, stiano avendo la meglio.

2. Sebbene i recenti successi sul salario minimo e sulle condizioni di lavoro a Wal-Mart abbiano migliorato la vita a milioni di americani, la maggior parte dei beneficiari non è iscritta al sindacato. Gli impiegati di Wal-Mart, Target e McDonald’s non sono sindacalizzati e verosimilmente non lo diverranno a breve. È il paradosso evidenziato da Harold Meyerson sul Washington Post [2], le politiche sindacali fanno proseliti, ma la forza dei sindacati resta circoscritta. Gli attacchi ai sindacati del settore pubblico e privato stanno prosciugando le loro casse, sottraendo risorse essenziali alle campagne sul salario minimo, sulla malattia retribuita, sulle condizioni di lavoro nelle catene di fast food e della grande distribuzione. La prospettiva di un’imminente pronunciamento della Corte suprema sui sindacati del settore pubblico spaventa molti dipendenti e attivisti degli stessi. Steven Greenhouse, giornalista del New York Times da poco in pensione, ha previsto [3] che il prosciugamento delle finanze sindacali avrà un effetto diretto sulle presidenziali del 2016.
Si tratta di problemi seri, che richiedono soluzioni creative ed efficaci, ma che al contempo non devono offuscare le opportunità schiuse dalla sconfitta dell’ideologia neoliberista. Poche settimane fa, Wal-Mart ha annunciato che smetterà di opporsi alla multa di 7 mila dollari inflittale dalla Occupational Safety and Health Administration per la negligenza all’origine della morte di un impiegato nel Black Friday (il venerdì successivo alla festa del Ringraziamento, in cui i negozi praticano grossi sconti, n.d.r.) del 2008. La rinuncia di Wal-Mart, dopo oltre un milione di dollari speso in avvocati, è il segno che le leggi federali sul lavoro cominciano infine a intaccare l’impunità delle grandi aziende, dopo anni d’impotenza. Intanto, Obama ha posto il veto sull’ultima sortita repubblicana contro i sindacati al Congresso: una legge che impedirebbe al National Labor Relations Board (Nlrb, l’agenzia governativa incaricata di gestire le elezioni delle rappresentanze sindacali e di vigilare sugli abusi di sindacati e datori di lavoro in merito, n.d.r.) di far sì che le aziende non ostacolino l’elezione dei rappresentanti sindacali, pratica spesso adottata per scoraggiare la sindacalizzazione.
C’è dell’altro. La Nlrb vuole estendere le norme sul lavoro ai marchi che operano su licenza, come McDonald’s: considerandole alla stregua di co-datori di lavoro, queste aziende verrebbero ritenute responsabili degli abusi su orari e stipendi perpetrati dai gestori dei singoli punti vendita. Un simile scenario era impensabile all’apice del neoliberismo, ma da quando i misfatti di Wall Street sono venuti alla luce sull’onda della crisi economico-finanziaria, è molto più difficile dipingere i capitalisti come i buoni, i creatori di lavoro, gli eroi dell’economia. Piuttosto, oggi sono percepiti come ladri, plutocrati, avversari dell’ecologia e nemici della scuola statale, baroni intenti a demolire il settore pubblico per poter fare altri milioni con gli appalti e i salvataggi governativi. Nel nuovo dibattito sulla diseguaglianza, la gente parla di come creare buoni impieghi, aumentare gli stipendi, mettere al bando i bonus spropositati, porre fine al controllo dei privati sullo Stato.
Alcuni segnali indicano una crescente consapevolezza del nuovo clima negli ambienti progressisti. Rand Wilson, impiegato della Service Employees International Union (Seiu, grande sindacato nordamericano dei lavoratori del terziario, n.d.r) e pioniere delle strategie sindacali, ha proposto che i sindacati rispondano all’offensiva dell’American Legislative Exchange Council (Alec, una lobby imprenditoriale, n.d.r.) sul «diritto al lavoro» con una contro-campagna altrettanto aggressiva. Invece di difendere il diritto dei sindacati a riscuotere quote da chi non desidera essere iscritto, le organizzazioni sindacali dovrebbero contestare la norma che consente ai datori di lavoro di licenziare «a piacimento» (cioè senza giusta causa), motivo di perenne insicurezza per i lavoratori. Il discorso di Wilson è semplice: se la gente ritiene ingiusto che i sindacati tassino quanti non vogliono essere rappresentati, considera altrettanto ingiusto che un’azienda possa licenziare un buon lavoratore semplicemente perché ne ha voglia. Questa strategia si rivelerà certamente controversa tra i leader sindacali preoccupati per l’assottigliamento della loro base contributiva, ma illustra le nuove opportunità che si vanno delineando con l’indebolimento del vangelo neoliberista.
La governatrice dell’Oregon Kate Brown ha recentemente mostrato come i progressisti possano passare all’offensiva in materia di diritti di voto, promulgando una legge che rende automatica la registrazione nelle liste elettorali per chiunque figuri nel registro automobilistico dello Stato. Questa mossa potrebbe aggiungere 300 mila nuove persone all’elettorato dell’Oregon e illustra in che modo i progressisti possano contrastare gli sforzi della destra volti a penalizzare le classi lavoratrici.
Intanto al Congresso la deputata del Connecticut Rosa De Lauro e la senatrice di New York Kirsten Gillibrand hanno presentato il Family Act, che estenderebbe il diritto ai permessi familiari e per malattia retribuiti ben oltre gli angusti termini previsti dal Family Medical Leave Act del 1993. La loro proposta, sostenuta dalla National Partnership for Women and Families, da Family Values at Work, dai sindacati e da una moltitudine di organizzazioni per i diritti delle donne, riconoscerebbe un permesso parzialmente retribuito a quanti debbano assentarsi dal lavoro per motivi di salute o per accudire familiari malati. I lavoratori riceverebbero fino al 66% dello stipendio per un massimo di 12 settimane. A differenza della legge del 1993, questa coprirebbe gli impiegati di tutte le aziende, non solo delle grandi. Al pari delle proposte per la classe media lanciate da Obama nel discorso sullo stato dell’Unione, il Family Act tenta di rispondere alla profonda insoddisfazione degli americani per le politiche e le pratiche aziendali ostili alla famiglia che vigono nel paese. Gli Stati Uniti sono l’unico paese industrializzato in cui ai lavoratori non è riconosciuto nemmeno un giorno di assenza retribuita per emergenze familiari. Sindacati e gruppi femministi possono sfruttare questa insoddisfazione per ampliare i diritti in materia di orario lavorativo, fermo restando che, ancora una volta, i beneficiari delle nuove norme sarebbero in stragrande maggioranza persone non iscritte al sindacato.

3. Altrettanto importante del nuovo clima è il fatto che i sindacati stanno finalmente stringendo il tipo di alleanze in grado di compensare il declino degli iscritti e degli introiti. La presenza sindacale alla marcia newyorkese di settembre contro il cambiamento climatico è stata senza precedenti e ha spianato la strada a un’inedita collaborazione tra sigle sindacali e ambientalisti. Il movimento di protesta Black Lives Matter contro la violenza spesso letale della polizia ai danni di persone di colore ha visto l’adesione di attivisti sindacali nella contea di St. Louis e in molti altri luoghi. I vertici dell’Afl-Cio (il principale sindacato statunitense, n.d.r.), inizialmente lenti nel rispondere all’assassinio di Michael Brown a Ferguson (Missouri), hanno infine invitato i leader sindacali di tutto il paese a organizzare dibattiti sulle barriere razziali alla solidarietà tra lavoratori e su come la cattiva gestione dell’ordine pubblico e l’incarcerazione di massa stiano danneggiando la società americana.
Inoltre i sindacati, che un tempo vedevano nei centri d’assistenza spuntati come funghi per proteggere i diritti dei lavoratori immigrati una forma di concorrenza sleale, hanno cominciato a tessere efficaci alleanze con queste organizzazioni ad Austin (Texas), a New Brunswick (New Jersey) e a Los Angeles. A Chicago, la Interfaith Worker Justice, una coalizione di Chiese, sindacati, gruppi di difesa degli immigrati, centri di assistenza al lavoratore e associazioni civiche, è riuscita a far sì che il governo della contea di Cook varasse una legge contro la decurtazione arbitraria del salario concordato, pratica diffusa nella ristorazione, nell’edilizia e nelle agenzie interinali che forniscono magazzinieri alla grande distribuzione. Il dipartimento del Lavoro ha persino cominciato a collaborare con sindacati e gruppi di difesa dei lavoratori per incrementare l’applicazione della legislazione sul lavoro. Nell’insieme, questi esempi mostrano che il mondo sindacale sta abbandonando l’autoisolamento che ne ha limitato la forza negli anni Settanta e Ottanta.
Sebbene il grosso di questi sviluppi abbia beneficiato i lavoratori non sindacalizzati, vi sono segnali del fatto che la rinnovata capacità dei sindacati di creare forti alleanze paghi in termini di iscritti. L’esempio più lampante è Los Angeles, dove le coalizioni sindacali si sono andate rafforzando negli ultimi vent’anni. Una di queste, la Los Angeles Alliance for a New Economy (Laane), ha mostrato di essere un valido alleato dell’International Brotherhood of Teamsters nella campagna volta a sindacalizzare i camionisti dei porti, che dalla deregolamentazione del settore sono diventati sulla carta lavoratori indipendenti, perdendo qualsiasi diritto. Con l’aiuto della Laane, i Teamsters sono riusciti a modificare la legge della California che definisce i termini d’impiego e il lavoro subordinato mascherato, hanno fatto pressione sull’Autorità portuale di Los Angeles per regolare le aziende di autotrasporto (con il fine dichiarato di ridurre l’inquinamento, oltre agli abusi contrattuali), hanno cominciato ad aggiudicarsi il diritto di eleggere rappresentanze sindacali e a strappare accordi collettivi che assicurano ai camionisti incrementi salariali, assicurazioni sanitarie, pensioni e misure di sicurezza sul lavoro. Un altro esempio è l’alleanza con i gruppi femministi per consentire alle collaboratrici domestiche di iscriversi ai sindacati e di essere inquadrate come lavoratrici dipendenti, con gli annessi benefici di legge.
In questo quadro, la decisione di Wal-Mart di portare il salario minimo ai miseri nove dollari l’ora può sembrare poca cosa, ma ha un alto valore simbolico. Mentre l’Europa è ancora impantanata nel dibattito sull’austerità e sul molo delle istituzioni comunitarie come strumento del rigore contabile, l’America ha voltato pagina. I progressisti ora combattono su un nuovo terreno: le forze conservatrici restano forti e continueranno a demonizzare il governo federale, ma non inneggiano più al neoliberismo. È una nuova lotta, una battaglia retorica tra il populismo di destra e quello di sinistra. Le frequenti apparizioni televisive e l’assidua presenza sui social media della senatrice Elizabeth Warren, paladina dei progressisti, dimostrano che la sinistra può vincere questa nuova guerra delle ideologie.
(Traduzione di Fabrizio Maronta)

1. «ROSS Perot vs. Al Gore NAFTA Debate FULL», 1993, YouTube.
2. H. MEYERSON, «The Seeds of a New Labor Movement», American Prospect, autunno 2014.
3. R. TRUMKA, «Trade Policy Vote Could Affect Organized Labor’s Role in 2016 Election», intervista su National Public Radio (NPR), 18/3/2015.