Paolo Conti, Sette 8/5/2015, 8 maggio 2015
IL MANAGER CHE HA COLTIVATO IN SILENZIO IL SUO SUCCESSO
È difficile che un uomo di 65 anni, forte di un gran successo professionale e di un solido carattere, decida di affrontare l’avventura di un’autobiografia ricorrendo esclusivamente all’arma della sincerità assoluta. Cioè senza edulcorare dolori e ferite, né cedere alla tentazione di quei piccoli revisionismi (e autoassoluzioni) che caratterizzano tanti racconti di vite e di ricordi. È la strada scelta da Roberto Wirth, primo e unico manager sordo profondo dalla nascita che sia riuscito a dirigere un grande hotel di lusso, quell’Hassler a Trinità dei Monti a Roma che costituisce uno dei rari brand indiscussi della Capitale nel mondo. Quando ha deciso di scrivere con l’attento e puntuale contributo del giornalista Corrado Ruggeri Il silenzio è stato il mio primo compagno di giochi, ora in uscita da Newton Compton Editori, Roberto Wirth è rimasto sempre e solo se stesso: «Perché tutta questa sincerità? Perché noi sordi profondi siamo diversi dagli udenti. La pelle e la faccia sono uguali, ma le differenze sono tante. Prima tra tutte la grande difficoltà che devi affrontare. C’è anche sofferenza. E quel sentimento ti rende chiaro, onesto, diretto. In quanto al libro, ho semplicemente seguito le domande di Corrado Ruggeri. Ci conosciamo da anni, sentivo di potermi fidare. Quando ho riletto per la prima volta tutto il libro ho provato, all’inizio, un po’ di vergogna perché avevo messo in gioco molti sentimenti. Ma poi ho pensato che la mia storia sarebbe stata utile ad altre persone nelle mie condizioni. Soprattutto a chi si scopre genitore di un sordo profondo. Non tutti sono in grado di capire e di gestire un problema del genere».
La regina Audrey. Chiaro, onesto e diretto è anche il modo in cui si presenta fisicamente quest’uomo elegante, asciutto, dallo sguardo deciso come la sua stretta di mano, un sorriso che ha conquistato (lo testimoniano le fotografie pubblicate nel cuore del libro) la stima e l’amicizia di personaggi come Madonna, Lady Diana, Tom Cruise, Will Smith, la splendida Audrey Hepburn che lui definisce «una vera regina». Wirth, come spiega nel risvolto di copertina, si esprime con la lingua dei segni in italiano e in americano. Ma la sua capacità comunicativa raggiunge qualsiasi interlocutore anche mentre parla, naturalmente come e quanto può parlare un sordo profondo.
Circondato dal ghiaccio. Il risultato finale del libro è un racconto denso e schietto, pronto per una coraggiosa trasposizione cinematografica o televisiva, perché si scopre una vita autentica, complessa, ricca di vittorie e di conquiste dopo una partenza inevitabilmente svantaggiata. Tutto comincia quando Wirth ha poco più di un anno e nonno Otto Bucher si accorge, per istinto, che qualcosa non va in quel bambino che gattona ma non si gira mai quando qualcuno lo chiama. La conferma arriva dopo un consulto medico. E lì comincia il capitolo durissimo di una partenza nella vita perché, scrive Wirth, «allora la sordità rappresentava un grosso problema. Significava, in prospettiva, rischiare di restare ai margini della vita produttiva e dei rapporti sociali. E soprattutto non c’erano ancora strutture e organizzazioni alle quali i genitori potessero rivolgersi per avere suggerimenti e indicazioni su come comportarsi». Questa difficoltà, in una famiglia altoborghese e cosmopolita, si traduce per il piccolo Roberto in un forte deficit affettivo descritto senza sconti nel libro. Basterebbe il passaggio in cui si ricostruisce quel bambino che cresce a Milano, lontano dai genitori che lo vanno a trovare una sola volta in cinque anni e nemmeno assistono alla sua Prima comunione. Unica fonte di calore in tanto ghiaccio è la signorina Win, una suora laica che diventa la sua affettuosa istitutrice. Ancora oggi se chiedi a Roberto Wirth chi sia stata la persona più cara della sua infanzia, risponde senza esitazioni «la signorina Win», rimpianta come una vera madre. Il padre Oscar Wirth è stato per Roberto «al contempo il mio modello e la mia principale fonte di disperazione», capace di ordinare al figlio di tenere subito le mani sotto il tavolo quando avrebbe voluto esternare la sua gioia per i progressi scolastici. Però il ritratto di quel padre distante e difficile campeggia all’ingresso dell’Hassler, scelta molto eloquente. In quanto alla madre Carmen, dubbiosa fino all’ultimo sulla capacità di Roberto di prendere le redini del bene di famiglia, valgono le righe pubblicate all’inizio del libro: «Roberto, scusami, non ho saputo amarti… hai raggiunto il successo con le tue sole forze, promettimi che un giorno racconterai la tua vita, scrivila». E il libro è dedicato a quella madre incapace di amare.
La scommessa. Eppure tanta mancanza di calore umano ha prodotto un uomo amato da molte donne (alcune incuriosite dalla sua condizione, come si legge nelle pagine dedicate ai suoi studi negli Stati Uniti), padre di due figli - Robertino e Veruschka- fieri di lui, manager di un hotel guidato con mano sicura ma anche con un notevole attaccamento personale ai dipendenti, fondatore dell’associazione non profit Centro assistenza per bambini sordi e sordociechi Onlus, diretta ora da Stefania Fadda. Per ricostruire la sua vita si è affidato all’aiuto della sua amica Anna Folchi, sorda come lui e a sua volta figlia di due sordi. E alla fine del libro si trova la sintesi di un percorso: «Nessuno ha coscienza immediata delle nostre difficoltà e ogni volta dobbiamo spiegare quali sono. Una vita difficile che rischia di traghettarci verso la solitudine». Lui invece ce l’ha fatta, come scrive all’inizio. Aver vinto questa scommessa è la chiave della vita di Roberto Wirth, uomo coraggioso.