Enrico Mannucci, Sette 8/5/2015, 8 maggio 2015
IL CAVIALE MADE IN BRESCIA NATO DA UN’ACCIAIERIA CONQUISTA ANCHE LA RUSSIA
L’impresa che ha portato l’Italia ad essere il massimo produttore mondiale di caviale (e ad esportarlo anche in Russia) nasce dall’incontro fra un industriale metallurgico, Giovanni Tolettini — viene dalla Valsabbia, lì aveva già un’acciaieria, «come tutti i valsabbini», ci verrà spiegato — e Gino Ravagnan, esponente di una famiglia che ha grande competenza, nonché interessi, nell’itticoltura. Il secondo, in particolare, autorevole docente nel settore, con cattedra a Udine e pubblicazioni ancor più specifiche sulla “vallicoltura”, cioè le forme di allevamento ittico — fra le più antiche, detto per inciso — prosperate nelle valli della laguna veneta, adattissime —molto prima che fossero famose per la caccia “in botte” — grazie a tecniche di cattura dei pesci basate su forme di “richiamo” che sfruttavano differenze di temperatura e di salinità.
L’incontro è innescato da un nuovo stabilimento in costruzione vicino a Calvisano, provincia di Brescia. Siamo alla metà degli anni Settanta. Il territorio è ricco d’acqua e il sistema di raffreddamento per gli impianti dell’acciaieria sfrutta le falde che arrivano dalla Maniva: è un’acqua purissima e in più filtrata dalla ghiaia della pianura padana. Terminato il ciclo, quell’acqua è rimasta purissima — non entra mai a contatto con l’acciaio — ma è calda. Tolettini ci ragiona. Il Garda è a una quarantina di chilometri, non è il caso di far concorrenza alle terme. Lui, piuttosto, qualcosa di itticoltura sa, soprattutto che il tasso di crescita dei pesci dipende dal calore dell’acqua. La competenza di Ravagnan lo conforta: nel 1976, accanto all’acciaieria, scava una quindicina di vasche dove fa defluire l’acqua riscaldata e acquista una partita di pesci. È pronto per inaugurare un allevamento di anguille. Lo battezza Agroittica. Gli affari vanno bene, all’inizio. Però il mercato delle anguille è destinato al declino: l’animale è brutto, difficile da lavorare, la richiesta massiccia capita solo in certi periodi. Alla fine del decennio, Tolettini è già costretto a guardarsi in giro per trovare un’alternativa (e, a complicare le cose, nel giro di poco tempo si profilano problemi anche per l’impegno più consistente: incombe la crisi del tondino).
Qui, le storie tramandate in azienda divergono un po’. Nei particolari, non nella sostanza. Secondo alcune versioni, Tolettini comincia a girare il mondo, una volta capita in California all’università di Davis (specializzata in campo agroalimentare e zootecnico) insieme a Gino Ravagnan, e lì i due s’imbattono in un esule russo, il professor Serge Doroshov. È uno di quegli incontri che cambiano la vita. Almeno quella dei due italiani che, nel frattempo, sono diventati soci. Appena gli viene descritto il quadro della situazione a Calvisano, Doroshov non ha dubbi: «Guardate, per voi la specie migliore da allevare è lo storione bianco. Oltretutto, a differenza dell’anguilla, la sua carne è altamente pregiata». Secondo altre ricostruzioni, invece, l’esule da quella che, ancora per pochi anni, è l’Unione Sovietica, viene incrociato a Venezia, durante un convegno (nella sede di Agroittica si conserva orgogliosamente il manifesto, nella sala della direzione). Si tiene alla Fondazione Cini, dal 21 al 25 settembre 1981, e s’intitola World Conference on Aquaculture Trade.
Cambio di passo. La sostanza, comunque, è che inizia il ricambio dei pesci ospitati nelle vasche: dalle anguille si passa agli storioni. Ora, delle sperimentazioni con gli storioni erano già state fatte in Agroittica ma erano state abbandonate perchè i veri esperti nel campo erano in Urss e non era arrivata molta collaborazione, per usare un eufemismo.
Attenzione, qui non si parla ancora di caviale, ma di carne di storione venduta in pescherie e ristoranti di buon livello: «Fino al 1998 abbiamo prodotto caviale solo occasionalmente, quando capitava una femmina matura», precisa Stefano Bottoli, il direttore vendite.
Va ricordato che in Agroittica, intanto, entra un terzo socio, il gruppo Feralpi che ha rilevato l’acciaieria e che fa capo alla famiglia Pasini di Brescia.
Boom inatteso. Parte, dunque, il commercio della carne di storione. I primi arrivano in aereo dalla California. Col crollo dell’impero sovietico, comincia anche l’importazione dalla Russia. Ma presto si profila un altro problema: questa carne, per essere fruibile, ci mette sei anni (per intenderci, col salmone se ne impiega due): i tempi per rendere remunerativo l’investimento si dilatano pericolosamente. Senza contare che si tratta di un pesce caro e poco conosciuto dalle nostre parti. Il progetto sembra destinato al fallimento. E, stavolta, senza alternative, anche perché tornare indietro è impossibile: a fine 90, il mercato delle anguille va in crisi. Come nei thriller, è subito in arrivo un colpo di scena. Perché un organismo internazionale, il Cites (Convention for International Trade for Endangering Species), dichiara lo storione specie in via d’estinzione, per la doppia causa dell’inquinamento e del bracconaggio. Ne segue un tetto alla produzione di caviale e quindi all’export che viene contingentato. Un colpo basso per Russia ed Iran. È il 1998. L’anno della provvidenza per Agroittica. «Alcuni sintomi, con una certa crescita nella richiesta, li avevamo già avuti», ricorda Mario Pazzaglia, R&D manager. Ma ora è il boom.
L’azienda di Calvisano diviene subito maggior produttore al mondo di caviale, e oggi arriva a coprire quasi il 30% della richiesta mondiale. È anche l’inizio di una guerra sotterranea (e non) che i padroni spodestati del mercato avviano contro gli italiani: «Russi e persiani ci hanno combattuto, sia col mercato nero sia col marketing, con una propaganda che cercava di sminuire lo storione allevato», spiega Bottoli. Aggiungendo che, per qualità, questo ha superato il selvaggio: «Ormai, è la strada scelta in tutto il mondo. Solo che noi siamo arrivati prima», è il commento, fiero, nello stabilimento di Calvisano.
E non è vero solo per questi tempi recenti. Perché lo storione non è pesce esotico per le nostre parti. Già nel Rinascimento se ne esalta la prelibatezza. Sicuramente tre specie—della ventina in cui si dirama la famiglia — nuotavano nelle acque del Po, del Ticino e del Tevere oltre che nell’Adriatico, tra cui una delle più rare, il Beluga. Tutti gli storioni più importanti nuotano nell’acquario-antologia creato da Agroittica, attiguo alle vasche d’allevamento dove vivono circa 360.000 esemplari. Accanto alle cifre clamorose (l’export in Russia, iniziato tre anni fa, arriva a cinque tonnellate), l’azienda, intanto, allarga il raggio d’azione. Lavora, ad esempio, anche pesci di mare imprimendo il proprio marchio: «Da produttori puri, siamo diventati trasformatori, con un’identità precisa nel solco della qualità», sottolinea Bottoli.
Ripartendo da Agroittica, si costeggia l’acciaieria. Nel piazzale fumano cumuli di metallo appena lavorato e resti di produzione. Sono piccoli monti aggrumati, nerastri. Rammentano inesorabilmente le manciate di uova che abbiamo appena visto estrarre dalla pancia delle femmine di storione. Forse era proprio destino che caviale e tondino si incontrassero.
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