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 2015  maggio 08 Venerdì calendario

Post 5/5/2015 Il lungo sciopero dei treni in Germania Va avanti da lunedì e dovrebbe durare sette giorni, diventando il più lungo nella storia della Deutsche Bahn 5 maggio 2015 0 In Germania è iniziato lunedì uno sciopero che dovrebbe durare fino a domenica 10 maggio

Post 5/5/2015 Il lungo sciopero dei treni in Germania Va avanti da lunedì e dovrebbe durare sette giorni, diventando il più lungo nella storia della Deutsche Bahn 5 maggio 2015 0 In Germania è iniziato lunedì uno sciopero che dovrebbe durare fino a domenica 10 maggio. A scioperare sono, da lunedì 4 maggio, i macchinisti dei treni merci, a cui si sono aggiunti, da martedì 5 maggio, anche i macchinisti dei treni passeggeri: il loro obiettivo è proseguire nello sciopero per un totale di sette giorni. Lo sciopero è stato indetto dal GDL (Gewerkschaft Deutscher Lokomotivführer), un sindacato tedesco che rappresenta circa 20mila macchinisti che lavorano per la Deutsche Bahn, la società che gestisce le ferrovie tedesche e che ha circa 200mila dipendenti totali. I macchinisti di GDL protestano, spiega Reuters, per ottenere un aumento di stipendio del 5 per cento, una riduzione delle ore di lavoro settimanali (da 39 a 37) e, soprattutto, per avere la possibilità di negoziare i contratti anche a nome degli altri dipendenti delle ferrovie sui treni, come gli steward. I macchinisti hanno rifiutato la proposta di Deutsche Bahn, che ha offerto loro – escludendo dalla contrattazione il resto dei dipendenti – un aumento salariale del 4,7 per cento e il pagamento di un bonus “una tantum” di mille euro. Scrive Reuters che lo sciopero potrebbe costare 750 milioni di euro all’economia tedesca e causare una diminuzione dello 0,1 per cento nelle previsioni di crescita tedesca per il secondo quarto dell’anno. Se lo sciopero dovesse durare fino a domenica diventerebbe il più lungo nella storia della Deutsche Bahn, società che esiste in questa forma dal 1994. Fonte: Tonia Mastrobuoni, La Stampa 7/5/2015 Testo Frammento IN GERMANIA, IL SINDACATO DIVENTA POLITICO. LO SCIOPERO DEI TRENI CHE STA PARALIZZANDO IL PAESE E IL CASO DI WESELSKY, IL CAPO DEI MACCHINISTA CHE RIFIUTA OGNI COMPROMESSO. PERCHÉ QUI NON SI HA PIÙ HA CHE FARE CON GLI AUMENTI IN BUSTA PAGA O LE TUTELE DA SALVAGUARDARE, MA CON LA LEGGE CHE DA QUEST’ESTATE LIMITERÀ IL DIRITTO A NEGOZIARE I RINNOVI CONTRATTUALI SOLTANTO ALLE SIGLE PIÙ RAPPRESENTATIVE, E LA SUA, LA GDL, VERREBBE SPAZZATA VIA – Claus Weselsky, il capo dei macchinisti che sta paralizzando la Germania con lo sciopero dei treni più lungo del dopoguerra, rifiuta ogni compromesso. Abituati a sindacati che incrociano le braccia con estrema cautela, davvero come ultima istanza, i tedeschi sono divisi da mesi sui «duri e puri» della Gdl, che questa settimana scioperano per l’ottava volta. Ma il dettaglio che fa infuriare molti, è che Weselsky ha rifiutato ieri anche la «Schlichtung», il meccanismo che subentra nel caso falliscano le trattative. In questi casi viene istituita una commissione con rappresentanti delle parti – qui sarebbero delle ferrovie, della Deutsche Bahn e del sindacato Gdl – e un presidente scelto per «chiara fama» di abile mediatore, che spesso è un politico. In sostanza, il «no» di Weselsky è la conferma che il suo è uno sciopero politico. Le sue rimostranze ufficiali sono un dettaglio: il punto è salvare un’organizzazione che, a causa della legge restrittiva sugli scioperi che sarà approvata quest’estate, rischia di morire. È giusto creare disagi a milioni di persone – è anche la settimana della maturità in migliaia di licei – e produrre danni all’economia per oltre mezzo miliardo, per salvare il proprio sindacato? Da sempre, nel capitalismo corporativo tedesco, la mediazione e la ricerca del compromesso sono sacri. Per i sindacati tedeschi il datore di lavoro non è il nemico, non è l’odioso rappresentante del capitale. Lo attesta la famosa tradizione della cogestione, il fatto che in molte aziende i rappresentanti dei lavoratori siedano ai vertici e condividano rischi e responsabilità delle imprese. Più in generale, lo attesta l’abitudine delle rappresentanze di lavoratori a stringere la cinghia quando le aziende attraversano momenti bui, congelando i rinnovi, per poi formulare piattaforme generose quando si esce dalle emergenze. Nel 2007 lo stesso Weselsky, quando era designato a diventare capo della Gdl, negoziò un aumento in busta paga dell’11%. La cultura non conflittuale delle rappresentanze dei lavoratori tedeschi, per i più critici, a lungo andare ha addirittura prodotto danni all’economia, garantendo la moderazione salariale che in questi ultimi decenni ha contribuito a schiacciare il tallone d’Achille della prima economia europea, la domanda interna. Un’anemia che persino la Bundesbank tentò di curare: negli anni scorsi è rimasta storica un’esortazione ai sindacati a «osare di più», nei negoziati. Tuttavia, da qui a paralizzare un Paese per una settimana, ce ne vuole. Tanto più che sono – per fortuna – pochi i sindacati che possono produrre i danni e i disagi paragonabili ai macchinisti delle ferrovie tedesche. È anche questo il punto. I padri del Grundgesetz, della costituzione tedesca, partivano dal presupposto che se qualcuno ha un diritto, lo eserciti con senso di responsabilità. Anche il diritto allo sciopero. Il rifiuto di Weselsky di arruolare un mediatore per uscire dall’incredibile impasse con la Deutsche Bahn non ha più nulla a che fare con gli aumenti in busta paga o le tutele da salvaguardare della sua piattaforma negoziale. Ha a che fare con la legge in via di approvazione definitiva che da quest’estate limiterà il diritto a negoziare i rinnovi contrattuali soltanto alle sigle più rappresentative. Weselsky ne sarebbe spazzato via: il sindacato più rappresentativo delle ferrovie tedesche non è il suo, è la Evg. Se è vero, insomma, che la legge sul diritto allo sciopero sta mietendo molte critiche tra i costituzionalisti, è altrettanto vero che l’intransigenza di Weselsky la sta rendendo popolarissima tra i tedeschi. In questo, ha già perso. Tonia Mastrobuoni, La Stampa 7/5/2015 6 mag 2015 13:10 BANCOMAT VUOTI, TRENI FERMI, GENTE PER STRADA: È ATENE? NO, BERLINO! - SCIOPERANO I FERROVIERI (6 GIORNI) E I CORRIERI, E LA GERMANIA È PARALIZZATA - LA MERKEL CHIAMA LE PARTI IN CAUSA, MA NON BASTA A Berlino si attrezzano con bici, auto condivise e app per trovare un modo di spostarsi, ma nel resto del paese lo sciopero del sindacato minore dei macchinisti ha creato disagi enormi: "Ci costerà mezzo miliardo" - Con lo sciopero dei corrieri che riforniscono i bancomat, a Berlino non si trovavano più contanti... NON SOLO GRECIA, SI SVUOTANO ANCHE I BANCOMAT TEDESCHI (Teleborsa) - I viaggiatori europei hanno sostenuto per settimane che l’assenza di liquidità per Atene potrebbe portare ad uno svuotamento totale del circuito Bancomat. Questo è vero, ma dovrebbero preoccuparsi anche per la Germania. Mentre i bancomat di Atene sono ancora in funzione, senza alcuna difficoltà, lo sciopero dei corrieri che riforniscono i POS tedeschi, sta portando ad una crisi per coloro che tentano di prelevare e la controversia di lavoro, a tempo indeterminato, con le società private di vigilanza e sicurezza, dice che non si intravede la fine di quest’agitazione. "Tutto dipende dalla reazione delle società di trasporto”, ha dichiarato Andreas Splanemann, portavoce sindacale del comitato di rappresentanza di tutto il personale di sicurezza. "In questo momento, in Germania, ci sono un sacco di bancomat vuoti”. Lo sciopero di Berlino è l’ultimo di una serie di scioperi che stanno irritando una nazione da sempre abituata alle lotte di lavoro. Un altro sciopero, quello dei macchinisti ferroviari, iniziato oggi sta paralizzando i viaggi ferroviari e intasando le autostrade in tutta la Germania. Quest’azione di protesta segue lo sciopero di marzo, attuato dai piloti della Lufthansa, che ha portato alla cancellazione di voli per oltre 200.000 persone. "E davvero fastidioso, soprattutto se si ha poco tempo”, è il leit motiv più ricorrente tra le lamentele dei viaggiatori. “Soprattutto se si deve fare il biglietto del treno che probabilmente arriverà in ritardo per lo sciopero dei macchinisti”. Scherzi a parte, la Germania sta cercando di arginare l’influenza dei sindacati più piccoli, nella stesura di una legge che limiterebbe la rappresentanza del lavoro delle imprese con pochi dipendenti. La misura è attualmente al vaglio della camera bassa del parlamento tedesco, il Bundestag. MAI TANTI SCIOPERI: LA GERMANIA CONTRO LA MERKEL Noam Benjamin per "il Giornale" Questa volta la Bvg, l’azienda dei trasporti di Berlino, non si è fatta cogliere impreparata: all’annuncio dell’ennesimo sciopero dei macchinisti ha presentato un piano di emergenza. Troppi i sei giorni di astensione dal lavoro voluti dalla Gewerkschaft Deutscher Lokomotivführer (Gdl), sigla che raccoglie alcune migliaia di macchinisti, compresi quelli della metropolitana di superficie della capitale. Iniziato martedì, lo sciopero si concluderà solo domenica all’alba. Naturalmente anche Deutsche Bahn (DB) ha messo in piedi un piano sostitutivo; i passeggeri, da parte loro, ci hanno fatto il callo: l’agitazione di questa settimana è l’ottava dall’inizio dell’anno e la settima si era conclusa solo lo scorso 24 aprile. Un susseguirsi di stop intollerabile per le associazioni degli imprenditori. «Lo sciopero ci costerà mezzo miliardo di euro», ha protestato Dihk (Associazione di Camere di Commercio e Industria). Per Confindustria tedesca (Bdi), l’ennesima agitazione «è veleno per l’economia». La ragione del contendere è l’aumento del 5% richiesto dai macchinisti, associato a una riduzione dell’orario di lavoro da 39 a 37 ore settimanali. Forte dei suoi 17 mila iscritti, Gdl ha rifiutato tutte le controproposte di DB, organizzando scioperi a catena, nonostante il dissenso dell’altro sindacato del settore, la Evg, che di tesserati ne ha 210 mila. La questione non è solo salariale. Da quando nel 2010 la Corte federale del lavoro ha abolito il principio «un’azienda, un sindacato», le sigle dei lavoratori sono proliferate, e con esse gli scioperi. Quelli negli aeroporti, voluti da un’associazione «ribelle», si sono fermati solo con la sciagura aerea della Germanwings. La parola passa al governo. Angela Merkel ha telefonato alle parti in causa sollecitando un accordo, ma l’intervento non può bastare. Dopo aver irritato gli imprenditori con il salario minimo per legge voluto dagli alleati socialdemocratici (Spd), adesso la cancelliera li delude con lo sconquasso nei trasporti. La soluzione viene curiosamente ancora dall’Spd: un disegno di legge firmato dalla ministra del Lavoro Nahles prevede che, pur liberi di proliferare, i sindacati non possano accedere alla contrattazione collettiva senza dimostrare di avere «i numeri». Starà poi al giudice del lavoro stabilire se una sigla può indire uno sciopero senza il consenso delle altre. Ieri il Bundestag ha avviato le prime audizioni: a sostenere le ragioni del ddl c’era l’Associazione dei datori di lavoro (Bda), ma neppure il potente sindacato IG Metall (2,7 milioni di tesserati) sarebbe contrario. Il Bundestag licenzierà il testo il 22 maggio; il Bundesrat, il Senato federale, lo farà a sua volta il 12 giugno. Torna dunque la rimpianta pace sociale? Non proprio. E lo scontento riguarda ancora il governo. Proprio oggi il sindacato Ver.di, seconda sigla tedesca per numero di iscritti, pubblicherà il risultato della consultazione condotta fra i tesserati del sociale. Dopo cinque tentativi andati a vuoto per rinnovare il contratto dei lavoratori degli asili, Ver.di ha proposto uno sciopero unbefristet , a tempo indeterminato. «Crediamo che l’agitazione verrà convocata, ma non ne siamo troppo contenti, per noi è sempre l’ultima spiaggia», spiega una portavoce, lamentando la rigidità della controparte, l’Associazione dei datori di lavoro municipali (Avk). «Certo, aiuterebbe se almeno il governo spendesse due parole...». BICI, AUTO CONDIVISE E “APP” E BERLINO BATTE LO SCIOPERO - SECONDO GIORNO DI STOP AI TRENI: TUTTI GLI STRATAGEMMI DEI PENDOLARI Tonia Mastrobuoni per “la Stampa” Nel Paese simbolo dell’efficienza paralizzato da uno sciopero delle ferrovie interminabile, qualcuno tenta di far prevalere il buonsenso, persino contro il proprio interesse. Così la potentissima associazione degli automobilisti Adac - l’Aci tedesco - ha consigliato vivamente ai suoi diciotto milioni di soci di lasciare la macchina in garage e prendere la bici. Un suggerimento nobile ed ecologico, ma inutile per milioni di pendolari costretti ogni giorno a percorrere centinaia di chilometri per raggiungere il posto di lavoro. E bastava dare un’occhiata a metà giornata ai tabelloni che informano sul traffico sulle autostrade tedesche per sapere: bollino rosso ovunque. I SINDACATI NON MOLLANO Eppure qualcuno, come il tabloid «Bz», ha cercato di migliorare il cattivo umore di una nazione in modalità emergenziale - molte le metropolitane e mezzi urbani coinvolti nello sciopero - con un sorriso. Dato che i berlinesi si sono svegliati ieri con temperature estive, «Bz» ha preferito titolare a tutta pagina sullo scandalo che ha travolto gli ipermercati Aldi, dove sono state trovate tonnellate di cocaina nelle cassette delle banane: «28 gradi e da Aldi nevica». Ma la maggior parte dei media hanno preferito prendere di mira l’irriducibile capo del sindacato dei macchinisti, titolando «Weselsky contro la Germania». Lui accusa invece la Deutsche Bahn di essere in mala fede, di voler trascinare il conflitto fino all’estate, quando entrerà in vigore la nuova, più restrittiva legge sugli scioperi, che consentirà solo al sindacato più rappresentativo di sedere al tavolo per i rinnovi. Il sindacato dei macchinisti di Weselsky non lo è. Ieri all’ora di pranzo, la stazione principale di Berlino era svuotata: ma al di là dei capannelli attorno ai punti informativi organizzati dalla Deutsche Bahn, nessuna scena apocalittica. Qualche viaggiatore col sacco a pelo appisolato sulle panchine, una squadra di pallavolo urlante sulle lunghe scale mobili, un anziano che si gratta la testa davanti a uno dei numerosi cartelli che informavano sulle alternative. Sul binario deserto dei treni per l’aeroporto più lontano, Schoenefeld, una famiglia di Rouen attende fiduciosa quello delle 13,30. Per la madre, Amina, nessun motivo per perdere la calma: «L’aereo è alle quattro e in fondo siamo in vacanza». Al piano superiore della modernissima stazione, all’edicola, l’italo-tedesco Fabio De Rosa è molto meno rilassato. Per raggiungere il suo posto di lavoro ha dovuto compulsare le app sullo smartphone che informano sul traffico dei mezzi pubblici, e si è scelto il percorso alternativo più semplice. Ma il 28enne non ha parole gentili per il sindacato: «Un giorno, lo capisco. Ma sei giorni di sciopero sono assurdi. Oltretutto: chi paga? Per il nostro disagio, per i danni economici? - De Rosa indica l’edicola, dove tre persone si aggirano per gli scaffali - Normalmente a quest’ora abbiamo il triplo dei clienti». LE STRADE ALTERNATIVE Il «giorno due» del più lungo sciopero delle ferrovie del dopoguerra - durerà fino a domenica - non è stato particolarmente disagevole peri i viaggiatori grazie delle numerose alternative offerte dalle stesse ferrovie. E due terzi dei treni regionali e un terzo di quelli a lunga percorrenza camminavano. Ulrich Homburg, della Db, ha esortato i viaggiatori: «fidatevi, le alternative funzionano». In virtù della proverbiale capacità organizzativa, i tedeschi hanno trovato comunque il modo per raggiungere il posto di lavoro: approfittando di chi ha messo un punto rosso sull’auto per segnalare la disponibilità a dare un passaggio, ad esempio. E nelle stazioni, i funzionari delle ferrovie sono stati sguinzagliati ovunque con le pettorine rosse per offrire alternative per tutti. Uno dei principali quotidiani della capitale, la «Berliner Zeitung», aveva come foto di prima la rete delle S- e U-Bahn, delle metro e sopraelevate che funzionavano nonostante la protesta. Fonte: Osvaldo De Paolini, Il Messaggero 30/04/2015 Testo Frammento «SUGLI SCIOPERI NUOVE REGOLE SERVIRÀ IL 51% DEI LAVORATORI». PARLA DELRIO. IL MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE RASSICURA CHE NON SARÀ PIÙ POSSIBILE «BLOCCARE LE CITTÀ PER L’AGITAZIONE DI UN SOLO SINDACATO. NON VOGLIAMO COMPRIMI UN DIRITTO MA IN GERMANIA CI VUOLE IL 75% DEI CONCENSI». POI PARLA DELL’EXPO, DELLE GRANDI OPERE, DI UBER E ANCHE DI LUPI – «Quanto accaduto martedì a Milano, con la città paralizzata per più di mezza giornata a causa dello sciopero improvviso dichiarato da una sola sigla sindacale, non è più tollerabile. È grave che una minoranza, peraltro poco numerosa, condizioni la vita di una città quando la stragrande maggioranza dei lavoratori ha opinioni diverse. Noi rispettiamo tutti, ma non possiamo accettare che a pagare siano sempre i più deboli». Graziano Delrio, da nemmeno un mese ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha le idee chiare sul che fare in materia di regolamentazione degli scioperi nel settore dei trasporti pubblici. Soprattutto adesso che mancano poche ore all’apertura di Expo 2015. Ministro, sul fronte degli scioperi siamo dunque alla svolta? «Con davanti due eventi come Expo e il Giubileo, che impegneranno il paese per un anno e mezzo, dobbiamo fare un salto di qualità. Non possiamo lasciare a piedi i milioni di visitatori che verranno nelle nostre città né possiamo lasciare a terra chi ogni mattina prende il bus o la metro per recarsi al lavoro. Che senso ha invitare il mondo a visitare Pompei se poi gli facciamo trovare i cancelli chiusi? Dobbiamo darci nuove regole, altrimenti per colpa di pochi rischiamo di giocarci delle straordinarie opportunità di rilancio del Paese». A proposito di nuove regole, le opzioni sembrano essere più d’una. Verso quale ipotesi vi state orientando? «L’argomento è oggetto di discussione con le Authority competenti. Questa mattina ho incontrato Andrea Camanzi, presidente dell’Autorità di regolazione dei trasporti. Entro breve incontrerò Roberto Alesse, presidente dell’Autorità di garanzia sugli scioperi. Subito dopo assumeremo le decisioni del caso». Ripeto la domanda: verso quale ipotesi vi state orientando? «Si va dalla revisione della legge sugli scioperi a norme più leggere. Non si vuole comprimere un diritto sacrosanto dei lavoratori ma credo sia un dovere sociale e di affetto verso il Paese entrare nel merito. Decisioni così gravi, come lo sciopero dei trasporti in una città, debbono riscuotere il consenso della maggioranza dei lavoratori. Un po’ come da tempo capita in Germania». Il referendum introdotto dai tedeschi richiede almeno il 75% dei consensi in fabbrica. È a questo che state pensando? «È accettabile anche il 51%. Maggioranze molto qualificate verrebbero chieste solo in certe occasioni particolari. Alla fine il tutto si riduce a una semplice questione di buon senso». Domani apre i battenti Expo e Milano non teme solo qualche sciopero selvaggio nei trasporti, ma anche l’ondata di no global che si starebbe ammassando nelle periferie. Quali provvedimenti ha preso il governo per impedire disordini? «Il governo sta facendo il necessario affinché tutto si svolga ordinatamente. Soprattutto nelle prossime ore la vigilanza sarà massima, atti di violenza non sarebbero accettabili». Da qualche mese giace presso la presidenza del Consiglio il disegno di legge destinato a riformare il trasporto pubblico locale. Quando pensa che verrà licenziato? «Mancano solo pochi dettagli che vanno armonizzati, entro la fine di giugno il progetto approderà in Parlamento». Quali sono i cambiamenti più significativi che verranno introdotti? «L’obiettivo è rendere efficiente il servizio: i tagli hanno valore solo in quanto possono aiutare questo processo. L’introduzione di costi standard o di masse critiche dei bacini di utenza più ampie, attraverso accorpamenti e fusioni, sono variabili che hanno come obiettivo principale l’efficienza del servizio». C’è poi il tema dell’evasione. Si calcola che i viaggiatori che non pagano il biglietto provochino un danno di circa 450 milioni l’anno alle società che gestiscono il trasporto. Si dice che il ddl preveda l’introduzione di vigilanti privati su ogni mezzo pubblico. Sarà così? «Sistemi integrati di vigilanza, come accade per la sosta nei parcheggi, sono previsti. Ma non su ogni mezzo. Si tratta di agire con grano salis. Va da sé che nelle aree dove l’evasione è più acuta, la vigilanza sarà più stretta. Ma ci sono altri modi per limitare questo fenomeno pernicioso». Può fare qualche esempio? «I biglietti multiservizio, abbonamenti annuali che valgono sia per il treno che per i mezzi di città. Lo sconto sarebbe un incentivo a mettersi in regola. È solo un esempio, ma con un po’ di fantasia si possono trovare altre soluzioni. Deve però essere chiaro che chi non paga il biglietto sta sottraendo risorse alla scuola pubblica, alla sanità, in una parola alla comunità. E perciò va sanzionato con grande severità». Dunque, secondo lei maggiore efficienza vuole dire minore evasione. Non è anche un problema di abitudini stratificate, di scarso rispetto della cosa pubblica? «Sicuro. È un problema di educazione nel senso più ampio dell’espressione, di mancanza di senso civico. Anche su questo dovremo lavorare. Però mi creda: se il trasporto pubblico funziona davvero, i cittadini sono più incentivati a utilizzarlo. E quindi più disposti a pagare il biglietto». A proposito di trasporti cittadini, la riforma si occuperà anche di Uber e di car sharing? Il tema sembra molto caldo, soprattutto per una città come Roma Capitale. «Non è previsto che di ciò si parli nella riforma. Però quanto prima una regolamentazione andrà introdotta. Non ha senso fermare la nuova economia, che peraltro si propaga con rapidità stupefacente. Sarebbe come tentare di fermare il vento con le mani. Tanto vale introdurre prima possibile una disciplina che porti più efficienza nel servizio, che però danneggi il meno possibile il trasporto tradizionale». Insomma, un po’ come è avvenuto con l’arrivo delle compagnie low cost nel trasporto aereo, però al contrario. «Qualcosa del genere, magari separando i target della clientela, in modo da completare il servizio offerto. Esattamente come la compagnia low cost completa l’offerta nel trasporto aereo. Peraltro, la maggiore disciplina del settore consentirebbe l’emersione di un bel po’ di lavoro nero». Parliamo di grandi opere. Lei è approdato al ministero della Infrastrutture meno un mese fa. E subito ha ridotto a 25 le opere giudicate di interesse nazionale. Non è però stato spiegato quale fine è destinata agli oltre 400 progetti che non sono entrati nel Def. «Il fatto che non siano in quell’elenco non vuol dire che non verranno realizzate. Nel Def abbiamo elencalo le opere che collegano l’Italia all’Europa o quelle che hanno valenza sovraregionale. Il Regno Unito per esempio ne ha indicate 40, ma non credo che saranno le uniche infrastrutture che gli inglesi realizzeranno». Dunque, i sindaci e i governatori che si sono lamentati delle esclusioni non hanno ragione di preoccuparsi? «No, sempre che le opere proposte servano davvero al Paese. E non è necessario che si tratti di grandi opere: ad esempio, il piccolo collegamento tra Gioa Tauro e la Linea Adriatica non è essenziale per il Paese, ma lo è certamente per la portualità nazionale. È quindi giusto che venga realizzato. Inoltre, io considero grande opera fare manutenzione ordinaria ai viadotti». Sul project financing lei si è mostrato prudente. Vuol dire che è tra coloro che non credono più a questa formula di intervento misto? «Sono convinto dell’utilità di realizzare opere d’interesse pubblico con l’aiuto dei privati. Purché il progetto sia tale da non richiedere varianti che raddoppino il contributo dello Stato, che non è il bancomat dei privati». La Struttura di Missione è stata congelata con le dimissioni del ministro Maurizio Lupi. Resterà a lungo in frigorifero? «No, entro breve tornerà ad operare. Naturalmente il raggio d’intervento sarà meno elitario, perché dovrà occuparsi anche delle opere di breve gittata. Abbiamo detto basta alle attività svolte in regime d’emergenza». La scossa che ha provocato il cambio della guardia al ministero è stata profonda. Si parla di alcuni cambiamenti interni anche importanti. A che punto è l’opera di pulizia? «Non mi piace quell’espressione e comunque innovare non significa esprimere un giudizio sul passato, è solo un modo di cogliere la sfida del presente e del futuro. Comunque sì, abbiamo fatto e stiamo tuttora facendo cambiamenti all’interno del ministero». Fonte: Michela Ravalico, Libero 29/04/2015 Testo Frammento QUEI 50 DIPENDENTI DELL’ATM CHE VOGLIONO SABOTARE EXPO. HANNO PARALIZZATO MILANO A DUE GIORNI DALL’INAUGURAZIONE PER PROTESTARE CONTRO STRAORDINARI E TURNI DURI. E DIRE CHE UN MACCHINISTA DI LINEA 1, GRAZIE ALL’EVENTO, RISCHIA DI PORTARSI A CASA PER SEI MESI 1.209 EURO LORDI IN PIÙ. FORSE SPERAVANO IN PREMI PIÙ ALTI – In 50 sono riusciti a paralizzare Milano a due giorni dall’apertura di Expo. Questa è la triste realtà dei numeri. Gli iscritti alla Confederazione unitaria di base, o Cub, che hanno organizzato lo sciopero delle metropolitane e dei mezzi pubblici il 28 aprile sono soltanto 50, forse 60, su 9mila dipendenti dell’Atm. Eppure, facendo leva sul malcontento generale e sul presunto accordo ricatto presentato dall’azienda milanese dei trasporti pubblici ai lavoratori in vista dei sei mesi di Expo, sono riusciti a mandare in tilt il traffico e a rallentare il lavoro di centinaia di migliaia di persone. Ma non basta. Visto che l’azione di protesta è andata così bene, il Cub ha deciso di indirne un altro per il 15 maggio. Imbarazzato il segretario della Filt Cgil, Stefano Malorgio: «Cgil, Cisl e Uil sanno che non possono assumersi l’onere di uno sciopero nel periodo di Expo, ma siamo in un campo che pullula di piccole sigle che si permettono qualsiasi cosa. Non si scherzi con il fuoco, però». La tensione, anche tra le sigle sindacali, è alle stelle. Cub cavalca la rabbia dei lavoratori che speravano in premi più alti per lavorare con turni straordinari nel periodo di Expo. L’accordo siglato da Cigl, Cisl, Uil, Ugl Cisal, Sama e Orsa con l’azienda, però, non è affatto vessatorio. Sono numerose le formule premianti per chi lavorerà durante Expo. Per esempio si parla di una quota tra 270 e 180 euro lordi semestrale per il disagio di Expo; la messa a disposizione dell’azienda dei mancati riposi settimanali (Sco, in gergo), inoltre, porterà nelle tasche di macchinisti e conducenti 90 euro per sei Sco effettivamente spostati, una maggiorazione del 40% della paga giornaliera nei giorni di Sco; 30 euro di gettone sono stati previsti per il fatto di lavorare il primo maggio con turni più lunghi del solito; infine ci sono 150 euro una tantum per il disagio ferie, 25 euro al mese di anticipo per il Ccnl, una maggiorazione del 20% per gli straordinari, e pure un premio di presenza di 150 euro. Un macchinista di linea 1, i meglio retribuiti, rischia di portarsi a casa per sei mesi 1209 euro lordi in più. Il risultato delle tensioni interne tra azienda e lavoratori e sindacati è che ieri, fin dal mattino, la città che sarà capitale dell’alimentazione fino al 31 ottobre prossimo è entrata nel panico. Dalle 8.45 alle 15 le quattro linee della metropolitana sono rimaste ferme: cancelli sbarrati, corse sospese e annunci al limite del comico dell’Atm tramite Twitter dove si rassicuravano i passeggeri che l’incubo sarebbe terminato dopo le 15. La ripresa è stata lenta, e l’assalto clamoroso. Centinaia di persone pigiate per tentare un normale spostamento. Poi la sorte ha voluto che nel pomeriggio (anche una volta terminato lo sciopero) la linea Gialla sia rimasta comunque ferma a causa di un tentato suicidio. La tragica ciliegina sulla torta. Il Comune, per tentare di alleviare il malumore di milanesi e lavoratori, ha sospeso l’Area C, la tassa da 5 euro per accedere al centro di Milano. Non è bastato: i taxi sono stati presi d’assalto, per non parlare delle macchinette del car sharing (che a Milano conta ben 4 gestori) e del tanto odiato (dalle auto bianco) servizio di auto noleggio Uber. I racconti più veri sono quelli sui social network, su cui i milanesi hanno potuto riversare la loro rabbia e il loro stupore. Come il giovane in partenza da via Paolo Sarpi (la Chinatown meneghina) che ha tentato varie stazioni del servizio di noleggio bici del Comune, tutte rotte, e allora ha camminato fino a Sant’Ambrogio ripromettendosi di non parlare mai più bene dei mezzi e dell’Atm. Oppure la giovane pendolare, con treno Trenord in ritardo, che si è trovata l’accesso ai metrò sbarrati per pochissimi minuti. Non sono mancate le battute, al limite del cinico, come quella sul tentato suicidio sulla linea 3: «E che poteva fare di più? Un po’ di comprensione». Molto diffuso, tra i fruitori dei mezzi, anche lo sgomento sull’opportunità politica di uno sciopero così a ridosso di Expo. «Che figura ci fa l’Italia?». C’è anche chi ha proposto – come il consigliere comunale Matteo Forte – di precettare i crumiri. «Per la Cassazione si può» afferma. Per il collega della Lega, Igor Iezzi, la colpa è del presidente di Atm: «Questo sciopero dimostra che il presidente Rota non ha minimamente il polso dell’azienda». La verità è che Milano, e con lei le istituzioni più importanti – dal Comune al governo (rappresentanti dal Prefetto e della Questura) – ma anche organismi illustri come il Teatro alla Scala, sono sotto scacco da mesi da parte dei sindacati più estremisti con la scusa di Expo. Alla Scala, per esempio, il nuovo sovrintendente ha dovuto trattare per mesi con gli iscritti alla Cgil per la partecipazione al concerto di inaugurazione della stagione straordinaria di Expo previsto il primo maggio (giorno della festa dei lavoratori). Alla fine il concerto si farà, con il 600% di paga in più per ogni orchestrale. Stesso discorso per i “ghisa”: i vigili hanno incassato dal Comune un’indennità da 3mila euro lordi per chi accetta di limitare le ferie. Gli ultimi tram liberi presi d’assalto dalla gente esasperata. Le chilometriche file per prendere un taxi. Sole 5/5/2015 Sfida Merkel-sindacati, treni fermi per 6 giorni nella Germania dei miracoli. Ma qual è la posta in gioco? di Roberta Miraglia5 maggio 2015Commenti (6) In questo articolo Argomenti: Germania | Andrea Nahles | Corte Costituzionale | Diw | Andreas Rees | Capo del Governo | Gabriel Sigmar | Gdl | Angela Merkel My24 ascolta questa pagina (Ap)(Ap) È iniziato lo sciopero più lungo delle ferrovie tedesche: i macchinisti hanno fermato i treni merci lunedì pomeriggio e da martedì lo stop coinvolge anche quelli passeggeri. Fino a domenica. Sei giorni ininterrotti di astensione che potrebbero causare ingenti danni all’economia: secondo alcune stime oltre 500 milioni di euro, ovvero circa lo 0,1% del Pil del trimestre. Di fronte all’eclatante iniziativa ha fatto sentire la sua voce anche la cancelliera Angela Merkel che sta sondando la possibilità di una mediazione. Il sindacato dei macchinisti Gdl ha già respinto la proposta ma il capo del Governo ha detto che pur «senza voler intervenire direttamente» la mediazione è l’unica strada percorribile. «È chiaro che i tempi non sono ancora maturi - ha commentato Merkel - ma dobbiamo arrivarci, siamo tutti in attesa di una soluzione». Molto dura la posizione del vicecancelliere e ministro dell’economia Sigmar Gabriel. «Tutte le parti dovrebbero chiedersi se il danno che la protesta potrebbe causare sia proporzionato alla posta in gioco». Da quando le trattative con Deutsche Bahn sono iniziate, dieci mesi fa, il sindacato Gdl si è astenuto dal lavoro già otto volte ma uno sciopero di sei giorni consecutivi non si era ancora visto nelle ferrovie tedesche. Sul tavolo non ci sono soltanto l’aumento salariale del 5 per cento (la società ha offerto un incremento del 4,7% in due round e un’una tantum di mille euro); il limite di 50 ore annuali agli straordinari nonché una riduzione dell’orario da 39 a 37 ore settimanali. C’è soprattutto una delicata questione di rappresentanza sindacale. La sigla Gdl, infatti, rivendica il diritto di rappresentare non solo i macchinsiti ma tutto il personale delle viaggiante. Una questione complessa - spiega Andreas Rees capo economista per la Germania di UniCredit Research - nata nel 2010 dopo una pronuncia della Corte federale del lavoro: il giudice sostiuitì il principio dell’unità salariale con quello della pluralità. In una stessa società, da allora, i diversi sindacati possono condurre trattative e concludere accordi rappresentando soltanto i propri iscritti. Con il risultato che nella stessa azienda possono coesistere diversi accordi salariali. Gdl sostiene di rappresentare non solo i macchinisti (come faceva prima) ma anche il resto del personale viaggiante. Si oppongono, tuttavia, sia Deutsche Bahn che Evg, la sigla dello staff delle ferrovie. Per risolvere simili controversie, nell’ottobre scorso il ministro del Lavoro, la socialdemocratica Andrea Nahles, ha presentato un disegno di legge che dà la prevalenza al sindacato con più iscritti. Una previsione che metterebbe nell’angolo Gdl e altre sigle piccole. La legge dovrebbe essere approvata dal Bundestag tra qualche settimana per diventare operativa in estate. Ma già alcuni sindacati hanno preannunciato ricorsi alla Corte costituzionale. Vista la posta in gioco i macchinisti hanno dunque intenzione di tenere duro e la lunghezza dello sciopero potrebbe causare danni all’industria e all’economia che l’istituto Diw di Berlino ha stimato in 90 milioni al giorno. Oltre 500 milioni in sei giorni. Il 17% delle merci in Germania è trasportato su ferrovia. Per spostare su ruota il trasporto, stima Diw, ci vorrebbero 100mila camion in più. L’effetto sulla produzione di maggio si farà certo sentire ma, riconoscono gli analisti, le aziende potrebbero lavorare di più dopo l0 sciopero e compensare così le perdite subite. Sempre che la mediazione invocata da Merkel non riporti i macchinisti sui treni.  Sole 24 Ore 6/5/2015 Germania. L’agitazione dei macchinisti fino a domenica conferma la tendenza al recupero del potere di acquisto (con possibili effetti positivi sui consumi) ma riapre il dibattito sui poteri dei sindacati E a Berlino si sciopera per l’aumento dei salari FRANCOFORTE Lo sciopero più lungo della storia delle ferrovie tedesche – iniziato fra lunedì sera e ieri dovrebbe durare fino a domenica – rischia di avere qualche ripercussione sull’economia tedesca, ma ha riaperto anche un dibattito sui poteri dei sindacati. L’astensione dal lavoro, che si somma a molte altre agitazioni che si sono succedute in queste settimane soprattutto nel settore pubblico, conferma però anche la tendenza, grazie al buon andamento dell’economia e alla disoccupazione ai minimi, al recupero di potere d’acquisto dei salari, a lungo compresso nel decennio passato, che potrebbe alimentare la ripresa dei consumi già in atto. Lo sciopero delle ferrovie è stato indetto da uno dei due sindacati dei macchinisti, la Gdl, che conta su circa 30mila aderenti, e che ha chiesto un aumento dei salari del 5%, contro un’offerta della Deutsche Bahn del 4,7% più una tantum. Secondo stime della associazione delle Camere di commercio tedesche, il danno per l’economia potrebbe arrivare a 500 milioni di euro. Per la Bdi, una delle organizzazioni degli imprenditori, alcuni settori, come siderurgia, chimica e auto, sono particolarmente sensibili al blocco delle ferrovie. Poco meno di un quinto delle merci tedesche viaggia su rotaia. A ciò va aggiunto il danno provocato dallo stop al trasporto ferroviario locale. Secondo il centro studi bavarese Ifo, che ha condotto uno studio insieme all’università di Passau, ogni giornata di questi scioperi causa un danno di 4,8 milioni di euro all’economia locale delle grandi città, quattro volte l’importo calcolato in minori entrate per le società di trasporto pubblico locale. Il fatto che i sei giorni di sciopero alla Deutsche Bahn siano stati decretati da un sindacato relativamente piccolo (l’azione della Gdl è stata contestata anche da alcune altre sigle dei lavoratori della Db) ha riaperto la discussione sulla rappresentanza dei lavoratori in Germania, che prevede la pluralità di sigle. La vicenda delle ferrovie ha indotto ora il Governo a una proposta di riforma che consegni la rappresentanza al sindacato più numeroso. La vertenza dei ferrovieri si somma a quelle di altre categorie di lavoratori del settore pubblico, fra cui quelli delle poste e della scuola, che a loro volta hanno scioperato ripetutamente nel tentativo di recuperare il potere d’acquisto dei salari. Nel settore privato, i metalmeccanici hanno già raggiunto un accordo su aumenti salariali del 3,4%, ben al di là dell’inflazione. Una tendenza incoraggiata persino dalla Bundesbank. Di fatto, la ripresa in corso nell’economia tedesca, che potrebbe sfiorare il 2% quest’anno, è per ora basata in larga parte sul rilancio del consumi, legato alla crescita dei salari reali, oltre che al calo dei prezzi del petrolio . © RIPRODUZIONE RISERVATA Il Fatto Quotidiano Germania, bancomat vuoti a Berlino per lo sciopero dei portavalori Germania, bancomat vuoti a Berlino per lo sciopero dei portavalori Lavoro & Precari I macchinisti tedeschi non sono i soli a protestare. L’agitazione dei lavoratori della società di sicurezza della capitale tedesca ha bloccato il rifornimento degli sportelli automatici, impedendo ai cittadini di prelevare di F. Q. | 7 maggio 2015 Commenti (20) Più informazioni su: Bancomat, Germania, Sciopero, Sindacati Necessità di prelevare denaro contante ma bancomat vuoti. Non si tratta della Grecia, dove i cittadini continuano a ritirare i propri depositi dalle banche nel timore di un default del Paese, ma della Germania di Angela Merkel e del “falco” Wolfgang Schaeuble, suo ministro delle Finanze. Mentre infatti i bancomat di Atene sono ancora in funzione, pur con una mini tassa governativa di un euro su ogni prelievo, nella Repubblica democratica uno sciopero dei corrieri portavalori di Berlino, Postdam e Francoforte ha bloccato il rifornimento di denaro agli sportelli automatici. Con il risultato che molti cittadini si vedono negare la possibilità di prelevare per assenza di contanti. Peraltro l’andamento della controversia sui contratti di lavoro a tempo indeterminato che coinvolge le società di sicurezza locale Prosegur non fa sperare in una fine imminente della mobilitazione. “Tutto dipende da come reagisce la società – ha dichiarato Andreas Splanemann, un portavoce del sindacato Ver.di che rappresenta il personale di sicurezza – ora ci sono molti bancomat che sono vuoti“. “Prosegur sta lavorando ad alta intensità sui piani di emergenza individuali – ha scritto la società in un comunicato -, non possiamo però escludere che i bancomat nella regione Berlino – Potsdam – Francoforte sull’Oder non rimangano vacanti“. Pubblicità Lo sciopero dei portavalori di Berlino è l’ultimo di una serie di altre agitazioni in una nazione poco abituata a confrontarsi con simili problemi. I macchinisti hanno iniziato il 5 maggio un’astensione dal lavoro di sei giorni che sta paralizzando i viaggi in treno e intasando le autostrade in tutta la Germania. Nel mese di marzo la stessa decisione da parte dei piloti della Lufthansa AG aveva portato alla cancellazione dei voli prenotati da 220mila passeggeri. La Germania sta cercando di arginare l’influenza dei sindacati più piccoli con la stesura di una legge che limiterebbe la rappresentanza a un’unica unione per gruppo di dipendenti. La misura è in consultazione presso il Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco. Tra il 2005 e il 2013 la Germania ha perso una media di 16 giorni di lavoro l’anno per 1.000 dipendenti a causa degli scioperi, secondo la Fondazione Hans Boeckler, confederazione di ricerca dei sindacati tedeschi. Sono stati invece 139 i giorni persi in Francia e 135 in Danimarca. I 150mila giorni di lavoro che la Germania ha perso in totale nel 2013 rappresentano la cifra più alta in sei anni. Lo sciopero ferroviario, che coinvolge anche il traffico merci, è impostato per essere il più lungo nella storia tedesca e potrebbe costare alla più grande economia europea circa 500 milioni di euro, secondo l’associazione industriale DIHK. “Lo sciopero ridurrà la crescita nel secondo trimestre”, ha denunciato in un comunicato Joerg Zeuner, capo economista presso la banca di sviluppo tedesca KfW. In Germania la disoccupazione è al minimo storico dalla riunificazione, e gli scioperi indetti non puntano infatti a proteggere posti di lavoro in quanto tali. Deutsche Bahn è alle prese con il sindacato su salari, orari e la scelta di una categoria precisa di lavoratori da rappresentare. La Germania colpisce il diritto di sciopero 09 Giugno 2014 da La cuoca di Lenin La giungla dei contratti L’informazione mainstream, puntualmente, ci parla delle “meravigliose sorti e progressive” del cosiddetto modello tedesco. Ci dicono, e ci ripetono, che in Germania i sindacati e i lavoratori partecipano e cogestiscono le contrattazioni e le sorti dell’impresa, facendo un favore a lavoratori e padroni e instaurando così una sorta di armonia che preannuncia l’evoluzione dell’umanità. Addirittura, in un recente articolo di “Economia web” del 21 Marzo si fa accenno a un accordo tra SPD e CDU sul salario minimo, dipingendolo come un cedimento della Merkel alle istanze della sinistra. Da tempo abbiamo imparato a diffidare di questi panegirici. Tra le innumerevoli contraddizioni della cosiddetta cogestione sindacati-padroni, infatti, troviamo questo (per nulla) nuovo ritrovato della tecnica repressiva dei padroni: Si tratta della prassi informale ma diffusa della Tarifeinheit, ovvero unità contrattuale (oppure unità di contrattazione). Il sistema contrattuale tedesco è particolare, non solo per il larghissimo ricorso alle agenzie interinali che forniscono manodopera alle aziende, creando così una giungla di contratti differenti, ma anche per la struttura federale dello Stato, che prevede contrattazioni diverse da regione a regione. Inoltre, sono previsti differenti trattamenti contrattuali a seconda dei settori produttivi. Insomma, una vera e propria “boutique dello sfruttamento” nella quale il padrone può scegliere le forme e i trattamenti che preferisce. Di recente, però, la coalizione di governo (un governo di larghissime intese) tedesca ha trovato un accordo sul cosiddetto piano Nahles per il lavoro. La riforma del ministro della SPD Andrea Nahles prevede di istituire per legge l’unità di contrattazione. “Ad ogni fabbrica il proprio contratto”, recita un principio che sembra essere tutto sommato condivisibile e che dovrebbe mettere ordine in quella giungla di forme contrattuali che è una porta spalancata alla precarietà, alla concorrenza tra lavoratori, alla subordinazione dei diritti agli interessi dei padroni. Non è così, e il motivo è semplice: l’unità di contrattazione si appoggia al principio secondo il quale solo i sindacati più rappresentativi possono gestire il conflitto e la contrattazione delle condizioni di lavoro. L’accordo del Dicembre 2013 Con la prassi della “Tarifeinheit” si intende quella pratica diffusa di riconoscere come piattaforma di trattativa valida quella proposta dal sindacato più rappresentativo della fabbrica. [per maggiori approfondimenti si veda: qui] L’accordo di coalizione sulla riforma del lavoro, che risale al Dicembre 2013, si prospetta in definitiva come un vero e proprio accordo a scapito dei lavoratori. Questo accordo prevede infatti un salario minimo che sarà fissato a seconda delle categorie, ma a partire da 8,50 euro/ora. Il salario minimo, però, verrebbe introdotto a partire dal 2017, il che giustificherà un blocco dei salari per tre anni. Inoltre, l’accordo non prevede né sostanziali correttivi alla precarietà, né aumenti salariali. Ma più di tutto questo, è il diritto di sciopero che risulterà minacciato dall’unità contrattuale. Nell’accordo si legge che: “Nel rispetto del pluralismo sindacale e dello spirito del dialogo sociale vogliamo sancire per legge il principio dell’unità del contratto collettivo in azienda, con l’applicazione della regola della rappresentatività in azienda, con le principali organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro”. [per approfondimenti, si veda qui] Quella che era una pratica, sebbene diffusa, diventerebbe adesso una vera e propria legge che sancirebbe un principio di contrattazione sindacale che permette solo ai sindacati più rappresentativi di gestire la contrattazione. Finché la Tarifeinheit si limitava ad una pratica informale, infatti, nulla vietava ai sindacati più piccoli e meno rappresentativi di impugnare quel contratto e di indire degli scioperi autonomamente, o anche di partecipare attivamente alle decisioni del sindacato più rappresentativo. Certo, la forza dei sindacati di categoria poteva risultare minore, ma rimanevano spazi di manovra conquistabili attraverso la gestione del conflitto sociale. Con una legge che rende obbligatoria questa pratica, ovviamente, il margine di manovra dei sindacati meno rappresentativi (magari semplicemente perché legati a una categoria particolare) diventa praticamente nullo e si annullano anche gli spazi del conflitto sociale. Infatti, in un articolo dello Spiegel on line, si avverte che, con questa riforma, se un grande sindacato conducesse una trattativa su un contratto, non sarebbe possibile per un sindacato di categoria scioperare contro quel contratto, finché questo rimane in vigore. Non è molto diverso dall’ormai noto accordo di Pomigliano del Maggio dell’anno scorso, nel quale si punta a far gestire la contrattazione ai sindacati che coprano almeno il 50%+1 della rappresentanza, e nel quale si afferma che, una volta sottoscritto un accordo da un sindacato che abbia questi numeri di rappresentanza, le parti firmatarie devono impregnarsi a “non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti”. [per approfondire l’accordo di Pomigliano rinviamo a questo opuscolo] In Germania, così come in Italia, stiamo assistendo a una vera e propria limitazione del diritto di sciopero e allo stesso tempo a una limitazione del diritto di essere rappresentati nelle contrattazioni. Altro che armonia tra padroni e lavoratori: l’accordo della Grosse Koalition sul lavoro, e la successiva riforma, è un vero e proprio regalo ai padroni che gestirebbero, attraverso i sindacati corporativi e più collaborazionisti, tutta la contrattazione sulle condizioni del lavoro. Inoltre, non una parola viene spesa nell’accordo a limitazione delle forme precarie di prestito di manodopera da parte delle agenzie interinali, prassi che in Germania è molto più diffusa che da noi e che, insieme ai minijobs, è una delle cause principale della proliferazione di contratti precari e diversificati. La mozione della IGMetall L’accordo tra SPD e CDU sul lavoro, che, ripetiamo, è stato presentato in Italia come un regalo ai lavoratori tedeschi da parte di una Merkel che cede alle pressioni della SPD non è altro che una riforma che regolamenta il conflitto sul lavoro, riducendo i margini della contrattazione attraverso le lotte e le pressioni dei lavoratori fuori dai circuiti legalizzati e concordati con il padronato. A questo proposito, traduciamo e pubblichiamo la mozione della IGMetall presentata al congresso della federazione tedesca dei sindacati (DGB), che insieme alla associazione dei datori di lavoro (DGA) ha accolto la Tarifeinheit. La IGMetall rivendica il diritto allo sciopero e soprattutto il principio per cui è solo con la lotta che si costruisce l’unità tra i lavoratori. Azzerare e ridurre le possibilità di espressione dei sindacati di categoria in nome di una unità dei lavoratori calata dall’alto, non diminuisce la concorrenza tra operai attraverso i diversi sindacati, ma ne scalfisce la solidarietà perché molte categorie si troverebbero di fatto senza rappresentanza, senza voce in capitolo e senza possibilità di scioperare contro condizioni contrattuali decise da sindacati corporativi e padroni. Anche in Germania, dunque, la battaglia della competitività si gioca sulla pelle dei lavoratori e sull’erosione di diritti fondamentali. Di seguito il testo della mozione: La seguente mozione è stata accolta all’unanimità dalla assemblea dei sindacati dell’IG Metall di Francoforte il 19 Marzo 2014. Esortiamo la presidenza della IGM a mettere in campo tutta la forza del nostro sindacato per ostacolare l’iniziativa legale del governo federale per la cosiddetta contrattazione unitaria. Motivazione: Nell’anno 2011 molte strutture sindacali si distanziavano dall’iniziativa della DGB (federazione tedesca dei sindacati) e della DGA (associazione dei datori di lavoro) al regolamento del cosiddetto Tarifeinheit (unità di contrattazione), e con ciò si constringeva la DGB a un passo indietro. Ora, la grosse Koalition ha messo di nuovo all’ordine del giorno la Tarifeinheit. Apparentemente “per governare in un senso determinato le diverse forme di contrattazione: plurali e associate”. Che Andrea Nahles della SPD possa riprendere adesso il tentativo della BDA, si vede tra l’altro dal fatto che anche all’interno della DGB questo tentativo ha provocato e provoca approvazione. Il ministro del lavoro Andrea Nahles vuole presentare in primavera una proposta di legge conforme a questo principio. L’intenzione è quella di eliminare la concorrenza dei sindacati di categoria. E per fare questo c’è molta fretta. Lo scopo, così come il principio “una azienda – un sindacato”, dell’unità contrattuale sarebbe di rendere più forti gli impiegati e i sindacati attraverso l’unione. Ma era soprattutto l’imprenditore a rompere questa unità, quando concludeva contratti concorrenziali con gli pseudo sindacati vicini al capitale, o divideva una parte degli impiegati, oppure dava loro paghe peggiori nelle ditte affiliate, come per esempio nel caso dei facchini, dei lavoratori delle pulizie etc. Non si era mai sentito parlare di unità di contrattazione. Sorprende, inoltre, la preoccupazione per una contrattazione unitaria: che cosa impediva [anche senza la legge sull’unità contrattuale NdT] all’imprenditore di applicare contratti diversi, ovvero quelli unitariamente più favorevoli per tutti? L’imprenditore, al contrario, non rinuncerà alla prassi della divisione, loro cercheranno ancora di indebolire i contratti collettivi, e così la legge per la cosiddetta unità di contrattazione, diventa come un invito ai padroni di riportare in vita i sindacati gialli. Anche noi siamo del parere che sarebbe meglio se i membri di questi sindacati corporativi combattessero insieme a tutti gli impiegati delle categorie. Il contropotere sindacale ha bisogno di forza e unità, cioè anche di una legge che difende i più deboli. È falsa l’argomentazione secondo cui i sindacati dei categoria “vorrebbero trarre particolari vantaggi sulle spalle dei loro colleghi”; a nessuna categoria di impiegati viene portato via qualcosa se lo sciopero ha successo. Al contrario, attraverso questo provvedimento viene alzata la possibilità di pressione da parte del padrone. Con una politica più combattiva i sindacati della DGB potrebbero riunire questi gruppi di operai, così si tratterebbe di una contrattazione non più al ribasso, ma al rialzo. Combattere attraverso i tribunali e le leggi equivarrebbe a un atto di masochismo. Un attacco così massiccio al diritto di sciopero nuocerà solamente a tutti i sindacati. Questo non porta più solidarietà, ma peggiora le condizioni della lotta. Noi abbiamo bisogno di più unione, ma questa non si può costruire con la coercizione, ma solo sulla base della propria unità di lotta. Quando gli operai scioperano – a qualunque organizzazione loro appartengano – si guadagna prima di tutto il sostegno. Lo scioperante cade sempre in piedi. (Detlef Hensche in JW, 22.11.07) Delegiertenversammlung der IG Metall Verwaltungsstelle Frankfurt/Main