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 2015  maggio 07 Giovedì calendario

L’ESTINZIONE DELLE SUORE


«Questi numeri sono fin troppo regolari». Quando abbiamo mostrato a Sebastiano Vigna, docente di informatica all’università di Milano, le cifre totali delle suore nel XXI secolo, ha pensato a uno scherzo. «Di solito i dati storici sono pieni di su e giù. Questi invece stanno tutti sulla retta, e indicano una diminuzione perfettamente lineare». Incredibile ma vero, i numeri del Vaticano dicono questo: nel 2000, le religiose nel mondo erano 801.185, e di anno in anno sono diminuite fino a diventare 693.575 nel 2013 (ultimi dati dell’Annuario Statistico della Chiesa 2015).
Cosa può succedere, se va avanti così? «In Europa, le suore si estingueranno intorno al 2050. Cinquant’anni dopo saranno scomparse dappertutto».
Comunque la si pensi, la prospettiva non è allegra. A meno che nel frattempo qualcuno non raccolga il testimone, sostituendo le sorelle nella cura degli orfani, degli anziani, dei diversi, dei poveri, degli abbandonati.
Va detto: «13 punti sulla retta», come sottolinea Vigna, cioè 13 anni di osservazione, «sono pochi per azzardare previsioni statistiche». Inoltre, è improbabile che nei prossimi decenni vengano replicati i fenomeni sociali e culturali che abbiamo conosciuto fin qui. Nel prossimo futuro, insomma, tutto è possibile. Ma è anche vero che la crisi delle vocazioni femminili è iniziata negli anni Sessanta e che da allora non ha mai accennato un’inversione di tendenza. Tranne in due casi.
«In Asia e in Africa le religiose sono in crescita. In Asia l’andamento inizia già a suggerire una parabola discendente. In Africa, invece, l’aumento è lineare, ma a un certo punto dovrà arrestarsi per forza. Non possono esserci infinite suore».
Un’anomalia sospetta, comunque: nelle zone più povere del mondo la vocazione religiosa potrebbe non essere autentica ma rappresentare, più che una scelta, una via di sopravvivenza. Persino Papa Francesco ha invitato a vigilare sulla situazione, circa un anno fa, affinché Paesi come l’India, l’Indonesia o alcuni di quelli africani non diventino serbatoi di suore da convogliare in Occidente per rallentare l’estinzione della specie. Si tratta della cosiddetta “tratta delle novizie”, denunciata dai vescovi filippini al Vaticano fin dal 1994, dopo l’arrivo massiccio nell’arcipelago di congregazioni straniere che reclutavano appunto giovani suore da destinare all’Europa.
La tratta delle novizie, comunque, non è l’unico problema che la Chiesa ha con le religiose. Da suor Cristina, celebre vincitrice del talent musicale The Voice of Italy 2014, alle Clarisse cappuccine di Napoli che a marzo hanno risposto all’ironia di Luciana Littizzetto addirittura su Facebook («Ci dispiace che abbia pensato che le “represse” monache di clausura stessero aspettando il Papa per abbracciare un uomo. Probabilmente per fare questo avremmo scelto un altro luogo e ben altri uomini... se avessimo voluto»), è proprio vero: le suore non sono più quelle di una volta.
In Spagna, per dire, la benedettina Teresa Forcades gira in pantaloni, critica la misoginia della Chiesa, si batte per l’indipendenza della Catalogna, è a favore di un modello economico alternativo al capitalismo e difende perfino i diritti delle donne sull’aborto. A Verona, Elisa Kidané, nata in Eritrea, dirige la rivista delle missionarie comboniane Combonifem e sostiene tesi del tipo: «Gesù era femminista»; «continuano a dire che Maria è importante, mettendola su un piedistallo. Poi, però, non pongono la donna sullo stesso piano dell’uomo»; «gli ultimi siamo ancora noi donne. Se la Chiesa non si affretta a tenerci in considerazione rischia di trovarsi vuota alla domenica».
Per non parlare delle sorelle della Leadership Conference of Women Religious (l’80% delle 57mila religiose Usa), che per la loro apertura nei confronti di temi “eticamente sensibili” (eutanasia, divorzio, aborto, unioni omosessuali) e per le “tematiche femministe radicali incompatibili con la fede cattolica” si sono meritate un’approfondita ispezione del Vaticano. Correva l’anno 2008 e ai tempi il Papa era Joseph Aloisius Ratzinger. Il suo successore, Bergoglio, ha infine archiviato la questione nel dicembre scorso, perdonando le ribelli.
Negli Stati Uniti, l’età media delle suore è di 75 anni. In Europa, sono pochissime quelle che ne hanno meno di 40. In molte congregazioni non si registrano nuovi ingressi da un ventennio. Ecco perché la curva discendente è così lineare: da troppo tempo non c’è ricambio generazionale.
«Le vocazioni hanno iniziato a diminuire nel post Concilio», precisa suor Marina, superiora generale dell’Istituto Regina degli Apostoli per le vocazioni di Castel Gandolfo. Parliamo del Concilio Vaticano II – quello dal 1962 al ’65 – durante il quale i Papi (Giovanni XXIII e poi Paolo VI) e i vescovi abolirono la messa in latino e modernizzarono la Chiesa anche attraverso la cosiddetta secolarizzazione: affermando che la vocazione alla santità era di tutti – anche di chi non ha preso i voti – il Concilio, in un certo senso, ne ha tolto l’esclusiva a chi indossa l’abito religioso. Aprendo le porte a nuove forme di carità, come il volontariato.
«Per noi suore, oggi più che mai è importante essere una testimonianza autentica, credibile, attrattiva», continua suor Marina. «Anche per questo investiamo molto sulla formazione vocazionale, che prevede approfonditi studi spirituali e antropologici. Va detto però che sulla vita consacrata si riflettono sempre le difficoltà della società in cui si vive, come la fatica attuale dei giovani di fare scelte definitive. O quella di perseverare nelle difficoltà».
E infatti: si calcola che nel mondo a lasciare l’abito, ogni anno, tra preti e suore siano circa in tremila. A Kochi, in India, tre mesi fa è nata un’associazione di ex religiosi, la KCRM, che tra gli obiettivi ha anche quello di agevolare i contatti tra gli iscritti a scopo matrimonio. Nonché di fornire assistenza legale a chi intenda chiedere una forma di rimborso per gli anni in cui ha prestato servizio. Perché, beninteso, se una suora (o un sacerdote) decide di lasciare, non ha diritto alla pensione o al TFR.
«Tutto dipende dal rapporto che le persone mantengono con la congregazione d’origine». Antonietta Potente, classe 1958 – teologa e docente di filosofia – vive a Torino, fa parte dell’Unione delle Suore Domenicane di San Tommaso d’Aquino e ha appena pubblicato il saggio È vita ed è religiosa. Una vita religiosa per tutti (edizioni Paoline).
Sulla crisi delle vocazioni è schietta: «Poche suore? Ma se siamo fin troppe! La vocazione è una questione esistenziale, è una scelta che parte da dentro. Oggi vedo tante giovani insicure, invece, che vanno in cerca di identità: durante il primo anno di studi sono normali, nel secondo tutte iniziano a tenere le mani in un certo modo, nel terzo smettono i pantaloni, nel quarto si tagliano i capelli, finché arrivano a indossare l’abito. Non è un caso se nelle congregazioni che non lo prevedono, proprio come la mia, non si registrano nuove vocazioni da decenni. E pensare che, nel Medioevo, il nostro era un cammino di ribellione, basti pensare alla storia di Teresa d’Avila...
«Ecco, io sogno un mondo più vivibile, alleggerito da comunità di donne pacificanti che hanno fatto la scelta consapevole di vivere sole e di non sposarsi. Per questo mi ha dato fastidio quando il Papa ci ha invitate a “essere madri, non zitelle”: gli è scappato, lo so, non parla neanche tanto bene l’italiano. E poi, in fondo, anche lui è un uomo».