Stephanie Clifford, GQ 5/2015, 7 maggio 2015
ONORA IL NONNO
Fino a qualche tempo fa, non molto, Thomas DiFiore faceva paura. Molta paura. Era uno dei boss della famiglia Bonanno, ancora a piede libero nonostante fosse stato arrestato numerose volte per rapimento, aggressione, esercizio illegale del gioco d’azzardo ed estorsione.
Come dimostrano le intercettazioni dell’Fbi, nemmeno a 70 anni mollava di un centimetro se si trattava di discutere di soldi. Tanto più con un altro anziano “uomo d’onore” della sua famiglia mafiosa. «Senza di me, non saresti nessuno», dice in una conversazione privata (non per gli agenti del Federal Bureau of Investigation) con Vincent Asaro, che l’ha descritto così: «In confronto a lui, gli altri capi sembravano Sant’Antonio».
Ma adesso, di fronte a una possibile condanna, l’arroganza di DiFiore pare svanita nel nulla; è più facile sentirlo disquisire di medicine che di vendette. È di colpo diventato un oldfella, uno di quei boss segnati più dagli anni e dagli acciacchi che dalle indagini e dalle condanne.
Molti di questi vecchi gangster sono stati processati nella Federal District Court di Brooklyn, che ha giurisdizione su tutti i boroughs di New York (fuorché Manhattan) in cui è più forte la presenza del crimine organizzato: in quelle aule di tribunale, li si è visti spesso mostrare alla corte il catetere o parlare di reni malandati, nel tentativo di ottenere uno sconto di pena. Durante il processo, DiFiore ha presentato al giudice l’elenco delle medicine che deve prendere tutti i giorni: insulina ogni dodici ore, atorvastatina per il colesterolo, amlodipina e lisinopril per la pressione, oltre alla quotidiana aspirina da 325 milligrammi.
Un importante fenomeno nella lotta alla mafia americana è l’aumento di informatori e pentiti. La minaccia di ritorsioni e vendette è diminuita notevolmente: sia per l’efficienza del Programma di protezione testimoni, sia perché ormai gli stessi uomini mandati dai boss a eseguire le condanne spesso decidono di voltare le spalle alle famiglie e iniziare a collaborare. «Diciamo che ci sono persino troppi potenziali collaboratori di giustizia in giro», ammette Belle Chen, agente speciale dell’Fbi di stanza a New York. Questo sviluppo inaspettato ha permesso agli inquirenti di perseguire i mafiosi anziani anche in base a reati vecchi magari di decenni, sfruttando leggi come la nuova norma retroattiva sull’estorsione.
Così, da qualche anno, nelle aule del tribunale di Brooklyn si sentono storie risalenti a un’epoca in cui Cosa Nostra, soprattutto a New York, era molto più potente. Ad esempio, sono stati ricostruiti crimini come la rapina a mano armata da 6 milioni di dollari a un aereo della Lufthansa, organizzata nel 1978 al Kennedy International Airport da quel Vincent Asaro, ormai ottantenne, che da anni è sotto processo e in attesa di sentenza.
Gli agenti federali recentemente sono anche riusciti a smantellare una rete di “uomini d’onore” e fiancheggiatori (tutti sessanta-settantenni) che avevano stretto legami con le più importanti famiglie del New Jersey: le stesse, cioè, che hanno ispirato la serie tv The Sopranos.
Uno è Bartolomeo Vernace, 65 anni, condannato per omicidio dopo aver freddato nel 1981 i due titolari di un bar del Queens, a causa di un drink servito male. Anche lui si è presentato davanti al giudice con la lista di medicine: Diltiazem, Accupril, Norvasc, Crestor, Zetia, Actos, Plavix e Amaryl. Il problema è che gli inquirenti ormai ci sono abituati e sostengono che molti degli imputati esagerano i propri problemi di salute nella speranza di un giudizio più mite.
Nicky Rizzo, membro della famiglia Colombo, aveva 86 anni quando è stato condannato nel 2013; eppure in tribunale si era lamentato a lungo di essere sordo, di avere un cancro alla prostata e alla vescica, di soffrire di problemi di circolazione a una gamba, di dover prendere almeno 20 medicine al giorno e di essere costretto a usare il catetere e una pompetta per andare in bagno: «Mr. Rizzo rimane almeno dieci, quindici minuti fermo in piedi ogni volta che prova a fare i propri bisogni», ha raccontato alla corte l’avvocato Joseph Mure Jr., mentre l’imputato alzava i pantaloni e mostrava alla giuria il sacchetto per il drenaggio legato alla gamba.
Per l’accusa ha risposto Allon Lifshitz: «Il comportamento in aula di Mr Rizzo, i lamenti e la presunta sordità non dovrebbero essere presi in considerazione, visto che si tratta di una farsa». Il giudice Kiyo A. Matsumoto però, gli ha comminato solo una pena di sei mesi di reclusione, contro i due anni e mezzo richiesti dalla procura distrettuale. Inoltre ha condannato un altro capo della famiglia Colombo, Richard Fusco, a soli quattro mesi di carcere per estorsione; aveva lamentato problemi all’udito, più una malattia al fegato ed evidenti segni di Alzheimer. La stampa ha subito fatto notare che le sue condizioni di salute sono miracolosamente migliorate nel momento stesso in cui è uscito dall’aula. «E riuscito a ingannarmi? Me ne assumo tutta la responsabilità», ha detto Matsumoto. Dal canto suo Thomas Gioeli, un altro “uomo d’onore” appartenente alla famiglia Colombo, ha parlato di problemi alla spina dorsale, diabete, artrite e rischio di infarto. Il feroce gangster, oltretutto, era senza denti: «Non posso masticare e spesso mi soffoco. Ho la schiena e le anche distrutte, oltre a un ginocchio rotto». Aveva solo 61 anni; «Portati molto male, però», secondo l’avvocato Adam D. Perlmutter. Il giudice Brian M. Cogan, pur riconoscendo la gravità dello stato di salute di Mr Gioeli, l’ha comunque condannato a 19 anni di detenzione, sostenendo che in cella avrebbe ricevuto un’assistenza medica adeguata.
In realtà, quanto il sistema carcerario americano sia in grado di occuparsi delle cure ai detenuti anziani e malati, è questione aperta. L’avvocato Perlmutter ha dichiarato che il personale del Metropolitan Detention Center di Brooklyn non ha fornito a Gioeli le medicine di cui aveva bisogno, mentre il difensore del settantenne Dennis DeLucia – un altro esponente di spicco della famiglia Colombo, condannato a 34 mesi – ha protestato perché il suo assistito ha dovuto aspettare un anno prima di essere visitato da un dentista e farsi rimuovere un dente. E lo scorso ottobre DiFiore ha dichiarato alla corte: «La mia salute è entrata in una spirale discendente: perciò confesso tutta la felicità per essere sopravvissuto alle favolose cure mediche ricevute in detenzione al Metropolitan Detention Center».
La pubblica accusa, che ha comunque ribadito l’efficienza delle strutture mediche del carcere, ha dovuto però riconoscere che le condizioni di salute dell’imputato possono avere notevole rilevanza al momento del giudizio finale. DiFiore si è dichiarato colpevole e, in conformità con le leggi federali, è stata chiesta una condanna non inferiore a due anni di carcere. Il procuratore distrettuale ha ammesso che la tarda età ha certamente contribuito al deterioramento dello stato fisico dell’imputato, ma ha aggiunto che, allo stesso tempo, l’ha anche favorito: «La lunghissima carriera criminale gli ha consentito di accumulare potere e guadagni davvero formidabili». Tutto ciò detto, questa “strategia della pensione” non pare funzionare un granché, anzi, si direbbe non aver fatto alcuna breccia nel cuore dei giudici. Quello fra gli imputati a cui è andata meglio, l’ottantaseienne Nicky Rizzo, si è beccato comunque sei mesi di reclusione e altrettanti di domiciliari. E il praticamente agonizzante Thomas DiFiore ha rimediato – dopo oltre un anno di carcere preventivo – una sentenza a 21 mesi di prigione (potrebbe comunque uscire fra sette).
Malissimo è finita per gli altri due oldfellas: l’anno scorso, come detto, sulla testa di Thomas “Tommy Shots” Gioeli sono piovuti 19 anni di reclusione; su quella di Bartolomeo Vernace una condanna a vita, più 10 anni.