Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  maggio 05 Martedì calendario

TEXAS, ATTACCO ARMATO AL CONVEGNO ANTI-ISLAM L’AMERICA RISCOPRE L’INCUBO DEL TERRORISMO

GARLAND (TEXAS)
I due cadaveri non ci sono più: ma li hanno lasciati qui, coperti di sangue in mezzo al parcheggio del Curtis Culwell center, per più di 12 ore prima di portarli all’obitorio. «Quei due selvaggi hanno fatto la fine che si meritavano», dice sprezzante uno degli agenti che presidiano la collina della morte. Tutta la zona sembra militarizzata, le tute mimetiche abbondano, possono avvicinarsi solo i reporter, mentre in cielo volano gli elicotteri delle televisioni che ritrasmettono in tutta l’America le immagini di una tranquilla cittadina texana sconvolta dall’odio religioso.
Divenute ormai il pretesto di uno scontro sordido tra jihadisti e integralisti anti-islamici, le caricature di Maometto hanno provocato altri morti dopo l’eccidio di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo e i fatti di Copenaghen. Ma questa volta il duello non si è svolto in una metropoli europea dilaniata da tensioni religiose o tra diversi gruppi etnici, bensì nel cuore della Bible Belt, la “cintura della Bibbia”, come sono chiamati gli stati americani del sud dove il conservatorismo evangelico è il vero collante sociale.
A Garland, l’epicentro del nuovo attentato, 225mila abitanti a mezz’ora a Nord di Dallas, le highways, le autostrade, sono costeggiate da chiese battiste e di strane sette che si definiscono “cristiane”, di immensi cartelloni con frasi della Bibbia e di casette con giardino, di locali di fast food e di bandiere a stelle e strisce. “ Don’t mess with Texas”, Lascia stare il Texas: è la frase ricorrente di uno stato che ha sempre difeso la sua autonomia. Ma perché allora due americani dell’Arizona con legami terroristici sono venuti proprio qui? Perché hanno scelto questo luogo per un’azione dimostrativa contro i detrattori del Profeta? Sono forse caduti in una “trappola ideologica”, come qualcuno ipotizza?
I due, Elton Simpson e il suo coinquilino di Phoenix Nadir Soofi, sono stati uccisi domenica notte dalla polizia del Texas nelle prime fasi di un attentato contro la manifestazione indetta da Pamela “Pam” Geller, presidente dell’ American freedom defense initiative e figura di punta degli islamofobi d’oltreoceano.
Certo, si trattava di una iniziativa volutamente provocatoria. L’associazione della Geller aveva indetto un concorso per la migliore vignetta satirica su Maometto, promettendo 10mila dollari al vincitore. «Ma è un modo per esercitare il diritto di espressione protetto dalla Costituzione americana», avevano spiegato gli organizzatori. I quali avevano invitato anche Geert Wilders, il parlamentare xenofobo olandese sulla cui testa pende la condanna a morte degli estremisti musulmani.
Mentre sul palco del Culwell si alternavano gli oratori, denunciando di fronte a 200 spettatori «l’islamizzazione dell’America », verso le 19 i due attentatori sono saliti in auto verso il parcheggio e hanno cominciato sparare con un’arma automatica, ferendo lievemente una guardia giurata che bloccava il passo, Bruce Joiner. Quel che forse i due non sapevano è che la polizia di Garland, consapevole dei rischi della manifestazione, aveva predisposto da settimane un imponente servizio di sicurezza, come ci ha confermato lo stesso portavoce del distretto, Joe Harn, e che gli organizzatori avevano speso 30mila dollari per arruolare le guardie giurate. La risposta degli agenti è stata immediata: i due sono stati subito crivellati di colpi e non hanno fatto neanche in tempo a usare le armi che avevano in macchina.
Un agente in tuta mimetica ha subito informato i partecipanti dell’attentato, scortando fuori dal Culwell center la Geller e il politico olandese, mentre le forze dell’ordine circondavano la zona. Chiusi subito per sicurezza anche i supermercati WalMart e Sam Club che sono alle spalle del centro, tra North Garland road e l’autostrada intitola all’ex-presidente George Bush. E intanto l’Fbi avviava indagini a tutto campo, in particolare perquisendo la casa di due piani di Phoenix, in Arizona, dove vivevano di due attentatori.
Barack Obama è stato immediatamente avvertito. Ieri il presidente americano ha affidato al suo portavoce queste parole di condanna: «Nessuna forma di espressione, neanche la più offensiva, può giustificare un atto di violenza». Anche il Cair (Council on American Islamic relations) l’associazione più impor tante dei musulmani d’America ha preso le distanze. Ma è chiaro che i due morti di Garland aggiungeranno nuove difficoltà alla convivenza politicoreligiosa e riapriranno il dibattito sui confini tra odio e libertà, tra provocazione e opinione.
I due attentatori avevano da tempo legami con il terrorismo islamico. Simpson, che da 30 anni e da tempo si era allontanato dai fedeli più moderati della moschea di Phoenix, era sotto i radar del Fbi dal 2006 e aveva cercato di unirsi alla Jihad in Somalia. Aveva persino mentito al riguardo agli agenti federali, subendo una condanna nel 2010. Ieri si è scoperto anche che in un suo Tweet, mandato in rete poco prima dell’attentato in Texas, si definiva un seguace di al Baghdadi, il Califfo dell’Is, e chiedeva ad Allah di accettarlo come mujahideen , combattente.
Ci sono state rivendicazioni dell’attentato di Garland da parte di organizzazioni terroristiche internazionali, ma gli inquirenti per il momento ritengono che non si sia trattato di una iniziativa etero-diretta. «D’altra parte non c’è dubbio che Simson e il suo complice fossero arrivati qui per uccidere», dice il portavoce della polizia Harn. «Avevano giubbotti anti-proiettile, varie armi automatiche e molti munizione ». E probabilmente erano arrivati direttamente in auto da Phoenix per l’attentato, guidando per ore e ore.
Arturo Zampaglione, la Repubblica 5/5/2015